La “Giustizia sostanziale” dell’Anp. (Lo è veramente?)
Mi è capitato di leggere il comunicato dell’Associazione Nazionale Presidi che si schiera apertamente per tutelare l’interesse dei 426 dirigenti annullati che, a dire dell’Associazione sarebbero le vere vittime di questa vicenda.(Sic!) L’Anp prosegue nel suo proclama affermando che continuerà “il suo impegno per trovare al più presto in tutte le sedi utili – nessuna esclusa – una soluzione conforme alla giustizia sostanziale e non solo al diritto”.
A leggere queste parole, ho ricordato le notti insonni trascorse immerso nelle lunghe letture e nelle ricerche, sui polverosi tomi della biblioteca della facoltà di giurisprudenza. Ricordo le disquisizioni del mio docente di filosofia del diritto sui concetti di giustizia, di processo e di diritto, le dissertazioni sull’id quod plerumque accidit del corso di diritto romano e così via.
Francamente non sono stato capace di vedere alcun parallelo tra l’ipotesi concettuale della “giustizia sostanziale” a me nota e l’ipotesi di “giustizia sostanziale” invocata, difesa e voluta dall’Anp.
Non ho inteso riaprire i vecchi tomi di diritto, e mi sono semplicemente affidato ai ricordi sul concetto di “giustizia sostanziale” che, per mera pigrizia, riporto da una definizione banale semplice, ma esaustiva facilmente rinvenibile:
La giustizia sostanziale è quella forma di giustizia che si ispira ai valori etico-sociali espressi dalla società civile in un determinato momento storico, prescindendo dall’osservanza della norma giuridica. La giustizia sostanziale, pur comprimendo la garanzia rappresentata dalla certezza del diritto, ha tuttavia il vantaggio di assicurare, in maniera costante, l’adeguamento del sistema giuridico all’evolversi dell’organizzazione e del costume sociale.
Essa si uniforma tendenzialmente alla giustizia formale ma discrasie tra le due giustizie possono essere determinate dall’applicazione di norme culturalmente e socialmente superate. Il compito di porre fine ai disagi che una tale situazione di «crisi» inevitabilmente comporta è affidata alla sapienza ed alla lungimiranza del giurista.
Mi chiedo se sia questo il concetto cui si riferiva l’acuta e forbita dichiarazione dell’Anp o che il riferimento ad una “giustizia sostanziale” sia piuttosto, più semplicemente, riconducibile alla elementare constatazione che in “sostanza” questi professori hanno fatto i dirigenti (alcuni per tre anni, altri per due, altri per pochi mesi), e, quindi, sostanzialmente, hanno meritato di diventare dirigenti e mantenere in conseguenza quella qualifica.
Ecco cosa sarebbe per l’Associazione Nazionale Presidi la “giustizia sostanziale”, a meno di ipotizzare che il costume sociale attuale ritiene che siano culturalmente e socialmente superati i seguenti concetti:
1. che le sentenze vengono emanate dai giudici e, quando esecutive, devono essere applicate;
2. che le sentenze esecutive contro la pubblica amministrazione obbligano la medesima a darvi corso ;
3. che sia indegno che dirigenti scolastici si rivolgano ai politici (vile ossequio) per perorare e sostenere l’ introduzione di un emendamento palesemente incostituzionale;
4. che sia indegno (inammissibile) che un uomo di scuola caldeggi posizioni antigiuridiche ed incostituzionali;
5. che sia indegno trattare le sentenze siccome carta straccia;
6. che sia indegno considerare che la Costituzione sia solo per gli imbecilli;
7. che sia indegno affermare che le leggi vadano bene solo se tutelano interessi particolari.
8. che sia indegno che dei parlamentari propongano emendamenti incostituzionali per tutelare interessi personali dei proprio congiunti ed amici.
Se quelli sopra riportati, invece, non sono da considerarsi principi o concetti superati o anacronistici dall’attuale società, allora dobbiamo ritenere che la “giustizia formale” ha correttamente operato e che essa coincide, almeno in tale ipotesi, con quella della “giustizia sostanziale”.
Appare evidente che i sostenitori dei 426 fondano il loro assunto e lo ritengono confluente nella fattispecie della “giustizia sostanziale” perché essi si troverebbero a ricoprire quel ruolo - alcuni da pochi mesi-, per il semplice decorso del tempo. Una situazione di fatto, dunque, di “sostanza” come direbbe Totò.
Penso che il povero Enrico Berlinguer si stia rigirando nella tomba nel sentire queste cose che sono frutto della “sconsideratezza politica” del fratello Luigi, il quale ha avuto il demerito di trasformare dei semplici insegnanti di, per esempio, educazione fisica, matematica, filosofia, lettere, bravissimi per carità nel loro settore, in dirigenti della Pubblica amministrazione, dimenticando che altri sono gli studi e le competenze che occorre avere per svolgere degnamente e con profitto quel ruolo.
Le note che precedono ne sono l’esempio evidente.
Aggiungiamo una chicca: un dirigente (Sic!) per legittimare la permanenza sulla sua poltrona in pelle ha dichiarato che, se lo avessero rimosso, tutti gli atti che lui aveva compiuto nel corso della sua permanenza in quella funzione sarebbero stati annullati, compresi gli esami di Stato e gli scrutini; o l’altra dirigente che rivendica il diritto ad un giusto processo, affermando che i dirigenti non sono mai stati chiamati a difendere il loro legittimo status. Professoressa, il concorso è stato annullato perché la Commissione ha operato in modo palesemente illegittimo. Cosa avrebbe potuto dire lei, sentita, avrebbe dimostrato che ha operato legittimamente? Cosa avrebbe potuto aggiungere per rendere legittimo ciò che è illegittimo per tabulas? In ogni caso professoressa, la procedura è una cosa seria ampiamente conosciuta dai magistrati che sono avvezzi ad usare le pandette ed i codici.
Poveretti, quanta tenerezza!
Giuseppe D’Urso
Mi è capitato di leggere il comunicato dell’Associazione Nazionale Presidi che si schiera apertamente per tutelare l’interesse dei 426 dirigenti annullati che, a dire dell’Associazione sarebbero le vere vittime di questa vicenda.(Sic!) L’Anp prosegue nel suo proclama affermando che continuerà “il suo impegno per trovare al più presto in tutte le sedi utili – nessuna esclusa – una soluzione conforme alla giustizia sostanziale e non solo al diritto”.
A leggere queste parole, ho ricordato le notti insonni trascorse immerso nelle lunghe letture e nelle ricerche, sui polverosi tomi della biblioteca della facoltà di giurisprudenza. Ricordo le disquisizioni del mio docente di filosofia del diritto sui concetti di giustizia, di processo e di diritto, le dissertazioni sull’id quod plerumque accidit del corso di diritto romano e così via.
Francamente non sono stato capace di vedere alcun parallelo tra l’ipotesi concettuale della “giustizia sostanziale” a me nota e l’ipotesi di “giustizia sostanziale” invocata, difesa e voluta dall’Anp.
Non ho inteso riaprire i vecchi tomi di diritto, e mi sono semplicemente affidato ai ricordi sul concetto di “giustizia sostanziale” che, per mera pigrizia, riporto da una definizione banale semplice, ma esaustiva facilmente rinvenibile:
La giustizia sostanziale è quella forma di giustizia che si ispira ai valori etico-sociali espressi dalla società civile in un determinato momento storico, prescindendo dall’osservanza della norma giuridica. La giustizia sostanziale, pur comprimendo la garanzia rappresentata dalla certezza del diritto, ha tuttavia il vantaggio di assicurare, in maniera costante, l’adeguamento del sistema giuridico all’evolversi dell’organizzazione e del costume sociale.
Essa si uniforma tendenzialmente alla giustizia formale ma discrasie tra le due giustizie possono essere determinate dall’applicazione di norme culturalmente e socialmente superate. Il compito di porre fine ai disagi che una tale situazione di «crisi» inevitabilmente comporta è affidata alla sapienza ed alla lungimiranza del giurista.
Mi chiedo se sia questo il concetto cui si riferiva l’acuta e forbita dichiarazione dell’Anp o che il riferimento ad una “giustizia sostanziale” sia piuttosto, più semplicemente, riconducibile alla elementare constatazione che in “sostanza” questi professori hanno fatto i dirigenti (alcuni per tre anni, altri per due, altri per pochi mesi), e, quindi, sostanzialmente, hanno meritato di diventare dirigenti e mantenere in conseguenza quella qualifica.
Ecco cosa sarebbe per l’Associazione Nazionale Presidi la “giustizia sostanziale”, a meno di ipotizzare che il costume sociale attuale ritiene che siano culturalmente e socialmente superati i seguenti concetti:
1. che le sentenze vengono emanate dai giudici e, quando esecutive, devono essere applicate;
2. che le sentenze esecutive contro la pubblica amministrazione obbligano la medesima a darvi corso ;
3. che sia indegno che dirigenti scolastici si rivolgano ai politici (vile ossequio) per perorare e sostenere l’ introduzione di un emendamento palesemente incostituzionale;
4. che sia indegno (inammissibile) che un uomo di scuola caldeggi posizioni antigiuridiche ed incostituzionali;
5. che sia indegno trattare le sentenze siccome carta straccia;
6. che sia indegno considerare che la Costituzione sia solo per gli imbecilli;
7. che sia indegno affermare che le leggi vadano bene solo se tutelano interessi particolari.
8. che sia indegno che dei parlamentari propongano emendamenti incostituzionali per tutelare interessi personali dei proprio congiunti ed amici.
Se quelli sopra riportati, invece, non sono da considerarsi principi o concetti superati o anacronistici dall’attuale società, allora dobbiamo ritenere che la “giustizia formale” ha correttamente operato e che essa coincide, almeno in tale ipotesi, con quella della “giustizia sostanziale”.
Appare evidente che i sostenitori dei 426 fondano il loro assunto e lo ritengono confluente nella fattispecie della “giustizia sostanziale” perché essi si troverebbero a ricoprire quel ruolo - alcuni da pochi mesi-, per il semplice decorso del tempo. Una situazione di fatto, dunque, di “sostanza” come direbbe Totò.
Penso che il povero Enrico Berlinguer si stia rigirando nella tomba nel sentire queste cose che sono frutto della “sconsideratezza politica” del fratello Luigi, il quale ha avuto il demerito di trasformare dei semplici insegnanti di, per esempio, educazione fisica, matematica, filosofia, lettere, bravissimi per carità nel loro settore, in dirigenti della Pubblica amministrazione, dimenticando che altri sono gli studi e le competenze che occorre avere per svolgere degnamente e con profitto quel ruolo.
Le note che precedono ne sono l’esempio evidente.
Aggiungiamo una chicca: un dirigente (Sic!) per legittimare la permanenza sulla sua poltrona in pelle ha dichiarato che, se lo avessero rimosso, tutti gli atti che lui aveva compiuto nel corso della sua permanenza in quella funzione sarebbero stati annullati, compresi gli esami di Stato e gli scrutini; o l’altra dirigente che rivendica il diritto ad un giusto processo, affermando che i dirigenti non sono mai stati chiamati a difendere il loro legittimo status. Professoressa, il concorso è stato annullato perché la Commissione ha operato in modo palesemente illegittimo. Cosa avrebbe potuto dire lei, sentita, avrebbe dimostrato che ha operato legittimamente? Cosa avrebbe potuto aggiungere per rendere legittimo ciò che è illegittimo per tabulas? In ogni caso professoressa, la procedura è una cosa seria ampiamente conosciuta dai magistrati che sono avvezzi ad usare le pandette ed i codici.
Poveretti, quanta tenerezza!
Giuseppe D’Urso