
"Violenza degenere - Storie di donne che hanno sconfitto la paura" (Villaggio Maori Edizioni, prezzo di copertina 15 €), scritto dalle giornaliste catanesi Roberta Fuschi e Patrizia Maltese, è - come chiarisce subito il sottotitolo e malgrado l'argomento terribile - un libro in positivo, perché riporta le testimonianze di donne che - sia pure, a volte, dopo un tempo infinito - sono riuscite a liberarsi.
Le autrici hanno trascorso alcuni mesi all'interno del Centro antiviolenza Thamaia di Catania, osservando il lavoro delle operatrici e frequentando il corso di formazione rivolto alle tirocinanti. Soltanto al termine di questo periodo hanno potuto incontrare ciascuna delle signore che hanno avuto la forza di rivivere quelle storie traumatiche e che si sono messe a disposizione, cogliendo e condividendo il duplice obiettivo delle giornaliste: aiutare le vittime a riconoscere gli "indicatori" della violenza, spesso sottovalutati, ignorati o mal interpretati, e far sapere loro che da quell'incubo si può uscire. Le testimonianze sono state trascritte dalle autrici in maniera immediata e senza alcun intervento correttivo: "Sentimenti - scrivono nell'introduzione - che abbiamo cercato di riprodurre riportando fedelmente le loro parole e i salti temporali del racconto e accompagnandole con virgole e puntini di sospensione che a noi, mentre le ascoltavamo, sono apparsi ben 'visibili' e che hanno dei significati ben precisi".
I racconti delle signore costituiscono la prima parte del volume, di cui ha scritto la prefazione la professoressa Graziella Priulla, dell'Università di Catania. Ma alle autrici è sembrato anche doveroso dare il giusto riconoscimento alle operatrici del Centro antiviolenza, spesso costrette a lavorare da volontarie a causa dell'indifferenza delle pubbliche amministrazioni, e sono dunque le loro storie, che si intrecciano a quella di Thamaia, a costituire la seconda parte. La terza parte, infine, è di "servizio" in quanto riferisce sinteticamente le nozioni apprese durante il corso di formazione "perché pensiamo e speriamo - scrivono ancora le autrici - che possano essere indicazioni utili, sintomi rivelatori di una deriva grave, e che possano aiutarci (tutti, perché nessuno può sentirsi al riparo dal rischio o esonerato dall'occuparsene) a prendere coscienza prima che sia troppo tardi".
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