La paura è,
com'è noto, una pulsione ancestrale del genere umano, è un impulso
ferino ed irrazionale, preesistente ad ogni stadio della civiltà e a
qualsiasi forma di cultura e di raziocinio, è un elemento insito nella
stato di natura animale ed è riconducibile all'istinto più antico e
primordiale di auto-conservazione della specie. La paura discende da un
sentimento più che naturale, ossia il terrore inconscio ed
incontrollabile della morte. Perciò, la paura è una pena che si sconta
e si vince vivendo. Sin dai suoi lontani primordi, l'umanità ha
imparato (per una necessità insopprimibile, e non per volontà) a
convivere con lo sgomento destato dalla furia naturale e dalle sue
terribili manifestazioni più frequenti: tuoni e fulmini, terremoti,
eruzioni vulcaniche ed altri cataclismi. Nel corso dei millenni della
preistoria, l'uomo ha provato ad esorcizzare la paura, cercando di
interpretare i vari fenomeni fisici come eventi soprannaturali di
origine divina. In tal modo sono sorte le antiche religioni mitologiche
che affondano le loro radici nei timori più ancestrali e remoti
dell'umanità.
Ancor oggi, in un'epoca apparentemente soggiogata dal razionalismo e
dal delirio/complesso di onnipotenza tecnicistica ed utilitaristica
dell'uomo, la paura è un elemento costante della nostra esistenza. Essa
assume innumerevoli manifestazioni, si insinua nei meandri più oscuri e
reconditi dell'animo umano, come un "virus" subdolo e letale che genera
più danni e iatture di qualsiasi morbo e di ogni epidemia infettiva. È
fuori discussione che la paura sia uno dei tratti più tipici e
peculiari della natura animale che è insita nell'uomo, ma non
dev'essere un'ossessione che non concede pace o tregua. Eppure, la
realtà che viviamo oggi, è sempre più assillata da paure, a cominciare
dalla paura di morire fino alla paura di vivere.
Non a caso, il triste e lugubre primato dei suicidi, in modo
particolare tra le generazioni più giovani, è conteso dalle nazioni più
opulente ed evolute dell'Occidente, il Giappone in testa. Non a caso,
le società vengono governate anche con il ricorso alla paura, e gli
Stati più avanzati sul fronte tecnologico si avvalgono anche delle
paure per esercitare una forma di controllo sociale sempre più esteso e
capillare. Non a caso, si vincono le elezioni politiche proprio
"giocando" la carta dell'idiosincrasia o della fobia isterica verso
qualcuno, un nemico, un diverso, da demonizzare ed agitare come uno
spauracchio. In primis, la "paura del comunismo", che costituisce
tuttora un'avversione ed un'inquietudine ossessiva della borghesia.
Lo "spettro del comunismo", dopo il fallimento del "comunismo reale",
dopo la caduta del muro di Berlino ed il tracollo dell'URSS, viene
agitato assai più che in passato, proprio allo scopo di conquistare e
di preservare il potere e l'ordine costituito. In passato, in Italia
venne importata dall'Estremo Oriente una nuova paura incarnata nel
virus dell'Aviaria, meglio nota come "influenza dei polli", che suscitò
timori assai spropositati, infondati ed isterici, prefigurando vari
scenari apocalittici addirittura di stragi "pandemiche", paragonabili
alle peggiori pestilenze dei secoli passati. Invece, come si è
verificato in altre occasioni, il panico si rivelò assai più pernicioso
della stessa patologia "ornitologica". Che polli! I veri "polli" si
rivelarono gli utenti e gli spettatori più sciocchi e passivi delle
campagne di disinformazione di massa.
L'aviaria si dimostrò essere una bufala. Già nel 1998/99 numerosi polli
perirono a causa del contagio, ma i mass-media non ne parlarono e tutti
continuarono a mangiare polli senza allarmismi di ordine sanitario. Lo
spavento suscitato dall'aviaria in anni successivi, mise in ginocchio
un'intera economia agricola, contribuendo ad incrementare i già
colossali profitti delle multinazionali farmaceutiche. La vicenda
conferma l'abnorme ruolo dei mass-media, la cui "influenza" è assai più
deleteria di ogni virus influenzale. Aveva pienamente ragione il
ministro della propaganda nazista, Goebbels, quando affermava: "Una
bugia, ripetuta continuamente, è accettata dalle masse popolari come
una verità incontestabile".
Negli anni '80, il virus HIV (l'Aids) seminò un'enorme psicosi nel
mondo occidentale, ma fu presto scongiurato, tuttavia ancor oggi
rappresenta una delle principali malattie infettive in Africa e nel Sud
del mondo, un morbo assai più letale della tubercolosi e della malaria,
che provocano stermini di massa. Mentre in Occidente il virus dell'AIDS
è oramai debellato grazie ai risultati ottenuti sul versante della
ricerca, nei Paesi del Terzo mondo esso uccide più di ogni altra
malattia a causa degli esorbitanti costi dei vaccini, imposti dalle
multinazionali farmaceutiche, che risultano potenti e totalitarie
quanto lo sono le compagnie petrolifere e quelle legate all'industria
bellica, per cui si configurano come i padroni assoluti ed
incontrastati del nostro pianeta.
Nei secoli bui della storia, il terrore provocato dalla peste bubbonica
causava più danni del morbo stesso. Ad esempio, nell'Europa medievale
la paura degli untori era assai più nociva e deleteria della stessa
peste che sterminava milioni di vite umane. Le testimonianze che ci
hanno lasciato il Boccaccio ed il Manzoni nelle loro opere (Decameron e
Storia della colonna infame) ci trasmettono degli insegnamenti assai
preziosi. Ma, come spesso accade, la storia insegna, ma non ha scolari
(cit. Antonio Gramsci). Le vicende relative al nuovo virus, il
Covid-19, meglio conosciuto come il Coronavirus, temo che confermino il
fatto che la paura è assai più subdola e più perniciosa di qualsiasi
morbo epidemico, eppure, nel contempo può rivelarsi lucrosa per chi, in
modo cinico e spregiudicato, riesca a trarne profitto.
L'isteria collettiva generata dal nuovo virus, assai meno nocivo
dell'influenza stagionale, è un fenomeno di proporzioni immani e
spaventose. La mia ipotesi, dettata dalle esperienze storiche, è che le
attuali campagne mediatiche di allarmismo e di terrorismo psicologico
di massa, serviranno a giustificare e ad incentivare la corsa futura
all'acquisto di milioni di dosi di vaccino ad un titolo preventivo e
cautelativo, che farà la fortuna dei principali colossi farmaceutici
multinazionali.
Lucio Garofalo