Mi presento.
Sono la tipica docente contrastiva. Una di quelle che - nel fantasioso
linguaggio della Anp, Associazione Nazionale Dirigenti ed Alte
Professionalità - come si evince da una slide di “formazione” del nuovo
dirigente scolastico (quello a cui la legge 107/15 - la Buona Scuola -
assegna il ruolo di reclutatore, valutatore ed elargitore del bonus che
premia il merito, stravolgendo la ratio inclusiva e la vocazione
democratica e quindi collegiale della scuola della Repubblica) crea
potenzialmente problemi all’istituto e quindi deve/può essere
allontanata.
Cosa vuol dire? Vuol dire che non sono docile, malleabile, indecisa,
impaurita dalle gerarchie, schiacciata dal timore del potere. Perché
sarebbe così che ci vorrebbero: servi, esecutori, incapaci di
rivendicare la libertà di insegnamento e le proprie prerogative non
solo professionali ma civili, yes wo/men di personaggi che sono per lo
più stati cooptati dall’amministrazione (che li ha addestrati sul
Toyota Management System, con l’avallo di Treelle e Fondazione Agnelli,
per dirigere – pensate! – delle scuole) e li ha reclutati attraverso
procedure concorsuali controverse, dai risvolti poco chiari, con prove
a dir poco opinabili. Nonché costosi corsi di formazione, di cui la
stessa Anp è organizzatrice, of course.
Sono una docente contrastiva per vocazione e temperamento. E lo sono
non per partito preso, ma perché rispondo direttamente al mandato
costituzionale che ho assunto nel momento in cui ho iniziato a lavorare
nelle scuole: il rispetto di quei principi mi ha resa autorevole e
dialettica con i miei studenti, preparata nelle mie discipline,
intransigente verso un “nuovo che avanza” che di quei principi fa carne
di porco. E con gli esecutori acritici – dirigenti, colleghi, genitori,
studenti – di una norma, la 107/15, e di tutte le riforme approvate –
Moratti, Gelmini – o rimandate al mittente – Profumo – che quei
principi hanno violato ed infangato. Non verrò mai premiata, non sarò
mai tra i “meritevoli”, dal momento che non blandisco, non progetto
compulsivamente, non eseguo acriticamente. Vedo ancora la scuola non
come un progettificio rutilante e multiforme, come una merce sul
mercato da rendere appetibile con le lusinghe più varie, ma come un
luogo di riflessione, relazione, studio, crescita umana, professionale
ed etica (e non l’avviamento precoce al lavoro). Opero con coscienza:
produco – come è mio dovere - generalmente cultura, cittadinanza
critica, competenze trasversali utili a stare meglio nel mondo,
rispetto e pratica della legalità. Ho scioperato e sciopererò in
occasione dei test Invalsi, perché comprimere le capacità crtico
analitiche degli studenti e - al tempo stesso - imporre una didattica
ideologica e di regime è una direzione che rivendico poter rifiutare,
contraria a tutte le mie convinzioni didattico pedagogiche e
all'esercizio della libertà di insegnamento e del diritto
all'apprendimento
Questo, nel paese di Renzi e Verdini, dei conflitti di interessi e del
magna magna a spese dei contribuenti, dei furbetti di tutte le
parrocchie, dei trasformismi delle prime e ultime ore, dei partiti che
abiurano a tutta una tradizione di principi per cui i propri
(improbabili) progenitori hanno sacrificato la vita stessa, non è
parametro positivo. Per giunta parlo; e – quel che è peggio – penso. Mi
oppongo, addirittura studio la legge. Non sono disponibile a chinare la
testa davanti ad un dirigente che mi dica: l’esperto sono io, si fa
così. Perché riconosco a me stessa la capacità di andare a leggere ed
interpretare le stesse norme che troppo spesso dirigenti superficiali
enunciano e interpretano in modo arbitrario, indifferenti a ogni
esigenza di chiarezza e trasparenza, pronti ad eseguire gli indirizzi e
le indicazioni che l’amministrazione propaganda per norme tassative.
E pensare che di docenti contrastivi c’è davvero bisogno, anche se c’è
qualcuno che si ostina a non capire, a non voler capire. Da qualche
tempo – grazie a berlusconismo e renzismo – il nostro Paese ha infatti
cessato (nella maggioranza dei suoi rinunciatari cittadini) di
considerare l’interesse generale come un valore da difendere davvero. È
per questo che molte tra le battaglie sulla scuola sono state portate
avanti quasi esclusivamente da coloro che ne erano (o, meglio,
sembravano essere) direttamente coinvolti: così fu per la riforma
Moratti (percepita quasi esclusivamente come roba da scuola primaria) o
per le varie tornate di rivendicazione dei precari. Quasi che la
distruzione del tempo pieno o la rottura del modello pedagogico del
team di insegnanti non fosse elemento che potesse/dovesse interessare i
docenti degli altri ordini; o che stabilizzazione del rapporto di
lavoro, continuità didattica, precarizzazione delle esistenze non
avessero ricadute generali sul sistema e quindi, sebbene
indirettamente, anche su chi non si trovava in quelle condizioni. È per
questo motivo, forse, per una visione personalista ed individualista
persino della mobilitazione, che concetti come l’attacco ai principi
costituzionali della libertà dell’insegnamento e dell’unitarietà del
sistema scolastico nazionale non vengono percepiti come tragedie
culturali, sociali e politiche tanto gravi da continuare a richiedere
vigilanza, indignazione, mobilitazioni permanenti. Quei principi
vengono drammaticamente scavalcati e dileggiati dalla legge 107, la
cosiddetta Buona Scuola; ma docenti, personale Ata, genitori e
persino studenti non sembrano preoccuparsene in troppi casi, tanto che
la primavera e lo sciopero del 5 maggio sembrano ora quasi un ricordo.
Ma c’è una notizia che ci riporta alla dura realtà: nessuno è esente
dalle conseguenze negative di questo pedestre abominio giuridico.
Come ci spiegano le solerti slides della associazione di dirigenti più
potente del Paese, celebre per la sua immediata e zelante capacità di
irreggimentazione rispetto alle più varie “riforme” che siano state
proposte/imposte alla scuola italiana – in questo e in molto altro,
insomma, per nulla “contrastiva” – la mobilità futura, la possibilità
di chiedere trasferimento, sarà per i docenti, anche quelli di ruolo da
decenni, anche quelli anziani, non più verso le singole scuole, ma solo
verso gli ambiti territoriali. Il futuro che si prefigura è semplice ed
omogeneo: tutti saranno “incaricati” sulla scuola del dirigente che li
avrà pescati dall’ambito territoriale, per un periodo – rinnovabile –
di tre anni. La chiosa contenuta nelle slides a questo proposito
riporta alcune valutazioni, che molto fanno riflettere sul potenziale e
già esistente clima in molte scuole. Un clima alimentato da una più o
meno evidente irreversibile dimensione conflittuale, esasperata dai
tentativi coercitivi e autoritari di molti dirigenti di piegare i
collegi dei docenti (ormai limitati nelle loro prerogative e talvolta
irresponsabilmente fiaccati nella loro capacità di resistenza) alla
propria volontà, spesso con toni irridenti e proprietari, come si nota
anche dal testo dell’Anp.
Si legge: “ma [i docenti] non avranno la certezza di una scuola, vita
natural durante come adesso” (e qui come non notare l’ammiccamento al
comune sentire e l’ aggressività verso gli insegnanti italiani –
conservatori, privilegiati, fannulloni - inaugurata più di 10 anni fa
da economisti-editorialisti che hanno legittimato ed alimentato i più
triti luoghi comuni, accompagnando il definitivo affogamento nel
neoliberismo della Scuola della Repubblica?). E continuano le
davvero illuminanti diapositive: “Vantaggi per la scuola: scelta dei
docenti in funzione del Ptof; maggiore probabilità di “fare squadra”;
non “avere le mani legate” rispetto a docenti contrastivi”. Oltre ai
toni beceri, c’è da notare che in questa visione la scuola non coincide
più con la sua teleologia costituzionale: favorire in tutti i modi il
diritto all’apprendimento di tutti gli studenti, sulla base del
principio di uguaglianza costituzionalmente sancito. I “vantaggi”,
infatti, della precarizzazione, deprofessionalizzazione, messa all’asta
dei docenti italiani, sono – ancora una volta – di natura
esclusivamente economica e nel senso della limitazione di diritti e
democrazia. Dove “fare squadra” deve essere inteso come accaparrarsi i
docenti migliori sul mercato, qualora questa condizione possa essere
oggettiva. E gli altri? E – soprattutto – le scuole e gli studenti che
avranno gli altri, i non migliori? Squadre di serie A, di serie B,
forse anche di Lega Pro, senza pensare che però gli studenti non sono –
o non dovrebbero essere – di serie A o di serie B; senza pensare,
ancora, che certamente non sono figli di serie A e B. E dove “non avere
mani legate rispetto a docenti contrastivi” significa imporre alla
scuola e alla società una classe docente perfettamente omogenea alla
volontà del capo, in grado finalmente di sbarazzarsi di contestatori,
infedeli alla linea, gufi, piantagrane. Tradotto in altri termini
significa: affidare le nuove generazioni, figli e nipoti, non più al
luogo della democrazia, della laicità, del pluralismo, dell’inclusione
nell’interesse generale; ma alla fabbrica del Pensiero Unico.
Questo è un ringraziamento ai Partigiani della Scuola Pubblica, che
hanno sollevato un caso sul quale è necessario riflettere e
mobilitarsi. È però anche un appello ai docenti italiani; a studenti,
genitori, cittadini: non vi sentite coinvolti? C’è in gioco la
democrazia: c’è molto bisogno di contrastività.
Marina Boscaino - Blog-micromega