Lo scrittore Ahmet
Altan, un fervente critico del regime Erdo?an e uno dei primi scrittori
turchi a denunciare pubblicamente il genocidio degli armeni, fu
arrestato con l'accusa di sostenimento di una organizzazione
terroristica nel settembre 2016. E' stato condannato in questi giorni
all'ergastolo duro, insieme a 5 giornalisti.
mrosa
"Un oggetto in movimento non è né là dov'è, né là dove non è." - così
recita il famoso paradosso di Zeno. Già quando ero ancora molto giovane
ho dedotto che questo paradosso, più che la fisica, riguardasse la
letteratura e in particolare la posizione dello scrittore.
Sto scrivendo nella cella di una prigione.
Se si inserisse la frase "Scrivo nella cella di una prigione" nel testo
di un racconto, assumerebbe immediatamente una tensione interiore
vibrante, il suono di una voce che si alzerebbe in modo spaventoso da
un mondo oscuro e misterioso, una voce che parlerebbe del coraggio di
una vittima e che chiederebbe in modo inequivocabile pietà.
Prima di cominciare ad impietosirvi, però, ascoltate ciò che ho da dire.
Questa è una frase pericolosa che facilmente può essere utilizzata per
sfruttare i sentimenti delle persone. Anche gli scrittori non sono
sempre immuni davanti alla tentazione di usare la lingua e le emozioni
che queste evocano in funzione dei propri interessi.
Fermi. Prima di impietosirvi, vi prego di ascoltare quello che ho da
dire.
Si, sono stato rinchiuso in una prigione di alta sicurezza in mezzo al
nulla.
Si, vivo in una cella le cui porte di ferro si aprono e si chiudono con
rumori pesanti.
Sì, i pasti mi vengono serviti attraverso una fessura nella porta.
Sì, anche il piccolo cortile con il suo pavimento di pietra dove
cammino avanti e indietro, è coperto da sbarre.
Sì, non posso vedere nessuno tranne il mio avvocato e i miei figli; non
mi è nemmeno concesso di scrivere ai miei cari.
Sì, quando devo andare in ospedale, tirano fuori un paio di manette da
un mucchio di attrezzi di ferro e me li chiudono attorno ai polsi.
Sì, ogni volta che mi vengono a prendere nella mia cella, urlano ordini
come "mani in alto" e "togliere le scarpe".
Tutto questo è vero, ma non è tutta la verità.
Fino ad oggi, non mi sono svegliato una sola volta in prigione. Mai.
In estate, quando i primi raggi di sole penetrano dalla finestra
sbarrata, trafiggendo come delle lame luminose il mio cucino, ascolto
il canto degli uccelli migratori che hanno dormito vicino all'acqua e
il suono secco delle bottiglie di plastica scalciate dai piedi dei
detenuti che camminano avanti e indietro nel cortile.
In questi momenti ho la sensazione di essere nel giardino della mia
casa d'infanzia o - non so perché, in un piccolo albergo in uno di
quelle vie parigine rumorose che mi ricordano "Irma la Douce".
Quando invece mi sveglio e il rabbioso vento del nord spinge le piogge
d'autunno contro la mia finestra, allora comincio la mia giornata in un
albergo sulla riva del Danubio, davanti al quale ogni notte, si
accendono delle fiaccole. Quando mi sveglia il sussurro della neve che
si ammucchia sul davanzale, allora mi trovo dietro la finestra della
casa dove il dott. Zivago trovò rifugio.
Fino ad oggi, non mi sono svegliato una sola volta sola in prigione.
Mai.
E tutto questo non è ancora nulla in confronto alle mie avventure
notturne. Passeggio su delle isole thailandesi, nelle vie di Amsterdam,
nei labirinti nascosti di Parigi e nei piccoli parchi che si estendono
tra le grandi vie di New York. Mi trovo nelle strade innevate di una
piccola città in Alaska, in un albergo a Londra e in un ristorante a
Istanbul.
Ho amici in tutto il mondo che mi aiutano a viaggiare anche se, la
maggior parte di loro, non ho mai visto.
Posso incontrarli anche sulle rive del rio dell'Amazoni, in una
spiaggia del Messico, nelle savane africane. Ogni giorno parlo con
delle persone che nessuno vede, persone che non esistono e che io
chiamerò in vita nel momento in cui comincerò a scrivere su di loro.
Ascolto mentre parlano tra di loro. Vivo il loro amore, le loro
avventure, speranze, preoccupazioni e gioie. A volte rido
silenziosamente mentre cammino in cortile - le loro conversazioni
possono essere assai divertenti. E siccome qui in prigione non voglio
incominciare, le scrivo con l'inchiostro scuro della memoria
direttamente nel mio cervello.
So di essere uno schizofrenico finché tutte queste persone abitano solo
nella mia testa. Ma so anche che sono uno scrittore e che un giorno,
tutti si ritroveranno tra le pagine di un libro. Mi diverto ad
oscillare come su una altalena tra la schizofrenia e il mio essere
scrittore. Mi alzo in aria come fumo e esco dalla prigione accanto a
tutti quelli che vivono nei miei pensieri. Loro - gli altri - avranno
il potere di gettarmi in prigione, ma non quello di tenermi là dentro.
Dietro la difesa d'acciaio dei miei libri sono inviolabile.
Sono uno scrittore.
Non sono né là dove sono, né là dove non sono.
Ovunque voi mi chiuderete, io viaggerò per il mondo sulle ali dei miei
pensieri.
Inoltre, ho amici in tutto il mondo che mi aiutano in questi miei
viaggi, anche se la maggior parte di loro non ho mai visto.
Ogni occhio che legge ciò che scrivo, ogni voce che nomina il mio nome,
mi prende per la mano come una piccola nuvola e mi fa volare sopra
pianure, fonti, boschi, mari, città e strade. Con gesti semplici mi
ospitano nelle loro case, nelle loro sale e stanze.
In una cella della prigione, esploro tutto il mondo.
Avete indovinato: Possiedo l'arroganza divina che raramente si
confessa, ma che appartiene a tutti gli scrittori e che viene trasmessa
da generazione in generazione. Possiedo la sicurezza che cresce come
una perla nel duro guscio della letteratura. Dietro il rifugio dei miei
libri sono inviolabile.
Scrivo in una cella di prigione.
Ma non sono in prigione.
Sono uno scrittore.
Non sono né là dove sono, né là, dove non sono.
Mi potete chiudere, ma non mi potere fermare.
Poiché io ho il potere di tutti gli scrittori. Posso, senza sforzo,
attraversare muri.