
L’istituto alberghiero di Caltagirone, con questa iniziativa, intende svolgere quel ruolo di “conservatore” e “divulgatore” delle antiche tradizioni della nostra isola e la realizzazione dei pupi di zucchero rappresenta una tappa di questo percorso alla ricerca della memoria storico-culinaria del territorio.
“Buono da pensare” così scriveva l’antropologo Claude Lèvi-Stauss nel 1962, il cibo ci parla della nostra storia ed ai “pupi di zucchero” si lega una tradizione che si perde nella notte dei tempi e che in Sicilia si conserva ancora oggi.
I pupi di zucchero in alcune parti della Sicilia vengono detti “pupi a cena” perché venivano utilizzati nella cena che precede il giorno dei morti. In particolare, secondo quanto riferisce Giuseppe Pitrè in molti paesi della Sicilia ma in particolare ad Erice e Nizza di Sicilia si credeva che la notte tra il primo ed il due di novembre i morti venissero nella loro casa e cenassero con i vivi per cui bisognava preparare la tavola anche per loro. Oltre alla tavola imbandita in alcune località si preparava una sorta di altare con tutte le foto dei morti. Anticamente, quando ancora non c’era la fotografia, i morti venivano raffigurati con statuine in zucchero.
Il giorno dei morti, il due di novembre, queste statuine diventavano oggetti di regalo per i bambini. “La tradizione siciliana- afferma Massimo Porta- trae origine dall’antica Roma allorquando i Romani festeggiavano la Compitalia, festa dedicata ai Lari, offrendo a Mania, dei pupazzi in lana che raffiguravano il defunto e venivano appese, una per ogni persona, sugli usci di casa. Ancora oggi in alcune zone della Sicilia è ad uso ringraziare i defunti proprietari della casa la prima notte che vi si dorme organizzando una cena per loro apparecchiando con l’aggiunta di un posto dedicato a loro”. “Altra consuetudine legata alla festa dei morti in Sicilia, racconta Massimo Porta, era la sospensione del pagamento dei debiti. Con l’approssimarsi del due di novembre, quando si parlava di pagamenti, l’interlocutore era solito dire “dopo i morti ne parliamo”.
Sebastiano Russo