Il treno correva veloce quella notte. Sbuffava e avanzava nella nebbia, lesto, deciso, diretto verso la meta. Squarciava il freddo e i confini, tra il buio della notte e le lande desolate d'Europa, come in un vecchio film in bianco e nero, come in un'immagine dei romanzi di Dostoevskij o di Tolstoj. Un viaggio lungo 2500 Km, dalla Svizzera alla Russia, dal cuore dell'Europa alla Madrepatria, dall'esilio ad un sogno chiamato rivoluzione. Il "treno di Lenin", carico di speranza e di passione, per ridare "terra, pane e pace" ai contadini russi, costretti a vivere in condizioni di povertà e di semischiavitù, in un sistema ancora feudale. E quel treno, diretto a Pietrogrado, viaggiava con ventisette passeggeri a bordo, nel bel mezzo della Prima Guerra Mondiale. Il treno era partito il 9 aprile 1917 dalla stazione di Zurigo, passato il confine svizzero, alla stazione di Gottmadigen, aveva trovato una carrozza speciale con destinazione Sassnitz, poi un traghetto, il Queen Victoria per Trelleborg, in Svezia, da lì era giunto a Malmoe e a Stoccolma, dove era stato accolto dal sindaco socialdemocratico della capitale, alla frontiera di Haparanda-Tornio, poi a Helsinki, l'ultimo tratto prima della meta: Pietrogrado. E ad ogni stazione, in ogni fermata, puntuali ad attendere quel convoglio c'erano sempre guardie, controlli, paure e speranze.
Quel treno era stato persino piombato! Il governo tedesco, infatti, aveva fatto bloccare tre delle quattro entrate del vagone sul quale viaggiavano i bolscevichi per impedire ogni contatto con la popolazione tedesca, e per permettere alle guardie tedesche di controllare i viaggiatori ad ogni stazione. Ma perché erano partiti? Chi aveva organizzato quel viaggio? E soprattutto, cosa andavano a fare in Russia? Tante le domande che... viaggiavano sul quel treno. Vladimir Ilyich Lenin, capo dell'ala radicale dei socialisti rivoluzionari, i bolscevichi, che già dal lontano 1905 era stato costretto ad abbandonare la Russia, e che viveva da esule in giro per l'Europa, nel febbraio del 1917 si trovava in Svizzera quando apprese dai giornali la notizia dello scoppio della rivoluzione nel suo paese. E dopo l'iniziale esultanza decise, insieme agli altri "compagni dissidenti", di rientrare quanto prima in Russia, per prendere la guida della rivoluzione e portare i bolscevichi al potere. Ma facciamo un passo indietro. Nel febbraio 1917, nel pieno della carneficina della Prima Guerra Mondiale, con gli eserciti contrapposti che si massacravano sui fronti occidentale e orientale, con gli operai delle fabbriche scesi in sciopero per la mancanza di cibo e per le gravi condizioni di lavoro, e con la situazione bellica che si metteva male per gli imperi centrali, soprattutto per la Russia, era scoppiata la Rivoluzione a San Pietroburgo (rinominata Pietrogrado all'inizio della Prima Guerra Mondiale).
Da subito la rivolta si era dilagata in altre parti della Russia, così lo zar Nicola II, temendo che sarebbe stato violentemente rovesciato, dopo molte esitazioni, aveva scelto di abdicare. A quel punto la Duma prese il controllo dello Stato, istituendo un Governo Provvisorio e trasformando, per sempre, l'Impero Russo in Repubblica. Lenin, quindi, avuto notizia della rivolta, aveva deciso di ritornare in Russia, ma a causa della guerra mondiale in mezzo, le porte di molti Paesi erano sbarrate e risultava quasi impossibile attraversare l'Europa. I primi a negare a Lenin il passaggio per ritorno in patria erano state le potenze dell'Intesa, l'Inghilterra e la Francia, d'accordo col governo provvisorio russo, perché spaventate della propaganda disfattista del bolscevico sulla "guerra predatoria imperialista".
Allora Lenin, con gli altri ventisette emigrati, 18 bolscevichi, 6 bundisti e 3 menscevichi, organizzò un piano per negoziare il loro viaggio in treno attraverso la Germania, allora in guerra con la Russia: si convinse che solo un "negoziato" con i tedeschi l'avrebbe riportato in patria. Intuendo che il gruppo di dissidenti politici avrebbe creato discordia e caos all'interno del fronte dei nemici russi, il Governo tedesco diede l'assenso a che i 32 russi, tra cui Lenin, la moglie Nadezda Krupskaja, l'amante Inessa Armand, e il rivoluzionario Zinoviev, viaggiassero in un vagone ferroviario attraverso il loro territorio. Dietro il permesso del Kaiser Guglielmo II si celava un patto politico rischioso: il freddo calcolo tattico era che il ritorno di Lenin avrebbe accelerato la sconfitta militare russa, complice la carneficina e l'ingente perdita dei soldati in guerra.
Inoltre, la Germania erogò un finanziamento di decine di milioni di marchi verso i conti correnti del partito di Lenin da febbraio a novembre 1917: in cambio, una volta arrivato al potere in Russia, Lenin avrebbe firmato un trattato di pace coi tedeschi, cosa che effettivamente accadrà nel 1918 col Trattato di Brest-Litovsk. Tuttavia, Lenin, temendo le critiche di quelli che l'avrebbero tacciato per traditore "agente tedesco" e "spia del Kaiser", per aver accettato l'aiuto del nemico, negò sempre lo scambio, che l'avrebbe potuto distruggere politicamente (negato anche dalla storiografia ufficiale sovietica). Appena arrivato alla Stazione "Finlandia", di Pietrogrado, il 16 aprile 1917, Lenin, che era rimasto fuori dalla Russia negli ultimi 17 anni, accolto trionfalmente dal popolo, tenne uno "storico comizio", in cui attaccava duramente il Governo Provvisorio e lanciava l'appello per la "Rivoluzione del proletariato di tutto il mondo"! E con l'arrivo in Russia di Lenin la storia della rivoluzione cambiò! Con il passare dei giorni crebbe il consenso attorno all'ala bolscevica del movimento rivoluzionario, che all'inizio era minoritaria, tanto che a luglio, Lenin e i dirigenti bolscevichi si sentirono pronti per muovere una rivolta ed abbattere il governo provvisorio, colpevole, secondo loro, di essere troppo moderato, d'aver tradito lo spirito della rivoluzione di febbraio e, soprattutto, di continuare la guerra a fianco delle potenze democratiche occidentali. La rivolta di luglio fallì, Lenin si nascose, travestito, senza barba e con parrucca, in un paesino ai confini con la Finlandia pronto a rifugiarsi all'estero. Ma le forze popolari vicine ai bolscevichi erano ormai pronte a chiudere per sempre la partita con il debole e sempre più isolato governo di Kerensky.
Tutto il resto è scritto nei libri di storia: le gloriose "giornate d'Ottobre", i "dieci giorni che sconvolsero il mondo", la ferma decisione dei marinai dell'incrociatore Aurora, che con il primo colpo a salve diedero il segnale d'inizio per la "conquista del Palazzo d'Inverno". E poi l'assedio al Palazzo d'Inverno, sede del Governo provvisorio di Kerensky, la notte tra il 24 e il 25 ottobre, "le lunghe ore di quella notte che si trascinavano penosamente", la fuga di Kerensky e dei suoi, "l'appassionante" assalto di Lev Trockij e delle Guardie Rosse, con l'aiuto dei marinai della base di Kronstadt, al Palazzo d'Inverno, per la verità quasi vuoto. E infine, dopo la sanguinosa guerra civile, la carcerazione e il tragico eccidio dell'intera famiglia reale dei Romanov, la vittoria della rivoluzione bolscevica, "tutto il potere ai Soviet" e la "nuova pagina nella storia dell'umanità"! Tutto questo fu la Rivoluzione d'Ottobre. Ma cos'è una rivoluzione? Come nasce, come si fa? La rivoluzione è carne e sangue, sofferenza e sacrificio, rabbia e furore, passione e violenza, utopia e speranza. Speranza di uomini nuovi, di un mondo diverso, di giorni migliori. Tutto ebbe inizio con... "uno spettro si aggira per l'Europa: lo spettro del comunismo.
Tutte le potenze della vecchia Europa si sono coalizzate in una sacra caccia alle streghe contro questo spettro: il papa e lo zar, Metternich e Guizot, radicali francesi e poliziotti tedeschi"! La "profezia" di Marx, scritta nel suo "Manifesto" del 1848, nell'ottobre del 1917 divenne realtà! Ma la rivoluzione non è solamente un'insurrezione armata, un colpo di Stato, uno sconvolgimento delle Istituzioni, un capovolgimento delle regole. No. La rivoluzione è movimento di popolo, per il popolo. La rivoluzione è un "tempo dorato" dove il popolo è artefice e protagonista del proprio destino, come nella Rivoluzione francese, nella Comune di Parigi, nella Rivoluzione d'Ottobre. Il popolo è guida di se stesso, entra nella storia, diventa storia, fa politica, governa la cosa pubblica, partecipa alla vita di tutti. "Non è lo Stato a comandare il popolo, ma è il popolo a comandare lo Stato", disse Qualcuno. Questa è la rivoluzione.
Certo, poi verranno i giorni feroci della "dittatura del proletariato", del regime comunista, degli "ordini inflessibili" del Soviet e del Comitato Centrale, dei sacrifici della NEP e della Nuova Politica Economica, dei gulag, e delle "purghe di Stalin". Ma quella è un'altra storia! "Senza l'amore sacro per la patria e per l'umanità la rivoluzione non è che un crimine che distrugge un altro crimine". E adesso,... cosa resta della Rivoluzione russa!? Rimane il ricordo delle gloriose giornate dell'ottobre del '17, del fumo delle barricate, delle battaglie nelle piazze, fianco a fianco, fiato a fiato, con i compagni di lotta, dell'assalto al Palazzo d'Inverno, della presa del potere di Lenin.
La rivoluzione è l'idea che cammina con le gambe degli uomini, la visione che diventa azione, lo "Spirito" che diventa realtà tangibile, da toccare con le mani, da modellare con il cuore ribelle, per costruire un nuovo modello di Stato, un nuovo ordine, con nuove leggi e nuove regole. Una nuova vita. Uno Stato che cancelli le disuguaglianze, che riscatti il contadino, che dia dignità e libertà ai cittadini, che dia speranza a tutti, che dia "terra, pane e pace" al popolo, alle masse, ai poveri del mondo, a tutti. Un sogno chiamato rivoluzione,... iniziato sul "treno di Lenin"!
Angelo Battiato