Il dato è confermato dal
Rapporto annuale dell’Istat: per le buste paga dei lavoratori pubblici
nel 2011 erano stati spesi 169.615 milioni di euro, ma l’anno
successivo la medesima spesa è scesa a 166.130 milioni (-2,1%); nel
2013 si è registrato ancora un calo, con la quota complessiva ridotta a
164.910 milioni (-0,7%); dato confermato nel 2014, quando la spesa è
passata a 163.874 milioni (-0,6%). I lavoratori statali sono gli unici,
inoltre, che nel 2014 non hanno fatto registrare alcun aumento nella
paga oraria. Il paradosso è che il blocco stipendiale nella PA non ha
prodotto alcun vantaggio per la collettività: la pressione fiscale “è
rimasta pressoché stabile” e “il debito pubblico è in aumento”.
Marcello Pacifico (Anief-Confedir): occorre subito procedere allo
sblocco dell’indennità di vacanza contrattuale per ancorare gli
stipendi base della scuola, cresciuti negli ultimi anni appena dell’8%,
a fronte di quelli della PA del 9% e al costo della vita salito del
12%. Come è possibile che al blocco degli stipendi degli statali non
sia corrisposto alcun vantaggio sotto forma di Pil, né di carattere
fiscale? Anziché parlare di merito per pochi eletti, il Governo farebbe
bene a voltare pagina e a rivedere tutto. Ad iniziare dalla riforma
sulla scuola. Dove la prima cosa da fare è riallineare gli stipendi di
tutto il personale all’inflazione.
Tanta è l’insistenza del Governo nell’introdurre il merito
professionale ad una ristretta porzione di docenti, non più del 10 per
cento, tanto poco è l’interesse dell’Esecutivo per la perdita di potere
degli stipendi di tutto il personale. Una perdita sempre più sensibile,
confermata dell’Istat attraverso il ‘Rapporto annuale 2015’, che tra le
varie analisi è andata a verificare i conti delle Amministrazioni
Pubbliche, per il periodo 1995-2014 elaborando i dati in conformità
alle regole comunitarie.
Da un approfondimento del corposo documento, realizzato dall’Ufficio
Studi dell’Anief, emerge che nell’ultimo quadriennio nella P.A. i
redditi da lavoro dipendente sono risultati in deciso calo: dalla
tavola 1.8 (pag. 30) risulta che per le buste paga dei lavoratori
pubblici nel 2011 erano stati spesi 169.615 milioni di euro, ma l’anno
successivo la medesima spesa è scesa a 166.130 milioni (-2,1%); nel
2013 si è registrato ancora un calo, con la quota complessiva ridotta a
164.910 milioni (corrispondenti ad un ulteriore -0,7%); dato confermato
nel 2014, quando la spesa è passata a 163.874 milioni (-0,6%).
Il rapporto dell’Istituto nazionale di statistica evidenza che “sono
ancora numerose le trattative contrattuali non concluse. Il
rallentamento della crescita delle retribuzioni contrattuali deriva
dall’aumentare dell’incidenza di contratti non rinnovati”. Inoltre, il
blocco delle retribuzione orarie per i dipendenti dello Stato,
sintetizzato dalla Tavola 1.6 (pagina 28), non trova riscontri in altri
comparti.
Entrando nello specifico, “nel comparto della pubblica amministrazione,
con l’estensione a tutto il 2014 del blocco dei rinnovi contrattuali,
l’attività negoziale è rimasta (e rimane tuttora) congelata. La
crescita delle retribuzioni contrattuali orarie nel 2014 è stata nel
complesso pari all’1,3 per cento. In particolare, nel settore
dell’industria si è registrata una dinamica del 2,2 per cento,
determinata quasi esclusivamente da applicazioni contrattuali
intercorse nell’anno; nel settore dei servizi di mercato la crescita
media delle retribuzioni, pari all’1,0 per cento, è stata sostenuta per
i due terzi dai miglioramenti economici intervenuti nel 2013; nel
comparto della pubblica amministrazione, le retribuzioni orarie sono
rimaste stabili”.
I lavoratori della scuola e della PA, in pratica, non hanno potuto
godere nemmeno di quell’incremento minimo dell'1,3% rispetto all'anno
precedente” nella media del 2014 la retribuzione oraria, corrispondente
peraltro al minimo storico di aumento dal 1982, anno d'inizio delle
serie.Da un’analisi dei redditi da lavoro dipendente delle
Amministrazioni Pubbliche per sotto-settore, relativa al periodo
1995/2014, emerge inoltre in modo netto la cristallizzazione delle
retribuzioni lorde pro capite medie. Sia sul lungo che sul breve
periodo: nel 2014, i lavoratori della pubblica amministrazione hanno
percepito 34.286 euro, con un decremento addirittura di circa 10 euro
rispetto al 2013.
Il paradosso è che il blocco stipendiale, riguardante 3 milioni 334mila
lavoratori pubblici (peraltro ridotti di 300mila unità rispetto al
2007), non ha prodotto alcun vantaggio per la collettività. A fronte di
un pressione fiscale, che “pur in presenza di un’ulteriore contrazione
dell’attività economica, è rimasta pressoché stabile (43,4 nel 2013 e
43,5 per cento nel 2014)”, l’Istat ha rilevato che “il debito pubblico
è in aumento. Secondo le stime più recenti della Banca d’Italia, il
debito pubblico ha raggiunto a fine 2014 i 2.134,9 miliardi, pari al
132,1 per cento del Pil. L’incremento rispetto all’anno precedente
(quando si attestava al 128,5 per cento) è stato di 66 miliardi, pari a
3,6 punti percentuali di Pil”.
Anief ricorda che a livello di singolo comparto, quello della scuola è
messo peggio di tutti: accusando un anno di più di blocco contrattuale,
che congela lo stipendio ai valori del 2009, e la mancata assegnazione
dell’indennità di vacanza contrattuale, sospesa almeno fino al 2018, lo
scorso anno i docenti e il personale Ata della scuola hanno avuto in
media solo 29.468, addirittura 80 euro in meno dell’anno precedente
(-0,3%). E sempre nella Scuola lo stesso saldo negativo si era
registrato anche l’anno prima e ancora più vistoso (-2,6%). Tra l’altro
non si tratta di una riduzione comune a tutti i comparti della PA:
perché, sempre nel 2013, i ministeriali e i vigili del fuoco hanno
potuto contare su un incremento medio stipendiale, seppure minimo,
dello 0,6 - 07%. I magistrati, l’anno prima, del 5,5%.
Il gap stipendiale si fa sentire anche rispetto all’estero. Perché a
fine carriera i nostri docenti della scuola superiore percepiscono
quasi 9mila euro in meno rispetto ai colleghi dell’area Ocde: un
insegnante di ruolo laureato della scuola superiore italiana dopo 15
anni di servizio percepisce meno di 27mila euro lordi, mentre un
collega tedesco con la stessa anzianità professionale circa il doppio.
Considerando il blocco dei contratti e dell’indennità contrattuale,
sino a tutto il 2018, la differenza non potrà che acuirsi.
E non si venga a dire che i docenti italiani guadagnano meno perché
lavorano poco. L’Ocse ha rilevato che per l’Italia nella scuola
primaria le 22 ore di insegnamento superano la media europea, pari a
19,6 ore; alle medie i nostri docenti stanno dietro la cattedra 18 ore
a settimana, contro le 16,3 Ue; alle superiori l’impegno si equivale.
In Germania e Francia, tanto per fare un esempio di Paesi a noi
“vicini”, l’orario di insegnamento è inferiore a quello dei docenti che
operano nella nostra penisola. E rispetto all’area Ocse il quadro non
cambia molto. E anche se si vanno a confrontare le ore aggiuntive alle
lezioni - preparazione e correzioni dei compiti, esami, colloqui con le
famiglie, consigli di classe, scrutini – risulta che i docenti italiani
dedicano alla loro professione quasi39 ore a settimana.
Anief ribadisce che è giunto il momento di dire basta alla
realizzazione degli obiettivi di invarianza finanziaria a danno della
categoria: già con ilContratto collettivo di lavoro, sottoscritto il 4
agosto 2011, si sono fortemente penalizzati gli scatti stipendiali,
andando a sacrificare, con l’accordo di quasi tutti i sindacati
rappresentativi, il primo “gradone” dei neo-assunti. I quali per
passare ad uno stipendio maggiore, qualora non abbiano svolto servizio
di pre-ruolo, devono attendere un decennio.
Per Marcello Pacifico, presidente Anief e segretario organizzativo
Confedir, “bisogna prima di subito procedere allo sblocco
dell’indennità di vacanza contrattuale per ancorare gli stipendi base
della scuola, cresciuti negli ultimi anni appena dell’8%, a fronte di
quelli della PA del 9% e al costo della vita salito del 12%. Viene da
chiedersi come è possibile che al blocco degli stipendi degli statali
non sia corrisposto alcun vantaggio sotto forma di Pil, visto che per
l’Istat il debito è aumentato di oltre il 3,5%, né di carattere
fiscale, poiché si è registrato nell’ultimo anno addirittura un lieve
inasprimento delle tasse. A questo punto anziché parlare di merito per
pochi eletti, vicini ai dirigenti, il Governo farebbe bene a voltare
pagina e a rivedere tutto. Ad iniziare dalla riforma sulla scuola. Dove
– conclude Pacifico – la prima cosa da fare è riallineare gli stipendi
di tutto il personale all’inflazione”.
Anief.org