Dott. Porro, chi
Le scrive è un docente di una scuola superiore italiana. Mi sento di
contraddire quanto da Lei affermato nel Suo intervento "I politici e le 18 ore dei prof": la proposta
governativa da Lei approvata non è una buona proposta, anzi una pessima
proposta, e intendo dimostrarglielo dialetticamente, cioè mostrando
l'inconsistenza delle tesi che Lei avanza. Lei scrive che in un periodo
di sacrifici tutti dobbiamo impegnarci. Giusto. Ma la categoria dei
docenti delle scuole ha già sulle spalle il peso degli 87.500 posti
tagliati dall'art. 64 L. 133/2008, con il necessario corollario di
soprannumeri, trasferimenti forzati e aule stracolme di alunni (a causa
delle nuove regole per la formazione delle classi contenute in tale
disposizione). Abbiamo anche un CCNL che è scaduto nel 2009 e i cui
coefficienti per il calcolo della retribuzione - che, per inciso, sono
tra le più basse, a parità di qualifica e di impegni contrattuali, del
pubblico impiego in Italia, per non parlare della situazione vigente
nella maggior parte degli altri paesi dell'UE - sono rimasti fermi a
quando fu firmato, precisamente al novembre del 2007. Di conseguenza
non vogliamo fare sacrifici, non per partito preso, ma semplicemente
perché abbiamo già dato.
Peraltro, mi dica Lei quale categoria di lavoratori accetterebbe
passivamente di farsi aumentare, per imposizione dall'alto, il proprio
orario di lavoro, senza che vi sia nemmeno un corrispondente aumento
della retribuzione - cosa che Lei si guarda bene, nel suo intervento,
dallo specificare.
Lei poi dimostra di non conoscere bene il nostro contratto, altrimenti
saprebbe che le 18 ore in classe sono solo la "punta dell'iceberg". Ad
esse dobbiamo aggiungere le ore per le riunioni dei consigli di classe
e dei gruppi disciplinari, per i collegi docenti e per i rapporti con
le famiglie, tutti impegni contrattuali.
A ciò aggiungiamo il lavoro che non possiamo inserire in contratto,
come Lei sa; ma ciò a causa del fatto che a scuola non ci è data,
contrariamente a quanto avviene in quei paesi dell'UE che hanno un
migliore tasso di scolarizzazione del nostro, la possibilità di
quantificarlo, rimanendo nei locali scolastici al di fuori dell'orario
di classe onde svolgere tutto ciò che siamo costretti a fare a casa:
preparazione delle lezioni (materiali extra inclusi), aggiornamento
individuale, preparazione e correzione delle prove scritte, gestione
dei registri (compresi quelli elettronici via internet) e così via.
Lavoro che ci porta via tempo che altre categorie di lavoratori
dedicano - giustamente, peraltro - alle proprie famiglie, e soprattutto
che non sarà mai retribuito in quanto impossibile da quantificare.
Certo, quando all'istruzione e alla ricerca si dedicano percentuali del
PIL costantemente in ribasso, al punto che alle scuole manca pure la
carta per fare le fotocopie delle dispense e dei compiti in classe
(altro che spazi e strumenti per i docenti), c'è poco da meravigliarsi.
Lei perciò si contraddice: da un lato afferma, chiedendosi come mai
tale lavoro non sia contrattualizzato, l'importanza del CCNL, ma
dall'altro la nega appoggiando una proposta che calpesta brutalmente
quello stesso contratto intervenendo "a gamba tesa" su una materia
dove, dalla riforma del pubblico impiego degli anni '90 e la
conseguentemente privatizzazione del rapporto di lavoro dei pubblici
dipendenti, dettagli come l'orario di lavoro e la retribuzione devono
necessariamente passare per il tavolo delle trattative con le
rappresentanze sindacali.
Altra cosa che Lei evidentemente ignora è che d'estate, nei periodi non
coperti dalle ferie, lavoriamo anche noi, tra esami di Stato, corsi di
recupero, esami di recupero dei debiti, inizio delle programmazioni in
previsione del nuovo anno scolastico e quant'altro.
A proposito di UE. Lei sa, dott. Porro, che contrariamente a quanto
affermato dal ministro Profumo, l'orario dei docenti delle superiori in
Italia è perfettamente in linea con la media dell'Unione? E sa anche
che in paesi come la Finlandia, che tutti giustamente lodiamo per la
qualità del loro sistema educativo, è addirittura inferiore, con
retribuzioni ben superiori alle nostre? Delle due, l'una: o i governi
di tali paesi sono tutti scialacquoni (e i loro insegnanti fannulloni),
o siamo noi docenti italiani a essere presi per i fondelli con tali
affermazioni.
Lei inoltre purtroppo (ma è in buona compagnia) sembra non capire che
la questione non è solo di quantità, ma anche e soprattutto di qualità.
C'è una gran differenza tra il trascorrere un'ora a montare sportelli
di automobili (col massimo rispetto per chi lo fa!), a leggere e
archiviare carte (sempre col massimo rispetto!) e a stare in una classe
con una trentina di alunni preadolescenti o adolescenti, a volte solo
chiassosi e distratti da mille stupidaggini consumistiche, altre volte
addirittura indisciplinati e violenti, cercando di educare al sapere e
al vivere civile questa pluralità, ogni volta diversa per ciascuna
delle classi che ci vengono assegnate.
Ci provi Lei, dott. Porro, a essere educatore, ad ascoltare quegli
alunni e a cercare di coinvolgerli nella scoperta dei saperi, in
edifici non di rado cadenti, scomodi, sovraffollati, dove d'inverno si
gela e la sicurezza è un miraggio; sì, proprio quegli alunni in cui
noi, secondo Lei, vedremmo solo degli "strumenti di lavoro". Venga a
vedere con i Suoi occhi e ad ascoltare con le Sue orecchie, magari in
uno di quegli istituti scolastici nei quartieri cosiddetti a rischio -
per colpa delle istituzioni, non certo di quei ragazzi che hanno la
sola "colpa" di esservi nati -, e poi mi dirà che cosa vogliono dire 18
ore a settimana passate in tali condizioni.
Se uno studioso serio e motivato come il dott. Vittorio Lodolo D'Oria
da anni dimostra, dati alla mano, che la categoria dei docenti
scolastici in Italia è la seconda a rischio di sviluppo di patologie
mentali dopo quella dei medici chirurghi, un perché ci sarà. Così come
c'è un motivo per il quale noi vogliamo restare insegnanti, che non è
la comodità di lavorare 18 ore, ma la percezione dell'importanza del
nostro ruolo e della nostra funzione sociale; importanza nella quale
chi scrive ha la presunzione di pensare che la maggior parte dei
docenti continui a credere, nonostante tutto.
Con incredibile miopia Lei invece riduce tutta questa complessa realtà
a una mera questione di voti. La stessa miopia che dimostra nel vedere
nella riforma della scuola elementare cancellata da Gelmini e Tremonti
solo una questione di occupazione perché invece di un maestro per
classe ne prevedeva tre. Le ricordo che quel modello ha dato
storicamente risultati eccellenti, confermati a suo tempo da quelle
stesse indagini internazionali sul livello di competenze sviluppate
dagli alunni delle scuole di cui Lei certamente avrà notizia.
Diciamocelo chiaramente e senza ipocrisie: il maestro unico è stata una
marcia indietro pedagogica senza precedenti, motivata dalla necessità
di tagliare risorse alla scuola italiana.
Spiace vedere che un individuo come Lei, persona della quale non
condivido affatto le posizioni politiche, ma della quale non posso non
riconoscere l'intelligenza e l'acume, si lasci ingabbiare dai più vuoti
e triti luoghi comuni sulla scuola e sugli insegnanti italiani, e basi
il proprio giudizio su una conoscenza distorta e superficiale della
questione. Insisto: entri nelle scuole, parli con i docenti, venga a
vedere cosa facciamo e come viviamo il nostro ambiente di lavoro e il
nostro rapporto con gli alunni. Mi auguro che ciò serva a fare breccia
nel muro delle sue granitiche convinzioni.
Alessandro Grussu
alessandro.
grussu@istruzione.it