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Umanistiche: L‘estrema 'Professione di fede' di Giovanni Gentile. Una conferenza fiorentina del 1943

Redazione
Le storie della filosofia e le varie ricognizioni storiografiche degli studiosi si fermano solitamente agli anni Venti-Trenta del Novecento quando Giovanni Gentile (Castelvetrano, 1875-Firenze, 1944) assume un atteggiamento ostile al Concordato tra Stato e Chiesa e contesta in particolare la solenne dichiarazione concordataria di una religione cattolica che deve stare a fondamento e coronamento dell'istruzione, poiché ritiene che una tale affermazione non solo fornisce un primato anacronistico alla Chiesa cattolica, ma propone pure un tipo di educazione incompleta e parziale, privata cioè della sua migliore qualità altamente critica e profondamente creativa e ricettiva del divino. La totalità educativa, secondo il Filosofo idealista, non può che essere conquistata e determinata dalla criticità e dalla libertà dello spirito come coronamento e completamento dello sviluppo educativo, giacché solo così la formazione umana può ottenere la sua più autentica realizzazione laica e la sua vera sintesi.

Il Filosofo siciliano ritiene inoltre di aver dato tutto lo spazio possibile alla religione cattolica nella scuola italiana con la riforma ordinamentale e contenutistica del 1923 e con l'inserimento della stessa religione nell'insegnamento elementare. Adesso si tratta invece di un eccesso medievale insopportabile, nella moderna civiltà, grazie al quale la definizione concordataria è troppo rigida nell'affermazione decisa del principio religioso in stretto collegamento con la Chiesa cattolica rappresentata sul piano intellettuale e polemico dal francescano Agostino Gemelli, irriducibile avversario di ogni proposizione contraria al nuovo rapporto tra Stato e Chiesa L'11 febbraio 1929 i Patti lateranensi, nell'articolo 36 del Concordato, dichiarano in modo definitivo e solenne "fondamento e coronamento dell'istruzione pubblica l'insegnamento della dottrina cristiana secondo la forma ricevuta dalla tradizione cattolica", e lo estendono alla scuola media, di primo e secondo grado, contro i princìpi ispiratori della riforma gentiliana del 1923. Non solo, ma la contestazione a oltranza da parte di Gentile ottiene il risultato di vedere i suoi libri messi all'Indice e le sue idee filosofiche bollate in quanto espressione di ateismo. Dice Padre Gemelli nel giugno del 1929: "Che Ella abbia reso servizi alla scuola italiana e che ciò abbia potuto giovare anche alla Chiesa cattolica, questo è fuori discussione; ma che questo debba avallare la di Lei filosofia, permetta che io lo contesti". Insomma, il Padre francescano lo invita a non creare confusione tra filosofia attualistica e religione cattolica ed a starsene tranquillo per il suo bene, che però viene ugualmente messo in pericolo con la pubblicazione dell'Index librorum prohibitorum da parte del Sant'Uffizio e la segnalazione delle sue opere tra quelle proibite, anche se ciò gli procura in verità una certa fama internazionale.

Intervenendo poi al XIV congresso nazionale di filosofia,nell'ottobre del 1940, Gentile difende il suo attualismo dagli attacchi che ormai provengono da più parti, e soprattutto da parte di suoi antichi discepoli vicini alla Chiesa e all'Università Cattolica di Milano, e contro coloro che hanno contribuito a mettere all'Indice le sue opere. Il suo pensiero adesso volge verso la valorizzazione del sentimento: "Il sentimento è stato dalle scuole socratiche in poi la crux philosophorum. Veduto sempre, per quanto oscuramente, come un rapporto di tutta la vita dello spirito al soggetto, fu sempre svalutato - fino al secolo decimottavo e propriamente a Kant e ai suoi immediati predecessori - come una facoltà inferiore dell'anima, il cui operare attraversasse e impedisse piuttosto che agevolare il cammino di essa verso il suo fine [...] E s'intende perché tale dovesse essere la loro tendenza, e perché questa tendenza dovesse più vigorosa che mai affermarsi nell'età moderna in una filosofia che per uno dei suoi aspetti fondamentali è la quintessenza della concezione greca della vita, voglio dire nella filosofia di Spinoza. La cui Ethica è tutta costruita come dottrina della libertà che si conquista mediante l'affrancamento dell'anima dalle passioni: per liberarci dalle quali basta conoscerle e cioè scoprirne le cause e rendersi conto della loro naturale necessità. S'intende, se si riflette al carattere affatto naturalistico e intellettualistico di quella concezione della vita per la quale la realtà era la natura, il cosmo, esistente indipendentemente dal pensiero dell'uomo, e che l'uomo aspira naturalmente non a trasformare per crearne uno migliore, che sia il suo mondo, il mondo morale, ma solo a conoscere e quindi la funzione essenziale dello spirito umano, concepita come attività puramente teoretica e speculativa, destituita di ogni efficacia pratica" (Giovanni Gentile, La filosofia dell'arte, Sansoni, Firenze 1955, pp. 76-77).

A questo punto del percorso gentiliano (e siamo pervenuti all'inizio degli anni Trenta), l'attualismo scopre dunque la nuova componente sentimentale e la concepisce come il fondamento incrollabile di tutto l'edificio ontologico. E La filosofia dell'arte, pubblicata nel 1931, segna un passaggio di grande importanza nella vita intellettuale del Filosofo, che non abbandona alle ortiche le sue precedenti opere sistematiche scritte nei primi due decenni del secolo, quali La riforma della dialettica hegeliana, il Sommario di pedagogia come scienza filosofica, la Teoria generale dello spirito come atto puro e il Sistema di logica come teoria del conoscere, ma le integra aggiornando il suo attualismo con l'esigenza di immettervi elementi sentimentali capaci di supportare la religiosità e la fede nel divino. La certezza dell'esistenza di un Dio nasce nell'uomo proprio dal sentimento fondamentale che lo lega intimamente alla vita e che lo definisce come individuo e persona: "Il sentimento è bensì proprio dell'uomo particolare, col suo senso e col suo corpo ed è tutto chiuso nella sua particolarità incomunicabile dell'uomo in quanto ha il suo corpo limitato entro certi confini,e con esso una sensibilità." (ibidem, p. 78). Quando con il Cristianesimo sorge una nuova concezione della vita,il sentimento assume "maggiore importanza del sapere razionale e della filosofia dei dotti", e fa parlare di amore che ricrea, di fede, di speranza "di atteggiamenti insomma dello spirito che non possono essere conclusioni di sillogismi e per i quali tuttavia si fanno progressi infinitamente maggiori che non se ne siano mai fatti o mai se ne possono fare con la più squisita sapienza" (ibidem, p. 79). Ma cos'è questo sentimento? Esso è la "forza che regge e sorregge l'animo, e nell'animo tutto che vi si raccoglie ed incentra è appunto il sentimento. Il quale è bensì sempre superato e come disciolto nel pensiero che ha virtù di oggettivare e quindi di alienare dal soggetto quel che altrimenti sarebbe affatto intimo a questo e tutt'uno con esso. Ma se al pensiero venisse una volta a mancare il sentimento che egli oggettiva, il pensiero verrebbe a lavorare nel vuoto, e cioè a cadere nel nulla" (ibidem, p. 86).
Il sentimento più profondo è quello della presenza di Dio che non può mai mancare nell'uomo e che è anzi costitutivo di umanità, della sua stessa umanità e spiritualità profonda. Nell'individuo concreto e corposo si instaura perciò la componente religiosa fondata sul sentimento e si innalza il pensiero religioso che rimane avvinghiato alla sua concretezza. Muta la prospettiva filosofica di Gentile e la distanza dal cattolicesimo diventa impercettibile nell'insistenza sul sentimento fondamentale del divino e del Dio che si fa uomo e che divinizza l'umanità. La stessa rivendicazione di umanità spiritualizzata e di divinizzazione dell'umano tende a recuperare ogni elemento idoneo alla fede religiosa e alla costruzione di una teologia filosofica: "Il discorso che intendo fare è molto delicato, perché facilmente si presta ad equivoci mentre tocca tutti gli interessi della vita umana. E perciò mi sforzerò di essere franco ed esplicito usando la massima schiettezza, sgombrando risolutamente dall'animo ogni considerazione estranea all'argomento,nella speranza che chi mi ascolta creda alla mia schiettezza e sia disposto a prendere le mie parole per quel che esse suonano, senza cercare se dietro di esse possa esserci altro ch'io non dica" ( Giovanni Gentile, La mia religione, Sansoni, Firenze 1943, p. 5). Si tratta della estrema Professione di fede del Gentile, che tiene la conferenza sul tema della sua religiosità il 9 febbraio 1943 nell'Aula Magna dell'Università di Firenze e che intende ricostruire una nuova teologia a dispetto dei suoi avversari neoscolastici e neotomisti: "Così, per cominciare, fo la mia aperta professione di fede, che per chi conosce i miei scritti non riuscirà forse nuova. L'ho fatta, per lo meno, nel 1926;ma da allora ha giovato molto poco, perché molti l'accolsero con quel fare diffidente [...] Ripeto dunque la mia professione di fede, piaccia o dispiaccia a chi mi sta a sentire; io sono cristiano. Sono cristiano perché credo nella religione dello spirito: Ma voglio subito aggiungere a scanso di equivoci: io sono cattolico. E non da oggi;sia anche questo ben chiaro. Cattolico a rigore sono dal 1875, ossia da quando sono al mondo" (ibidem, pp. 6-7).

I princìpi dell'attualismo vengono così ripresi, quasi riformulati e comunque ripensati alla nuova luce religiosa nella forma cristiana e cattolica e nella loro intima essenza spirituale. Nell'unione con il Dio cristiano si ritrova adesso la nuova umanità redenta che percorre la via della salvezza e dell'affrancamento attraverso la grazia ed il recupero completo dell'autocoscienza nella sua espressione più pura del sentimentale fondamentale di sé e nella versione più autenticamente e sinceramente religiosa: "Se domandate a me quale sia la mia religione, io vi dico in tutta sincerità che io mi sento e perciò credo di essere non solo cristiano, ma anche cattolico" (ibidem, p. 9). E Gentile spiega ancora perché cristiano e cattolico: "La religione cristiana è la religione dello spirito, per la quale Dio è spirito; ma è spirito in quanto l'uomo è spirito; e Dio e l'uomo nella sua realtà dello spirito sono due e sono uno; sicché l'uomo è veramente uomo soltanto nella sua unità con Dio: pensiero divino e divina volontà: E Dio da parte sua è il vero Dio in quanto è tutt'uno con l'uomo, che lo compie nella sua essenza: Dio incarnato, fatto uomo e crocifisso. Perché cattolico? Perché religione è chiesa; come ogni attività spirituale (scientifica, filosofica, artistica, pratica) è universale, propria di un soggetto che si espande all'infinito: comunità illimitata nella quale il mio Dio è Dio se è Dio di tutti" (ibidem, p. 9). In tale comunione con Dio, l'uomo supera l'originaria immediatezza sensoriale e sentimentale e ama, vuole e pensa e si realizza nella vivente attualità della sintesi di divino e umano. Questo è il pensiero autentico di Gentile nella fase di cui stiamo parlando e che comprende pure l'altro saggio di fondamentale valore quale è Genesi e struttura della società scritto a Troghi (Firenze) tra l'agosto ed i primi di settembre del 1943. Qui finalmente si chiarisce che la vera laicità è quella "che sa la religione elemento essenziale alla propria esistenza e cura perciò il suo sviluppo, promuove l'educazione religiosa, favorisce la religione nazionale, e mira a risolvere l'immediatezza della religione nella mediazione critica dell'autoconcetto (del pensiero)" e che questa laicità non si può confrontare con quella "inferiore" degli ignari e degli "impotenti", ma "Dio, anche ignorato e disconosciuto, è sempre lì nel fondo del nostro cuore; e ci punge, ci agita, ci turba finché non sia stato scoperto e confessato" (Giovanni Gentile, Genesi e struttura della società, Sansoni, Firenze 1946, p. 89). Ogni commento sarebbe inutile o fuorviante.

Vi è pertanto nell'ultimo Gentile un accentuarsi dell'aspetto religioso, quasi in corrispondenza di una previsione della morte imminente, e una trasformazione abbastanza evidente dell'attualismo in metafisica e teologia. La conferenza fiorentina del 9 febbraio 1943 ne è la dimostrazione più che probante con l'uso inconsueto di affermazioni e allocuzioni prese in prestito dal linguaggio teologico e confessionale, anche se ciò non esclude una carica di soggettività con la quale il cattolicesimo è vissuto ed interpretato, né la reintroduzione nell'umana natura di un margine di libertà di fronte alla potenza della grazia divina con la quale si conquistano la redenzione e la salvezza: "I dommi della Chiesa non possono essere altro che i miei dommi e in generale la Chiesa alla quale mi ascrivo non può essere altro che la mia Chiesa e ubbidienza e ribellione, conformismo o non conformismo hanno un significato soltanto in rapporto non alla mia Chiesa,ma ad una Chiesa che non è la vera Chiesa(almeno per me, a cui richiede ubbidienza e conformismo)" (ibidem, p. 13). Ma la conclamata disciplina di Gentile non può evitare l'attacco contro quella Chiesa storica i cui organi centrali non ammettono dissenso,ribellioni e lotte, "senza di che la Chiesa sarebbe stagnata in una morta gora, privata di quello spirito che le dà vita, e perciò svolgimento" (ibidem, p. 14). Di qui la difesa della sua opera che sarebbe tutta scritta all'insegna del Cristianesimo e degli insegnamenti ricevuti in famiglia da sua madre, fervente cattolica: "Così ora rileggo quelle pagine che via via sono venuto scrivendo (ahimé quante!) e non trovo sillaba da cancellare quantunque talune forme polemiche non riescano più di mio gusto e maggiormente senta la convenienza di smorzare certi toni dommatizzanti" (ibidem, p. 16).

Gentile esclude categoricamente che la sua concezione umanizzi Dio e divinizzi l'uomo, ma in effetti l'uomo che scopre in sé Dio, "ed in certo senso lo crea", non è più l'uomo naturale, bensì quello spirituale, l'uomo che ha sentimento e ragione e che produce il divino dentro di sé alimentandosi di pure emozioni e di vivace intelligenza, perché fuori di sé la religione svapora, si inaridisce o si affievolisce. E non si esclude che la religione possa convivere con la filosofia e dentro la filosofia, dice Gentile, per il quale essa "non può non passare attraverso il fuoco del pensiero per tema di bruciarsi le ali che la sorreggano nel suo volo a Dio", ma "nel fuoco del pensiero essa acquista il calore della vita e la forza onde tutto si assicura nella vita dello spirito" (ibidem, p. 35). Il risultato è la fusione di religione e filosofia, cosa che in effetti aderisce perfettamente agli esiti estremi dell'attualismo neoidealista alla ricerca della libertà profonda dell'animo e della norma morale e razionale da osservare in obbedienza ad una superiore istanza teologica, che non rischia, hegelianamente, di venire superata dalla suprema istanza filosofica. La religione rimane nella sua dimensione positiva e negativa e rivela la sua essenziale funzione di santificazione dell'uomo e di limite dell'umano, di esaltazione e di depressione, e, in sostanza di partecipazione dell'uomo all'Essere divino. Per questa ragione, che coincide con la perenne necessità dello svolgimento umano alla conquista dell'universale e della perfezione, la religione, secondo il Pensatore siciliano, non può subire il processo di superamento dialettico nella filosofia, ma può soltanto fondersi con essa, dimostrando la sua eterna vitalità.

prof. Salvatore Ragonesi








Postato il Lunedì, 24 agosto 2015 ore 01:30:00 CEST di Michelangelo Nicotra
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