Dalla semplice
biografia alla storia della filosofia: questo è il
percorso che mi propongo di compiere riflettendo sulla figura di Enrica
Carpita, l'allieva prediletta di Giovanni Gentile a Pisa, che dimostra
sempre affetto e gratitudine verso il suo Maestro, ma che ne revisiona
il pensiero. Per la costruzione di questo percorso non ho potuto
attingere ad inesistenti studi precedenti e pertanto ho utilizzato solo
documenti di prima mano rintracciati nell'archivio storico del Liceo
Classico "Pellegrino Rossi" e nella Biblioteca Civica "Stefano
Giampaoli" di Massa. Avverto inoltre che lo scritto non ha un carattere
municipalistico e corporativo, in quanto il personaggio in esame e la
prospettiva critica assunta rivestono un valore non-localistico e, a
parer mio, rientrano a pieno titolo nella tematica della filosofia
italiana.
Credeva di dover morire povera e abbandonata, ricca soltanto di
acciacchi, dopo aver condotto un'esistenza spavaldamente al servizio
della filosofia e della scuola: "Quando, come me, si è arrivati in
prossimità del traguardo finale, si sente il bisogno di volgersi a
considerare il cammino percorso e di chiedersi se la vita che abbiamo
vissuto valga solo per il numero degli anni che rappresenta. Dirò
subito che, se dovessi fare il bilancio della mia vita di donna, esso
apparirebbe senz'altro fallimentare, infatti muoio zitella, con le
tasche semivuote, ricca soltanto di acciacchi e sola al mondo; il
quadro non è certo dei più rosei" (Enrica Carpita, "Consuntivo", manoscritto inedito
conservato nell'archivio storico del Liceo Classico "Pellegrino Rossi" di Massa).
Nessuno meglio della stessa Carpita avrebbe potuto tracciare un profilo
tanto colorito quanto spietato sotto l'aspetto strettamente
sentimentale e privato,se pur mitigato subito dopo da un forte e
orgoglioso accenno ad un'intima gratificazione professionale che
allarga il respiro vitale della sua grintosa personalità e rende la
vita degna di essere stata vissuta esattamente nei termini in cui essa
si è svolta: "Ma, oltre la vita, che forse non ho saputo vivere,ve ne è
un'altra che, prevalentemente per merito dei miei scolari, ha assunto
colore, valore e significato"(ibidem). Ed è di questa che la Carpita
parla nel suo straordinario testamento spirituale che chiama molto
prosaicamente "Consuntivo" e che si trova gelosamente custodito nel suo
fascicolo personale sistemato nell'archivio storico del Liceo Classico "Pellegrino Rossi" di Massa, il Liceo
in cui avevano insegnato Giovanni Pascoli, Manara Valgimigli, Balbino
Giuliano, Mario Luzi, ecc. (v. Salvatore Ragonesi, "Balbino Giuliano e Manara Valgimigli a
Massa", in "Le Apuane", anno XXVI, novembre 2006, pp.83-98).
Enrica Carpita, nata a Livorno il 10 novembre 1893, muore circondata
dai
suoi allievi nella sua casa di Massa in Viale Stazione il 7
giugno 1982, e discute fino all'ultimo momento sui temi più scottanti
della vita e della filosofia, come Socrate in punto di morte secondo la
rappresentazione del "Fedone"
platonico, e non viene dimenticata, se è vero che è stata più volte
ricordata e che a lei è stata dedicata un'intensa
giornata di studi e intestata inoltre una borsa di studio per
premiare i giovani liceali più sensibili alla riflessione filosofica:
"Il Liceo Classico "Pellegrino Rossi"
commemora ancora una volta, sabato 15 dicembre alle ore 11, la figura
di Enrica Carpita, personalità di rilievo nella cultura e nella scuola
massese e nazionale. E lo fa non solo con l'attribuzione di una borsa
di studio a due allievi meritevoli, ma anche con una giornata di
riflessione dedicata alla filosofia idealistica" (in Salvatore
Ragonesi, "La borsa di studio Enrica
Carpita", su "La Nazione",
cronaca di Massa, del 6 dicembre 1990). Ricordo la commozione provata
dai suoi ex allievi nel ritrovarsi tutti al Liceo "Rossi" per commemorare la loro cara
insegnante, della quale io stesso ho dovuto tentare, in qualità di
preside di quell'Istituto che l'aveva avuta come docente, una prima
ricostruzione complessiva della personalità e del pensiero,
ricostruzione che con forti tagli e talune necessarie modifiche
costituisce il presente contributo. Ma l'idea di dover ricordare
degnamente la professoressa Carpita, l'allieva prediletta di Giovanni
Gentile, non ci mancò e venne in effetti realizzata attraverso varie
iniziative, compresa quella di istituire in un'aula del medesimo Liceo
l'Emeroteca a lei intitolata perché contenente le riviste, i quaderni
di appunti, i libri ed i vari documenti da lei donati alla Scuola poco
prima della sua scomparsa.
La storia locale può avere un senso se è collegabile ad una vicenda
superiore, se da essa si sprigiona un canale di comunicazione che
oltrepassi i confini municipali ed immetta nella tematica generale, là
dove le questioni hanno risalto e valenza decisamente storiografica.
Diversamente non vale la pena affaticarsi tanto per riesumare o
esaltare le patrie memorie non meritevoli di approfondimenti critici e
di trasferimenti su territori ben più vasti ed aperti. Questo mi pare
il senso di una giusta rievocazione della personalità intellettuale e
filosofica di Enrica Carpita, la cui memoria non si può disperdere per
il solo fatto che non fosse una cittadina "apuana" in senso stretto,
essendo nata a Livorno e avendo raggiunto Massa sui trent'anni per
circostanze professionali abbastanza fortuite,e cioè per evitare
di rimanere emarginata a Lucera in provincia di Foggia, troppo lontana
dalla propria città e dalla propria famiglia: "Questa volta il
vento propizio fu la lettera di una mia cara amica e collega livornese,
nella quale mi si avvertiva che al Liceo di Massa erasi resa scoperta
la cattedra di filosofia [...] fui assegnata al Liceo di Massa. Ora le
cose
anche dal punto di vista domestico cambiavano assai, essendo Massa
abbastanza vicina a Livorno, non era il caso che la famiglia composta
di tre sole persone si dividesse, io avrei potuto andare sola e tornare
a casa a fare una visitina anche ogni settimana, se lo avessi voluto. E
questo per me era un gran passo: mettevo finalmente il piede fuori dal
nido per un volo in piena autonomia [...] Ricordo ora e non senza
rimorso
vivissimo come alla mia partenza da Livorno per la nuova sede io
avvertissi di contrapporre senza volerlo alla espressione addolorata e
smarrita di mia madre una mal celata espressione di compiacimento se
non di gioia, la gioia di chi sente di iniziare la propria vita, a
trent'anni, ed era la prima volta che avrei dormito sola fuori di
casa!" (Consuntivo, cit. p.16).
La Carpita vive profondamente la vita sua e della sua epoca e si nutre
attivamente di un pensiero che le prende tutta l'anima e la risveglia a
quel senso vigile dei valori e della filosofia in cui fa consistere la
sua missione. Ella ha la fortuna di imbattersi nell'Ateneo pisano in un
personaggio che non abbandonerà mai e che rappresenta in quel tempo di
aspri conflitti culturali la dura reazione al positivismo e la
rinascita dell'idealismo, assieme all'amico Benedetto Croce. Il
personaggio è Giovanni Gentile, che a Pisa ritrova la sua seconda casa,
dopo quella di Castelvetrano in provincia di Trapani, succedendo nella
cattedra di filosofia teoretica al suo maestro Donato Jaja e divenendo
a sua volta Maestro ascoltato e stimato di un gruppo valoroso di
allievi, tra i quali appunto si colloca Enrica Carpita, la prima donna
laureata in filosofia teoretica nell'Università di Pisa.
L'idealismo attualistico di Gentile contribuisce potentemente alla
formazione filosofica della Carpita, che del pensatore siciliano
frequenta le lezioni, i seminari e le conferenze e legge con sincera
passione e forte emozione la "Teoria
generale dello spirito come atto puro", un libro decisivo che si
articola nelle trenta lezioni pisane dell'anno accademico 1915-1916 e
che lei inonda di annotazioni dalla prima all'ultima pagina, un libro
che l'Autore pubblica per rendere "più accurato" lo studio e "più
matura e attenta la meditazione degli studenti", poiché "la materia,
astrusa per se stessa e nelle sue parti più difficili e delicate non
riscontrabili in nessun libro,richiede certamente uno studio più
accurato e una più matura e attenta meditazione che non si possa fare
sui soliti appunti, troppo spesso lacunosi, incerti, inesatti"(G.
Gentile, "Avvertenza" alla "Teoria generale dello spirito come atto puro",
Mariotti, Pisa 1916).
L'afflato dell'attualismo gentiliano, riversato in numerosi saggi
storiografici, filosofici e pedagogici di grande successo, conquista la
giovane Carpita e la trasporta per sempre nell'alta regione della
filosofia, là dove semplicemente si può vivere e morire per un'idea.
Con gli strumenti culturali acquisiti, ella può vincere la
cattedra in seguito al concorso nazionale di filosofia del 1922, può
confrontarsi con gli spiriti magni dell'idealismo italiano (Ernesto
Codignola, Mario Casotti, Manara Valgimigli, Giuseppe Lombardo-Radice,
Balbino Giuliano, Guido Calogero, Guido De Ruggiero, Giuseppe Saitta,
Armando Carlini, Ugo Spirito, Luigi Volpicelli, Vito Fazio-Allmayer,
ecc.), può pubblicare i suoi lavori per la Vallecchi di Firenze e
cominciare con molti studiosi uno scambio fittissimo in cui fa valere
la sua appassionata militanza idealistica. La filosofia - dirà più
tardi - non può non essere idealismo, in quanto "tutto lo sviluppo del
pensiero filosofico attraverso i secoli ci apparisce un progressivo
approfondimento della coscienza di questo carattere inevitabilmente
idealistico della filosofia" (E. Carpita, "La filosofia dell'arte di G. Gentile",
Sansoni, Firenze 1944, p.4). La sua prima adesione attualistica avviene
certamente ad opera della brillante e suggestiva "Prolusione" pisana di Gentile
su "L'esperienza pura e la realtà
storica" del 14 novembre 1914 e più ancora, come si è visto,
grazie alla "Teoria generale dello
spirito come atto puro", un libro che segna in larga parte il
suo destino filosofico in virtù di una serie di incisive e ben
formulate esposizioni dei concetti: "Il punto di vista trascendentale è
quello che si coglie nella realtà del nostro pensiero in quanto il
pensiero si considera non come atto compiuto, ma, per così dire, come
atto in atto, atto che non si può assolutamente trascendere, in quanto
è la nostra stessa soggettività, cioè noi stessi, atto che non si può
mai e in nessun modo oggettivare. Il punto di vista, perciò, nuovo, a
cui conviene collocarsi, è questo dell'attualità dell'Io" (G. Gentile, "Teoria generale dello spirito come atto puro",
cit. pp.6-7).
Per comprendere il pensiero della giovane Carpita occorre,
dunque, rifarsi alla sua prima adesione all'attualismo di Gentile e
intendere l'interpretazione che di questa dottrina ella fornisce
attraverso le fitte annotazioni che ricoprono le pagine delle
varie pubblicazioni del filosofo siciliano, dal "Sommario di pedagogia come scienza
filosofica" a "La riforma della
dialettica hegeliana", dalla "Teoria
generale dello spirito come atto puro" alla "Filosofia di Marx" e al "Sistema di logica come teoria del conoscere",
un'opera, quest'ultima, ritenuta il capolavoro filosofico del Maestro
siciliano ed alla quale la Carpita collabora attivamente, come
testimonia lo stesso Gentile: "Pubblico anche quest'anno la parte
sostanziale delle mie lezioni di filosofia per appagare un desiderio
degli scolari; e son grato alla brava signorina Enrica Carpita,che mi
ha agevolato il lavoro con i suoi diligentissimi appunti" (G, Gentile, "Prefazione" al "Sistema di logica come teoria del conoscere",
I, Spoerri Editore, Pisa 1917). Le molteplici annotazioni carpitiane ai
testi gentiliani conducono inevitabilmente ad accentuare l'urgenza
trascendentale nella giovane intellettuale, che identifica subito
filosofia e vita e che interpreta l'atto puro di Gentile come pensiero
in atto, principio dinamico di attività e processo dialettico dello
spirito: "Soluzione della difficoltà. Lo spirito è svolgimento,
rapporto di unità e molteplicità. Modo concreto di concepire tale
rapporto. Il concetto dialettico dello spirito non esclude anzi include
la molteplicità". Non vi è la realtà da una parte e lo spirito
dall'altra, non il conoscere da una parte e il fare dall'altra, non
l'unità da una parte e la molteplicità dall'altra, ma una
sola realtà che sia lo stesso spirito nel suo processo dialettico
ed un conoscere che sia lo stesso fare:questo è il concetto della
filosofia e della vita che ha maturato la giovane Carpita. Tutta la
realtà, ella afferma, è spirito, e questa è l'intima ragione della
nostra vita e del fervore della nostra azione, come della fede nel
valore assoluto della verità dei nostri pensieri e della consapevolezza
della coincidenza assoluta della filosofia e della storia della
filosofia.
Non bisogna meravigliarsi se l'attualismo carpitiano inclina poi verso
lo spiritualismo francese con un recupero assai originale
dell'azionismo di Blondel. Il passaggio dall'attualismo all'azionismo
sembra abbastanza naturale e coerente, anche se esso esige che si
oltrepassi l'umanesimo attivistico e idealistico e si recuperi il
concetto di persona "soggetta" alla Verità trascendente e aperta a
quell'Essere di cui costituisce un modo ed una possibilità. Si tratta
di un richiamo all'autenticità della situazione umana che si
esplica con la forza dell'azione e con l'adesione ad una entità-verità
che pre-esiste e che si cerca in un orizzonte di trascendenza. Questa
operazione storiografica inizia precocemente e ha un evidente ed
autentico significato personalista, ad integrazione, correzione ed
inveramento dell'attualismo. "Educazione
e religione in Maurice Blondel" è il titolo del saggio che la
Carpita pubblica nel 1920 per la Vallecchi e nella cui "Prefazione" si avverte subito che
"non può non riuscire interessante esaminare in qual modo un pensatore
francese ancora vivente, Maurice Blondel, colla sua opera intitolata "L'action" e con altri scritti minori
(per mole, non per valore!), insieme ad una filosofia profondamente
originale, ci faccia intravedere una nuova dottrina dell'educazione che
ha molta affinità con la nostra"(E. Carpita, "Educazione e religione in Maurice Blondel",
Vallecchi, Firenze 1920,p.7). E non è solo affinità pedagogica, poiché
emerge qui il bisogno metafisico di "una nuova concezione dell'attività
spirituale, capace di risolvere l'opposizione fra pensiero ed azione,
attività teoretica e attività pratica" (ibidem). In altri termini, tra
l'attualismo e il pensiero blondeliano la Carpita scopre un profondo
legame fondato sul medesimo principio della piena coincidenza del
pensiero e dell'azione e individua l'impossibilità di stabilire una
teoresi senza una contestuale attività pratica: "Non si può non agire,
l'azione sopravvive anche alla sua negazione, il suicidio stesso è
un'azione. Ma, se noi pensiamo bene, in quanto viviamo, noi risolviamo
il problema, noi rispondiamo al perché, che a volta a volta è un nuovo
perché, conseguiamo la meta, che a volta a volta è una nuova meta;
nella vita dunque il problema, nella vita, senza che noi ne siamo
consapevoli, la soluzione. L'azione è dunque perpetua soluzione del
problema della vita nella quale sono impegnati non solo il nostro
intelletto, ma il nostro cuore, il nostro corpo, il nostro io" (ibidem,
p.11).
Filosofare significa quindi per Enrica Carpita non solo pensare, ma
anche essere e agire, cioè far agire l'Essere che è in noi il primo
fondamento e il promotore di vita. Nell'intreccio di tutti i suoi
fattori costitutivi, la creatura umana realizza nell'azione pienamente
se stessa, cessa di concepirsi come un dato ed un fatto e si coglie
come processo sommamente dinamico, instauratore e produttore di realtà.
L'affinità profonda con l'idealismo dell'atto è abbastanza evidente e
la filosofa livornese la mette in risalto e studia le nuove
potenzialità dello spiritualismo blondeliano in relazione al grande
apporto che possono offrire all'attualismo. La sua indagine si sviluppa
pertanto in questa linea di collegamento tra posizioni "affini", nelle
quali il compito della filosofia consiste nel garantire la coincidenza
dell'essere e del fare, del sentire e del pensare, per procedere in
tutte le varie direzioni ontologiche e psicologiche, teoretiche e
pratiche. Ma, nel corso della ricerca di riferimenti, i risultati
fuoriescono dalla dimensione attualistica e investono, come si può
facilmente evincere, altre possibilità e profondità ontologiche.
La riforma blondeliana del filosofare conferma e rafforza a prima
vista la riforma idealistica di Gentile e ne determina il valore
ineguagliabile con l'obbligo di non potersi più sottrarre all'atto
spirituale: "Noi dobbiamo, per così dire, metterci in cammino senza
presupposto alcuno all'infuori di questo:la nostra interna
inquietudine, il dissidio che, agendo, sentiamo sorgere in noi fra il
peso
della necessità,da cui ci sentiamo incalzati,ed il bisogno di
libertà,rivelato da questa nostra stessa coscienza della costrizione
che ci opprime. Noi saremo quindi indotti a volger lo sguardo intorno
dal bisogno di comporre questo nostro interno dissidio; questo sarà il
movente, che ci farà rivolgere alla natura,al mondo,a Dio;non si
tratterà mai di una semplice fredda curiosità intellettuale,bensì di un
problema di vita:non esiste problema di conoscenza che non sia anche e
soprattutto problema morale" (ibidem,p.15). Per convincersi della
verità incontestabile di una tale concezione dell'esperienza, bisogna
allora superare un certo modo di fare filosofia, e la stessa logica
aristotelica, che è logica del fatto anziché dell'atto e del fare. Vi è
una sola scienza, dice la Carpita, e questa è la scienza del soggetto,
cioè la scienza dell'azione: "La vera scienza del soggetto non può
essere che una scienza dell'azione e, appunto perché tale, essa non può
certamente servirsi del metodo delle scienze positive" (ibidem, p.19).
Il soggetto, a sua volta, non ha parti, non è frantumabile e
decomponibile, esso è tutto nell'atto suo, in ogni atto suo e perciò va
studiato nel suo realizzarsi vivente, nel suo farsi in atto, con la
logica interna al suo stesso farsi. Ma il soggetto, nel suo atto, si
ritrova alla fine come "persona" e non si riduce al semplice atto
astratto di Giovanni Gentile. Questo è il punto di approdo carpitiano
che revisiona ed integra l'attualismo in chiave personalista.
La logica del fare blondeliano potrebbe accostarsi, sia pure
impropriamente, alla logica dell'atto
gentiliano, quella che la Carpita ha potuto apprendere direttamente
dalla viva voce del Maestro nelle sue lezioni pisane da lei
annotate tanto fedelmente con la sua capacità stenografica da farne un
documento importante di attenta trascrizione delle lezioni di Gentile.
E questa logica è, secondo Gentile, il vero isultato della riforma
della dialettica hegeliana già realizzata nella raccolta di interventi
filosofici del 1913 e alla quale egli era infine pervenuto
riallacciandosi agli studi critici di Bertrando Spaventa e
all'interpretazione della logica del concreto come un perenne divenire
dialettico risolutore dell'identità dell'essere nella sua eterna
processualità. Ma ciò non basta, giacché questa logica muove da
un principio immanentistico, mentre quella carpitiana richiede un
principio motore trascendente, in cui il Creatore rimane "distinto"
dalla "creatura". La Carpita teme in effetti nell'idealismo gentiliano
la boria del superuomo, che si accompagna pericolosamente all'idea di
una creatura-creatrice e di una vita sottoposta alla dialettica della
ragione-ragionante più che a quella della volontà-volente.
In realtà, Gentile è rimasto un allievo fedele di Hegel, nonostante la revisione della sua
dialettica, e quindi in lui la ragione, in ultima istanza,
esercita un dominio assoluto. Con Blondel s'immette invece
nell'attualismo un forte senso dell'Essere e della Volontà non
trasferibili totalmente nel divenire della storicità. Le verità logiche
si collegano così all'Essere, e la Ragione non ha più l'arrogante
potenza hegeliana. Questo è il passaggio determinante che la Carpita ha
voluto compiere per definire il concetto di persona umana fatta di
cuore, sangue, volontà, cervello e pensiero, ma anche di contingenza e
forti limitazioni e subordinazioni. Non è un caso che ella traduca per
la Sansoni ed introduca nella nostra cultura filosofica lo studio più
diligente e meno approssimativo di un autore come Boutroux, il grande
teorico moderno del principio di contingenza e di creazione (vedi E.
Carpita, "Introduzione" a E.Boutroux, "Dell'idea
di legge naturale nella scienza e nella filosofia contemporanea",
a cura di E. Carpita, Sansoni, Firenze 1963).E ne discuta a varie
riprese le opere e ne proponga la lettura ai suoi allievi e realizzi un
commento critico (che è rimasto inedito tra le sue carte) per la
didattica liceale. Ella è tra coloro (e sono davvero pochi) che in
Italia si sono occupati con sistematicità di questo filosofo e del suo
spiritualismo, strettamente intrecciandolo con il precedente studio su
Blondel e Bergson e con il suo sempre risorgente e aggiornato
attualismo, e con la sua visione critica della scienza ed il potente
rifiuto dello scientismo; e dimostrando fedeltà assoluta
all'inestinguibile e cara memoria di Giovanni Gentile, barbaramente
ucciso a Firenze nell'aprile del 1944, al quale dedica una bella e
commossa rilettura dell'idealismo attuale ne "La filosofia dell'arte di
Giovanni Gentile" pubblicata dalla Casa Editrice Sansoni proprio nel
1944: "L'estetica gentiliana è la risposta a chi ancora accusi
l'idealismo attuale di soggettivismo, di solipsismo, di tendenza a fare
svanire la realtà massiccia del mondo nelle nebulosità astratte del
pensiero logico. Il pensiero è svelatore, non divoratore della realtà"
(ivi,
p.216).
prof. Salvatore Ragonesi
salvatoreragonesi@hotmail.com