Le storie della filosofia e le varie ricognizioni storiografiche degli
studiosi si fermano solitamente agli anni Venti-Trenta del Novecento
quando Giovanni Gentile (Castelvetrano, 1875-Firenze, 1944) assume un
atteggiamento ostile al Concordato tra Stato e Chiesa e contesta in
particolare la solenne dichiarazione concordataria di una religione
cattolica che deve stare a fondamento e coronamento
dell'istruzione, poiché ritiene che una tale affermazione non solo
fornisce un primato anacronistico alla Chiesa cattolica, ma propone
pure un tipo di educazione incompleta e parziale, privata cioè della
sua migliore qualità altamente critica e profondamente creativa e
ricettiva del divino. La totalità educativa, secondo il Filosofo
idealista, non può che essere conquistata e determinata dalla
criticità e dalla libertà dello spirito come coronamento e
completamento dello sviluppo educativo, giacché solo così la formazione
umana può ottenere la sua più autentica realizzazione laica e la
sua vera sintesi.
Il Filosofo siciliano ritiene inoltre di aver dato tutto lo spazio
possibile alla religione cattolica nella scuola italiana con la riforma
ordinamentale e contenutistica del 1923 e con l'inserimento della
stessa religione nell'insegnamento elementare. Adesso si tratta
invece di un eccesso medievale insopportabile, nella moderna civiltà,
grazie al quale la definizione concordataria è troppo
rigida nell'affermazione decisa del principio religioso in stretto
collegamento con la Chiesa cattolica rappresentata sul piano
intellettuale e polemico dal francescano Agostino Gemelli, irriducibile
avversario di ogni proposizione contraria al nuovo rapporto tra Stato e
Chiesa L'11 febbraio 1929 i Patti lateranensi,
nell'articolo 36 del Concordato, dichiarano in modo definitivo e
solenne "fondamento e coronamento dell'istruzione pubblica
l'insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla
tradizione cattolica", e lo estendono alla scuola media, di primo e
secondo grado, contro i princìpi ispiratori della riforma gentiliana
del 1923. Non solo, ma la contestazione a oltranza da parte di
Gentile ottiene il risultato di vedere i suoi libri messi all'Indice e
le sue idee filosofiche bollate in quanto espressione di ateismo.
Dice Padre Gemelli nel giugno del 1929: "Che Ella abbia reso
servizi alla scuola italiana e che ciò abbia potuto giovare anche alla
Chiesa cattolica, questo è fuori discussione; ma che questo debba
avallare la di Lei filosofia, permetta che io lo contesti". Insomma, il
Padre francescano lo invita a non creare confusione tra filosofia
attualistica e religione cattolica ed a starsene tranquillo per il suo
bene, che però viene ugualmente messo in pericolo con la pubblicazione
dell'Index librorum prohibitorum da parte del Sant'Uffizio e la
segnalazione delle sue opere tra quelle proibite, anche se ciò
gli procura in verità una certa fama internazionale.
Intervenendo poi al XIV congresso nazionale di filosofia,nell'ottobre
del 1940, Gentile difende il suo attualismo dagli attacchi che ormai
provengono da più parti, e soprattutto da parte di suoi antichi
discepoli vicini alla Chiesa e all'Università Cattolica di Milano, e
contro coloro che hanno contribuito a mettere all'Indice le sue opere.
Il suo pensiero adesso volge verso la valorizzazione del sentimento:
"Il sentimento è stato dalle scuole socratiche in poi la crux philosophorum. Veduto sempre,
per quanto oscuramente, come un rapporto di tutta la vita dello spirito
al soggetto, fu sempre svalutato - fino al secolo decimottavo e
propriamente a Kant e ai suoi immediati predecessori - come una facoltà
inferiore dell'anima, il cui operare attraversasse e impedisse
piuttosto che agevolare il cammino di essa verso il suo fine [...] E
s'intende perché tale dovesse essere la loro tendenza, e perché questa
tendenza dovesse più vigorosa che mai affermarsi nell'età moderna in
una filosofia che per uno dei suoi aspetti fondamentali è la
quintessenza della concezione greca della vita, voglio dire nella
filosofia di Spinoza. La cui Ethica
è tutta costruita come dottrina della libertà che si conquista mediante
l'affrancamento dell'anima dalle passioni: per liberarci dalle quali
basta conoscerle e cioè scoprirne le cause e rendersi conto della loro
naturale necessità. S'intende, se si riflette al carattere affatto
naturalistico e intellettualistico di quella concezione della vita per
la quale la realtà era la natura, il cosmo, esistente indipendentemente
dal pensiero dell'uomo, e che l'uomo aspira naturalmente non a
trasformare per crearne uno migliore, che sia il suo mondo, il mondo
morale, ma solo a conoscere e quindi la funzione essenziale dello
spirito umano, concepita come attività puramente teoretica e
speculativa, destituita di ogni efficacia pratica" (Giovanni Gentile, La filosofia dell'arte,
Sansoni, Firenze 1955, pp. 76-77).
A questo punto del percorso gentiliano (e siamo pervenuti all'inizio
degli anni Trenta), l'attualismo scopre dunque la nuova componente
sentimentale e la concepisce come il fondamento incrollabile di
tutto l'edificio ontologico. E La
filosofia dell'arte, pubblicata nel 1931, segna un passaggio di
grande importanza nella vita intellettuale del Filosofo, che non
abbandona alle ortiche le sue precedenti opere sistematiche scritte nei
primi due decenni del secolo, quali La riforma della dialettica hegeliana,
il Sommario di pedagogia come scienza
filosofica, la Teoria generale
dello spirito come atto puro e il Sistema di logica come teoria del conoscere,
ma le integra aggiornando il suo attualismo con l'esigenza di
immettervi elementi sentimentali capaci di supportare la religiosità e
la fede nel divino. La certezza dell'esistenza di un Dio nasce
nell'uomo proprio dal sentimento fondamentale che lo lega intimamente
alla vita e che lo definisce come individuo e persona: "Il
sentimento è bensì proprio dell'uomo particolare, col suo senso e col
suo corpo ed è tutto chiuso nella sua particolarità incomunicabile
dell'uomo in quanto ha il suo corpo limitato entro certi confini,e con
esso una sensibilità." (ibidem, p. 78). Quando con il Cristianesimo
sorge una nuova concezione della vita,il sentimento assume "maggiore
importanza del sapere razionale e della filosofia dei dotti", e fa
parlare di amore che ricrea, di fede, di speranza "di atteggiamenti
insomma dello spirito che non possono essere conclusioni di
sillogismi e per i quali tuttavia si fanno progressi infinitamente
maggiori che non se ne siano mai fatti o mai se ne possono fare con la
più squisita sapienza" (ibidem, p. 79). Ma cos'è questo sentimento?
Esso è la "forza che regge e sorregge l'animo, e nell'animo tutto che
vi si raccoglie ed incentra è appunto il sentimento. Il quale è
bensì sempre superato e come disciolto nel pensiero che ha virtù di
oggettivare e quindi di alienare dal soggetto quel che altrimenti
sarebbe affatto intimo a questo e tutt'uno con esso. Ma se al pensiero
venisse una volta a mancare il sentimento che egli oggettiva, il
pensiero verrebbe a lavorare nel vuoto, e cioè a cadere nel nulla"
(ibidem, p. 86).
Il sentimento più profondo è quello della presenza di Dio che non può
mai mancare nell'uomo e che è anzi costitutivo di umanità, della sua
stessa umanità e spiritualità profonda. Nell'individuo concreto e
corposo si instaura perciò la componente religiosa fondata sul
sentimento e si innalza il pensiero religioso che rimane avvinghiato
alla sua concretezza. Muta la prospettiva filosofica di Gentile e la
distanza dal cattolicesimo diventa impercettibile nell'insistenza sul
sentimento fondamentale del divino e del Dio che si fa uomo e che
divinizza l'umanità. La stessa rivendicazione di umanità
spiritualizzata e di divinizzazione dell'umano tende a recuperare ogni
elemento idoneo alla fede religiosa e alla costruzione di una
teologia filosofica: "Il discorso che intendo fare è molto delicato,
perché facilmente si presta ad equivoci mentre tocca tutti gli
interessi della vita umana. E perciò mi sforzerò di essere franco ed
esplicito usando la massima schiettezza, sgombrando risolutamente
dall'animo ogni considerazione estranea all'argomento,nella speranza
che chi mi ascolta creda alla mia schiettezza e sia disposto a
prendere le mie parole per quel che esse suonano, senza cercare se
dietro di esse possa esserci altro ch'io non dica" ( Giovanni Gentile, La mia religione, Sansoni, Firenze
1943, p. 5). Si tratta della estrema Professione di fede del Gentile,
che tiene la conferenza sul tema della sua religiosità il 9 febbraio
1943 nell'Aula Magna dell'Università di Firenze e che intende
ricostruire una nuova teologia a dispetto dei suoi avversari
neoscolastici e neotomisti: "Così, per cominciare, fo la mia aperta
professione di fede, che per chi conosce i miei scritti non riuscirà
forse nuova. L'ho fatta, per lo meno, nel 1926;ma da allora ha giovato
molto poco, perché molti l'accolsero con quel fare diffidente [...]
Ripeto dunque la mia professione di fede, piaccia o dispiaccia a chi mi
sta a sentire; io sono cristiano. Sono cristiano perché credo nella
religione dello spirito: Ma voglio subito aggiungere a scanso di
equivoci: io sono cattolico. E non da oggi;sia anche questo ben
chiaro. Cattolico a rigore sono dal 1875, ossia da quando sono al
mondo" (ibidem, pp. 6-7).
I princìpi dell'attualismo vengono così ripresi, quasi riformulati e
comunque ripensati alla nuova luce religiosa nella forma
cristiana e cattolica e nella loro intima essenza spirituale.
Nell'unione con il Dio cristiano si ritrova adesso la nuova umanità
redenta che percorre la via della salvezza e dell'affrancamento
attraverso la grazia ed il recupero completo dell'autocoscienza nella
sua espressione più pura del sentimentale fondamentale di sé e
nella versione più autenticamente e sinceramente religiosa: "Se
domandate a me quale sia la mia religione, io vi dico in tutta
sincerità che io mi sento e perciò credo di essere non solo cristiano,
ma anche cattolico" (ibidem, p. 9). E Gentile spiega ancora perché
cristiano e cattolico: "La religione cristiana è la religione dello
spirito, per la quale Dio è spirito; ma è spirito in quanto l'uomo è
spirito; e Dio e l'uomo nella sua realtà dello spirito sono due e sono
uno; sicché l'uomo è veramente uomo soltanto nella sua
unità con Dio: pensiero divino e divina volontà: E Dio da parte sua è
il vero Dio in quanto è tutt'uno con l'uomo, che lo compie nella sua
essenza: Dio incarnato, fatto uomo e crocifisso. Perché cattolico?
Perché religione è chiesa; come ogni attività spirituale (scientifica,
filosofica, artistica, pratica) è universale, propria di un soggetto
che si espande all'infinito: comunità illimitata nella quale il mio Dio
è Dio se è Dio di tutti" (ibidem, p. 9). In tale comunione con Dio,
l'uomo supera l'originaria immediatezza sensoriale e sentimentale e
ama, vuole e pensa e si realizza nella vivente attualità della sintesi
di divino e umano. Questo è il pensiero autentico di Gentile nella fase
di cui stiamo parlando e che comprende pure l'altro saggio di
fondamentale valore quale è Genesi e
struttura della società scritto a Troghi (Firenze) tra l'agosto
ed i primi di settembre del 1943. Qui finalmente si chiarisce che
la vera laicità è quella "che sa la religione elemento essenziale
alla propria esistenza e cura perciò il suo sviluppo, promuove
l'educazione religiosa, favorisce la religione nazionale, e mira a
risolvere l'immediatezza della religione nella mediazione critica
dell'autoconcetto (del pensiero)" e che questa laicità non si può
confrontare con quella "inferiore" degli ignari e degli "impotenti", ma
"Dio, anche ignorato e disconosciuto, è sempre lì nel fondo del nostro
cuore; e ci punge, ci agita, ci turba finché non sia stato scoperto e
confessato" (Giovanni Gentile, Genesi
e struttura della società, Sansoni, Firenze 1946, p. 89). Ogni
commento sarebbe inutile o fuorviante.
Vi è pertanto nell'ultimo Gentile un accentuarsi dell'aspetto
religioso, quasi in corrispondenza di una previsione della morte
imminente, e una trasformazione abbastanza evidente dell'attualismo in
metafisica e teologia. La conferenza fiorentina del 9 febbraio 1943 ne
è la dimostrazione più che probante con l'uso inconsueto di
affermazioni e allocuzioni prese in prestito dal linguaggio
teologico e confessionale, anche se ciò non esclude una carica di
soggettività con la quale il cattolicesimo è vissuto ed interpretato,
né la reintroduzione nell'umana natura di un margine di libertà di
fronte alla potenza della grazia divina con la quale si
conquistano la redenzione e la salvezza: "I dommi della
Chiesa non possono essere altro che i miei dommi e in
generale la Chiesa alla quale mi ascrivo non può essere altro che la
mia Chiesa e ubbidienza e ribellione, conformismo o non conformismo
hanno un significato soltanto in rapporto non alla mia Chiesa,ma
ad una Chiesa che non è la vera Chiesa(almeno per me, a cui
richiede ubbidienza e conformismo)" (ibidem, p. 13). Ma la conclamata
disciplina di Gentile non può evitare l'attacco contro quella Chiesa
storica i cui organi centrali non ammettono dissenso,ribellioni e
lotte, "senza di che la Chiesa sarebbe stagnata in una morta gora,
privata di quello spirito che le dà vita, e perciò svolgimento"
(ibidem, p. 14). Di qui la difesa della sua opera che sarebbe tutta
scritta all'insegna del Cristianesimo e degli insegnamenti ricevuti in
famiglia da sua madre, fervente cattolica: "Così ora rileggo quelle
pagine che via via sono venuto scrivendo (ahimé quante!) e non
trovo sillaba da cancellare quantunque talune forme polemiche non
riescano più di mio gusto e maggiormente senta la convenienza di
smorzare certi toni dommatizzanti" (ibidem, p. 16).
Gentile esclude categoricamente che la sua concezione umanizzi Dio e
divinizzi l'uomo, ma in effetti l'uomo che scopre in sé Dio, "ed in
certo senso lo crea", non è più l'uomo naturale, bensì quello
spirituale, l'uomo che ha sentimento e ragione e che produce il divino
dentro di sé alimentandosi di pure emozioni e di vivace
intelligenza, perché fuori di sé la religione svapora, si
inaridisce o si affievolisce. E non si esclude che la religione possa
convivere con la filosofia e dentro la filosofia, dice Gentile, per il
quale essa "non può non passare attraverso il fuoco del pensiero per
tema di bruciarsi le ali che la sorreggano nel suo volo a Dio", ma "nel
fuoco del pensiero essa acquista il calore della vita e la forza onde
tutto si assicura nella vita dello spirito" (ibidem, p. 35). Il
risultato è la fusione di religione e filosofia, cosa che in effetti
aderisce perfettamente agli esiti estremi dell'attualismo neoidealista
alla ricerca della libertà profonda dell'animo e della norma morale e
razionale da osservare in obbedienza ad una superiore istanza
teologica, che non rischia, hegelianamente, di venire superata dalla
suprema istanza filosofica. La religione rimane nella sua dimensione
positiva e negativa e rivela la sua essenziale funzione di
santificazione dell'uomo e di limite dell'umano, di esaltazione e di
depressione, e, in sostanza di partecipazione dell'uomo
all'Essere divino. Per questa ragione, che coincide con la
perenne necessità dello svolgimento umano alla conquista
dell'universale e della perfezione, la religione, secondo il
Pensatore siciliano, non può subire il processo di superamento
dialettico nella filosofia, ma può soltanto fondersi con essa,
dimostrando la sua eterna vitalità.
prof. Salvatore Ragonesi