Che la
disoccupazione reale sia altra cosa da quella che compare nelle
rilevazioni ufficiali è di evidente percezione a tutti. Che tutto ciò
sia più concreto al Sud, è altrettanto risaputo. Ora arrivano i numeri
a cancellare ogni residuo di illusione. Sono quelli della Svimez che,
all'indomani dell'allarme lanciato ieri dall'Ocse (20 milioni di posti
di lavoro persi dall'inizio della crisi nel paesi del G20) ci
raccontano, nell'ultima edizione del suo rapporto, diffusa oggi a Roma,
della crisi ma soprattutto del doppio smacco subito dal Mezzogiorno.
Partiamo da una prima constatazione numerica. L'ultimo biennio di crisi
-tra 2008 e 2010 -ha aggravato i nodi di fondo del mercato del lavoro
italiano, ha allargato il gap territoriale, ma in particolare ha
presentato il conto più salato proprio al Mezzogiorno. Quest'ultimo
infatti ha registrato una caduta dell'occupazione del 4,3% a fronte
dell'1,5% del centro nord. La conseguenza è che il tasso di
disoccupazione al Sud si è attestato (media 2010) al 13,4% (era il 12%
nel 2008) rispetto al 6,4% del centro-nord (era il 4,5%). In sintesi
circa il 60% dei 153mila posti persi si è concentrato nelle regione
meridionali
(87mila).
Ma l'aspetto preoccupante è che al nord la perdita di posti di lavoro
tende a trasformarsi quasi interamente, scrivono i ricercatori, in
ricerca di nuovi posti, nel mezzogiorno al contrario, solo in minima
parte si trasforma in ricerca esplicita di nuova occupazione
contribuendo, invece, ad alimentare l'area dell'inattività e il lavoro
irregolare. Risultato: lo sviluppo di un fenomeno nuovo per l'Italia,
ovvero la nascita della disoccupazione implicita. Disoccupazione che se
venisse registrata porterebbe il tasso "corretto" al 14,8% dall'11,6
del 2008 (oggi è all' 8,4). Nello specifico per il Sud andrebbe al
25,3, 12 punti in più del tasso ufficiale. Ad essere penalizzati sono
in particolari i giovani: per loro il tasso di occupazione tocca il
31,7%, segnando un divario di 25 punti con la media nazionale.
Oltre il danno, la beffa. Perché, spiega la Svimez «il Mezzogiorno
d'Italia è una società doppiamente ingiusta dove la crescente
disuguaglianza sociale si combina, accentuata, con una sempre più
marcata disuguaglianza territoriale, e a far le spese dell'una e
dell'altra sono i giovani (e le donne) soggetti deboli e risorse
sottoutilizzate - in un curioso e terribile paradosso: essere le punte
più avanzate della modernizzazione del Sud, perché hanno investito in
un percorso di formazione e di conoscenza che li rende depositari di
quel capitale umano che serve per competere - e insieme le vittime
designate di una società più immobile che altrove, e dunque più
ingiusta, che finisce per sottoutilizzare, relegare in condizioni di
marginalità professionale o espellere le sue energie migliori».
Tutto questo quando l'importanza del capitale umano per l'accelerazione
nei tassi di crescita è un dato assodato. È stato infatti dimostrato
che un aumento del 10% della quota dei lavoratori laureati porterebbe a
un aumento della produttività totale dello 0,7 per cento. Nonostante
questa consapevolezza il Sud assiste dal un lato a una leggera
flessione del tasso di scolarità (94,3% nel 2010 contro il 94,4%
dell'anno precedente), dall'altro a una ripresa degli abbandoni. Un
serpente che si morde la coda. La scuola non riesce a superare gli
svantaggi iniziali e gli svantaggi iniziali acuiscono il gap che la
scuola non aiuta a superare. (di Serena Uccello da
http://www.ilsole24ore.com)
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