Karl Marx aveva intuito e
teorizzato la globalizzazione capitalista oltre un secolo e mezzo fa.
Oggi gli stessi economisti borghesi si sono rassegnati di fronte
all'evidenza oggettiva e drammatica di un sistema economico che genera
solo diseguaglianze crescenti tra ricchi e poveri nella popolazione.
Non si tratta di un'anomalia, ma di una tendenza intrinseca e
connaturata al capitalismo. Che piaccia o meno, poco importa. La realtà
dimostra il fallimento di un assetto economico che rischia di condurre
l'umanità verso la rovina e la catastrofe. La razione di miseria
imposta ai popoli in Europa (i PIGS) non basterà ad arrestare la caduta
di rendimento (del saggio di profitto) del capitale finanziario, per
cui serviranno altre manovre finanziarie che spingeranno verso una
condizione crescente di insopportabilità dei sacrifici imposti ai
lavoratori. Ormai il capitalismo non ha più nulla con cui tacitare la
protesta sociale. Anzi, per sopravvivere è costretto ad estorcere
ricchezze in dosi sempre maggiori.
Quando il presidente Obama è costretto a raddoppiare i fondi
dell’assistenza sociale per sovvenzionare, sottobanco, i supermercati
dei distretti popolari statunitensi al fine di evitare drammatiche
esplosioni sociali, quando in Europa si procede all’abolizione di ogni
copertura di welfare e manco uno solo degli economisti borghesi è stato
in grado di prospettare un modo per uscire dalla crisi, il processo di
disfacimento totale del capitalismo ha una sua ragion d’essere:
costituisce l’irrazionalità del capitalismo stesso rispetto alle
ragioni dell’intera umanità. Oggi la miseria obbligatoria imposta dalla
BCE al fine di garantire il pagamento degli interessi del debito
pubblico (greco, italiano, portoghese, spagnolo) al capitale
finanziario internazionale, può valere una ripresa solo temporanea dei
titoli di tali Stati (i PIGS). Più del 90% di questi titoli sono
incettati dalle banche straniere (americane, tedesche, francesi) che
esigono i pagamenti, pena il default: sono le più grandi banche
d'affari mondiali, cui la BCE e le banche italiane, portoghesi,
spagnole ecc., sono consociate. Di ripresa effettiva nemmeno l’ombra,
anzi prosegue la liquidazione sistematica dell'economia reale, della
produzione industriale e manifatturiera e del piccolo commercio.
La crisi abbatte chi non è abbastanza forte da resisterle: si contano
già migliaia di piccoli esercizi commerciali chiusi con relativo numero
di disoccupati. Questa ecatombe forza il mercato in direzione dei
grandi gruppi della distribuzione, le grandi catene di supermercati
dove i prezzi sono stabiliti nell’ambito dei commerci internazionali.
Ci avviamo verso un commercio con connotazioni autocratiche sempre più
marcate, rispetto a cui i consumatori non dispongono di alcun mezzo di
influenza e contrattazione. Al momento i grandi centri commerciali
mantengono i prezzi al di sotto di quelli del piccolo commercio, fa
parte della strategia per liquidare quest’ultimo e la quantità di merci
vendute assicura ai grandi gruppi margini più che soddisfacenti di
profitto, poiché possono servirsi di lavoro precario a basso costo.
Quando essi avranno imposto condizioni di monopolio, allora potranno
esercitare tutta la loro forza per spremere i consumatori. Il piccolo
commercio è una delle attività basilari della piccola borghesia urbana,
le cui attuali condizioni di reddito non sono dissimili da quelle del
proletariato. Ma la sua sopravvivenza dipende dall’evasione fiscale
sistematica, da essa concepita come lotta di sopravvivenza nei
confronti dello Stato e della concorrenza. L'odierna piccola borghesia
urbana è solo un rimasuglio di ciò che era quando il fascismo la
mobilitò contro il movimento operaio. Crollata l’illusione
berlusconiana in cui essa si riconosceva, la piccola borghesia urbana
si trova sul baratro della scomparsa come ceto sociale. Il capitale
finanziario la sta sacrificando per acquisire il potere di
monopolizzare i commerci ed utilizzarlo come forma di controllo e
pressione sociale. È noto che i capitali dei grandi gruppi commerciali
sono consociazioni internazionali gestite dalle banche d'affari.
È altresì evidente che per gli ultimi residui della piccola borghesia
le prospettive future sono uno status di proletarizzazione,
disoccupazione, precarietà. Per cui occorre fare attenzione, poiché è
proprio dagli ambienti della piccola borghesia urbana che riemerge il
pericolo del razzismo contro gli extracomunitari, dell'antisemitismo di
ritorno, con implicazioni ideologico-politiche reazionarie che tali
fenomeni comportano.
***
Cito testualmente un breve estratto di Karl Marx, che sembra scritto
oggi, fresco di stampa: "Il debito pubblico, ossia l’alienazione dello
Stato - dispotico, costituzionale o repubblicano che sia - imprime il
suo marchio all'era capitalistica. L'unica parte della cosiddetta
ricchezza nazionale che passi effettivamente in possesso collettivo dei
popoli moderni è... il loro debito pubblico. Di qui, con piena
coerenza, viene la dottrina moderna che un popolo diventa tanto più
ricco quanto più a fondo s'indebita. Il credito pubblico diventa il
credo del capitale.". È un brano tratto da Il Capitale, Libro I,
Capitolo 24, dedicato alla "cosiddetta accumulazione originaria". Il
breve estratto, citato testualmente, si trova nel Paragrafo 6 del
suddetto capitolo, paragrafo intitolato "Genesi del capitalista
industriale". Per chi volesse leggere interamente il capitolo 24,
aggiungo opportunamente un link: http://www.criticamente.com/marxismo/capitale/capitale_1/Marx_Karl_-_Il_Capitale_-_Libro_I_-_24.htm.
Si tratta di un'analisi semplicemente geniale per come riesce ad
intuire ed anticipare i tempi, spiegando la complessità meglio di
sedicenti o presunti esperti contemporanei.
Lucio Garofalo
l.garofalo64@gmail.com