
Ma è lotta di partiti, non guerra di resistenza" ( Federico Chabod, L'Italia contemporanea, Einaudi, Torino 1961, p.120).
Chabod è grandissimo storico dell'età moderna, ma sulla Resistenza a lui contemporanea gli sfuggono diversi elementi di giudizio ed in primo luogo il fatto che il Sud non poteva stare a guardare per evidenti ed inoppugnabili ragioni. Aveva visto bene, perciò, il Croce che riteneva la contemporaneità una categoria da trattare con molta prudenza e possibilmente con una certa distanza cronologica per evitare l'approccio meramente cronachistico e parziale. La storia possiede una maggiore credibilità rispetto alla cronaca per la completezza quantitativa delle informazioni e la migliore qualità dell'interpretazione e della ricostruzione degli avvenimenti,che devono essere fortemente e chiaramente documentati da una intellezione depositata in attestazioni certe e e verificabili.
Più volte ho rivelato la presenza della lotta di liberazione in Sicilia, in coincidenza dello sbarco alleato nell'Isola, e delle prime stragi nazifasciste nei paesi dell'Etna, e altrettante volte mi è capitato di apprezzare l'indimenticato Giorgio Bocca della Storia dell'Italia partigiana per i primi timidi accenni di grande significato volti a delineare la Resistenza nelle città del Sud, da Potenza a Matera e da Napoli a Cajazzo. L'insurrezione di Napoli non è stata l'unica nel Meridione, giacché altre ve ne furono in centri minori, come a Matera già il 21 settembre 1943 e in vari paesi dell'Irpinia, della Terra di Lavoro, del Molise e dell'Abruzzo: "In alcuni casi gli insorti, pur con perdite non lievi, riuscirono a cacciare i tedeschi prima dell'arrivo degli alleati; in altri le rivolte fallirono e le repressioni furono durissime, come avvenne a Lanciano tra il 4 e il 6 ottobre" (Giorgio Candeloro, Storia dell'Italia moderna. La Resistenza, Feltrinelli, Milano 2002, p. 231). E più volte ho parlato di militari meridionali "sbandati" dopo l'8 settembre che, non potendo ritornare nelle loro case lontane e non volendo aderire alla Repubblica Sociale di Salò, si diedero alla macchia e costruirono le prime postazioni resistenziali sui monti a ridosso delle grandi e piccole città del Centro-Nord, da Genova a Torino, da Milano a Udine, da Montepulciano a Pontremoli, ecc.
Questo fenomeno di iniziale resistenza spontanea affidata alle armi dei militari "sbandati", e soprattutto di quelli meridionali, non è stato adeguatamente analizzato, ma esso merita una particolare attenzione storiografica, come la meritano Cefalonia, i militari italiani massacrati,quelli dissidenti internati nei campi di concentramento in Germania e tutti quei religiosi che hanno accolto con grave rischio nelle loro parrocchie e nei loro conventi ebrei, antifascisti e partigiani. L'episodio dei monaci dell'abbazia di Farneta presso Lucca, deportati e racchiusi dai nazifascisti nel Castello "Malaspina" di Massa e fucilati il 16 settembre 1944 in luoghi periferici di questa città e distribuiti come tanti sacchi di patate lungo il percorso e successivamente raccolti da mani pietose, collocati nelle Fosse del Frigido segnalate poi da un'altissima e artistica colonna commemorativa, non può essere trascurato o minimizzato e sollecita una diversa visione e ricostruzione storiografica distante e quasi estranea ai vecchi schemi pur decorosi ed austeri della Storia della Resistenza italiana di Roberto Battaglia. Così per il Sud e la sua chiara, decisa e indiscutibile partecipazione alla guerra di liberazione nazionale.
Le prime azioni di guerra partigiana quasi dovunque, nell'Italia del Centro-Nord sono state compiute da giovani militari meridionali "sbandati" dopo l'8 settembre 1943 e nascosti tra i monti ed i boschi dell'Appennino e delle Alpi. Alfio Anastasi era uno di questi. Egli era nato ad Acireale in provincia di Catania il 2 febbraio 1914 e dopo l'8 settembre salì in montagna, sull'Appennino piacentino, in direzione di Cicogni nel Comune di Pecorara sul Monte Mosso e divenne un consapevole, attivo ed eroico partigiano del Corpo Volontari della Libertà. Ed in tale posizione, con i suoi compagni, si oppose al nazifascismo ed ai reparti armati della famigerata divisione Turkestan composta da fanatici nazisti e fascisti, tutti in uniforme di combattimento, ben armati e sostenuti da pesanti mezzi corazzati. Egli combattè valorosamente fino alla morte che lo colse a Fontanella di Cicogni nel Comune di Pecorara durante una sua permanenza abituale presso la famiglia Pozzi, a seguito di una spiata e di feroce rastrellamento nemico con accerchiamento della cascina in cui si trovava. Il partigiano acese cadde, ferito mortalmente sotto i colpi del nemico e in quel luogo spicca la lapide che lo riguarda. La sua biografia è perciò importante se esplorata nella sua completezza e nei rapporti con la generalità degli avvenimenti che lo toccano da vicino, ma che non sono, e non possono essere, di natura privata e psicologica, poiché rientrano in pieno nella dimensione della storicità, nella storia autentica dell'opera, dell'azione, delle idee, della formazione dell'uomo e delle circostanze e necessità della sua rivolta intellettuale e morale nel momento decisivo della scelta dopo l'8 settembre.
L'ANPI piacentina ha provveduto giustamente ad onorare il partigiano acese ed i suoi compagni di lotta ed a collocare inoltre il suo nome nel Museo Monumentale dei Martiri della Resistenza Piacentina ed a commemorarne solennemente la figura e l'eroismo in varie occasioni ed a celebrarne la memoria come non si è fatto forse nel suo paese natale. E questo dato è indicativo della cura nordica e dell'incuria meridionale, che si traduce poi nella interpretazione storiografica di Chabod e nella comune convinzione di un Sud estraneo alla lotta di liberazione, nonostante la massiccia presenza di targhe e lapidi commemorative disseminate lungo i percorsi settentrionali della Resistenza armata e dedicate ai partigiani meridionali caduti in battaglia o fatti prigionieri dai nazifascisti e quindi trucidati e fucilati. Il legame che allora si teorizzò tra popolazione e partigiani in armi fece pendere la bilancia dalla parte del Nord ed escluse ingiustamente il Sud dalla partecipazione alla guerra di liberazione. Ma la storia alla lunga fa giustizia e rimette in equilibrio la realtà delle vicende umane, pure nell'insufficienza degli elementi evocativi e delle istanze celebrative. La verità si afferma anche quando gli uomini non sanno curare adeguatamente il proprio patrimonio morale, culturale e ideale.
Io posso solo apprezzare coloro che hanno voluto riportare alla luce la verità delle cose e degli uomini e che si sono legati organicamente e onestamente a quelle vicende lontane rendendole vicine, appassionanti e significative, e ancora capaci di suscitare emozioni e sprigionare revisioni e riconsiderazioni del processo storico che portò alla liberazione nazionale. I miei ricordi giovanili mi inducono a risentire ancora mentalmente la voce suadente e commossa di un cugino di Alfio Anastasi, Antonino (chiamato "Nino") Anastasi, un dignitoso e rigoroso impiegato nel Comune di Acireale che mi raccontava in termini piuttosto fantasiosi l'ultima battaglia e la morte orribile dell'Eroe, di cui non seppi altro e probabilmente non si seppe altro nel paese natale. Perciò l'apprezzamento agli Organizzatori Piacentini delle commemorazioni e delle rivelazioni sul Partigiano acese è davvero grande e sincero, anche se non è stato possibile a tutt'oggi ricostruirne la biografia completa, cioè possedere e sistemare la totalità delle informazioni fin dagli anni giovanili prima e dopo l'arruolamento militare. Ma esistono adesso le condizioni della buona ricostruzione biografica, cioè di quella biografia che non è semplice psicologia e che permetta di esprimere un giudizio preciso sulle azioni compiute, perché egli è vissuto per l'azione. E si sono determinate pure le profonde motivazioni della ulteriore ricerca storiografica sul Sud generoso donatore di sangue alla Resistenza armata, a quella disarmata ed alla libertà dell'Italia.
prof. Salvatore Ragonesi