Da Talete in qua
la mente umana indaga le leggi fondamentali della natura. E finora è
riuscita a spiegare l’origine di un misero 5% dell’energia
dell’universo. Viene il serio dubbio che le leggi fondamentali della
Fisica non siano adeguate: per questo al Cern di Ginevra, da anni, si
studia l'antimateria per capire se non ci sia qualcosa da correggere.
Un impegno che può contare sul contributo di assoluto rilievo del
dipartimento di Chimica e fisica dell’Università di Brescia e del
mecenatismo di un paio di aziende nostrane che, insieme, «firmano» un
rilevatore di positroni necessario per l'esperimento. Semplifica così
Evandro Lodi Rizzini, ordinario di Fisica sperimentale alla Statale,
una materia fin troppo ostica per i profani. Ma perché l’antimateria?
Che cos’è? E perché i bresciani? Solo l’ultima domanda ha una risposta
tutto sommato semplice. E conviene andare per ordine.
L’antimateria resta uno dei più grandi misteri della scienza - ha
spiegato il docente, presenti il prorettore della Statale, Daniele
Marioli, il tecnico Giorgio Digiovanbattista e il ricercatore Valerio
Mascagna - è una sorta di “controparte” della materia, identica in
tutto eccetto che per la posizione delle cariche opposte. Se l’una ha
carica positiva nel protone del nucleo dell'atomo e negativa
nell’elettrone che gli orbita intorno, nell’antimateria è la carica
positiva, il positrone, a orbitare intorno al nucleo fatto di
antiprotone. È certo che, al momento del Bing Bang, materia e
antimateria sono state prodotte in parti uguali. Tuttavia il nostro
mondo è fatto di materia, e l'antimateria pare scomparsa. Dove sia
finita nessuno lo sa, anche perché si annullano a vicenda e dove c'è
l'una non può esserci l’altra.
A Ginevra, nel 1995 sono riusciti a produrre il primo atomo di
antidrogeno, partendo da quello di idrogeno, il più noto e fatto solo
di un protone e un elettrone. Nel 2002 due esperimenti hanno prodotto
antidrogeno in grande quantità: il passo decisivo per avviarne lo
studio, particolarmente difficile poiché questo «risultato» si riesce a
tenere in vita per non più di una decina di secondi. A questo punto
l’intervento dell’università di Brescia e delle due aziende della
provincia, la Fratelli Bettoni di Darfo e la Tullio Fabbri di Concesio.
La Statale partecipa con una decina di uomini, insieme a giapponesi e
altri, al programma «Asacusa» che, si stima, nel giro di tre anni possa
dare risposta alla domanda fondamentale. Poiché si conosce bene a quale
frequenza risuona l’atomo di idrogeno - ha spiegato Lodi Rizzini - il
progetto vuol far risuonare anche l’antiatomo per verificare se la
frequenza è la stessa.
Attraverso onde elettromagnetiche e un rilevatore di positroni
costruito a Brescia, si intercetteranno gli antiatomi in movimento
investiti da onde elettromagnetiche. La macchina «made in Brescia» crea
una sorta di reticolo che permette di capire in quale punto preciso
collassa il positrone. È una sorta di «scena del delitto», che
permetterà di capire come l’atomo cambi direzione, a quale frequenza
avviene il cambio. Della «Bettoni» sono i tralicci per sorreggere e
movimentare la macchina, della «Fabbri» un tipo di rilevatore adatto
allo scopo, senza pretendere nulla in cambio. Contemporaneamente c’è un
altro programma, «Alpha»: riuscito nell’intento di mantenere fermo
l’antiatomo di idrogeno, cercherà di capire se emette la stessa luce
dell’atomo. In definitiva, se la luce e la frequenza risulteranno
identiche, le leggi fondamentali saranno ancora valide. Se accadrà il
contrario, bisognerà sottoporle a revisione.
Affascinante, dirà qualcuno, ma di scarsa utilità pratica, anche se
madre della tecnologia che ci cambia la vita sono proprio le
«stravaganze» della ricerca. Nel caso dell’antimateria, tuttavia,
l’applicazione pratica c’è da tempo. Da 7 anni - ha spiegato Lodi
Rizzini - il Civile dispone di un Positron emission tomography:
funziona come il rilevatore portato al Cern, permette di localizzare un
tumore quando la Tac risulta incapace, e con assoluta precisione.
Mimmo
Varone - Bresciaoggi.it