Sostegno ai disabili,
rivolta dei docenti contro la riforma in arrivo
Dalle ore assegnate agli studenti alla figura dell’insegnante di
sostegno, che diventerebbe un tutor, dal profilo di funzionamento alle
procedure di mobilità: scoppia la protesta contro i punti chiave della
legge delega sul sostegno.
È partito dalla Calabria il tam tam contro la riforma del sostegno a
scuola, e nel corso degli ultimi giorni si è diramato in tutta Italia,
coinvolgendo 40 associazioni, migliaia di professori, decine di sigle.
«Sia mantenuta la centralità dell’alunno con disabilità», è il grido di
battaglia che dalla platea di un convegno che si è svolto 15 giorni fa
sta diventando lo slogan di mobilitazione di 120 mila insegnanti che
assistono 234 mila studenti con handicap nel nostro Paese. Per ora sono
solo indiscrezioni, anticipazioni, dichiarazioni a delineare la riforma
del sostegno ai disabili a scuola, una delle deleghe al governo
previste dalla legge 107 e rinviate dalla neo nominata ministra Valeria
Fedeli. Ma le notizie trapelate sono sufficienti ad alimentare il
malumore. Uno dei punti più criticati? Il cosiddetto «profilo di
funzionamento», che dovrebbe servire a definire il numero di ore di
assistenza per ogni studente, e che, secondo la prima analisi del corpo
docente specializzato, rischia di penalizzare fortemente i suoi bisogni.
Come «funziona» l’alunno disabile.
«Eliminare la diagnosi funzionale e il profilo dinamico funzionale per
inserire il profilo di funzionamento significa di fatto peggiorare la
qualità dell’inclusione e dell’integrazione- spiega Daniela Costabile,
insegnante presso il liceo Campanella di Lamezia Terme, una delle
promotrici della protesta – In pratica significa che non è la gravità
della disabilità a definire i bisogni dell’alunno ma il suo
funzionamento, per cui se un ragazzo viene ritenuto capace di stare in
classe senza aiuto, lo si lascia solo. E si riducono le ore di
assistenza. Ma questo non significa innovare, ma regredire rispetto ad
una normativa che invece ci è riconosciuta come all’avanguardia in
tutto il mondo!».
Il tutor.
Un altro aspetto su cui si punta il dito è la figura dell’insegnante di
sostegno, che viene considerato una sorta di tutor iperspecializzato
nell’assistenza ai disabili, ma non necessariamente un insegnante: un
cambiamento di prospettiva che, secondo gli insegnanti che si stanno
mobilitando, snaturerebbe la professionalità del docente, che è prima
di tutto un educatore specializzato in determinate materie, in grado
quindi di trasmettere le sue conoscenze all’alunno. «Noi siamo
professionisti dell’insegnamento e tali dobbiamo rimanere, senza
confonderci con altre figure che già intervengono, con ruolo diverso e
non solo a scuola, come gli operatori socio sanitari, gli assistenti
per l’autonomia e la comunicazione, gli assistenti educativi
culturali», spiegano i docenti nel documento-lettera aperta inviato
alla Fedeli e fatto circolare sulle piattaforme di comunicazione
scolastiche in queste ore.
I 50 mila studenti senza docente specializzato.
Ma nel mirino c’è anche la mobilità della riforma della Buona scuola,
«che ha lasciato ben 50 mila studenti senza docente specializzato sul
sostegno»: la possibilità per i docenti che non possedevano il titolo
di sostegno di rimanere nella propria sede facendo assistenza agli
studenti disabili ha creato delle distorsioni che hanno penalizzato
fortemente le famiglie. Senza aumentare le ore di sostegno: «Ne servono
almeno 18 a settimana»- concludono i docenti partigiani della scuola
pubblica- «per evitare che il ragazzo trascorra ore e ore in classe
senza avere la possibilità di apprendere come gli altri».
Valentina Santarpia
Corriere della
Sera del 30-12-2016