Archiviato l’ultimo governo Berlusconi, la nuova fase
politica si giocherà su questa affermazione del nuovo premier: “Il vero
costo della politica è aver guardato per decenni al consenso e non al
futuro delle nuove generazioni”.
Se, sull’orlo del baratro, il paese troverà il coraggio di accantonare
la prevalenza degli interessi a breve termine, allora, nonostante
l’emergenza finanziaria, si riscoprirà il buonsenso contadino secondo
il quale, quando le cose vanno male, si tira la cinghia ma non si
smette di seminare.
La conoscenza è, per eccellenza, un investimento a redditività
differenziata, i suoi ritorni sociali e individuali sono certi e
superiori a qualsiasi altro tipo di investimento, ma gli effetti si
manifestano solo nel medio e lungo periodo.
Le stanze dei bottoni sono oggi popolate da persone che queste cose le
sanno bene, non solo perché le hanno studiate, ma perché hanno
promosso, realizzato e divulgato ricerche tese a dimostrare che
investire in conoscenza conviene sempre. Penso all’Ufficio Studi della
Banca d’Italia o alla recente pubblicazione dell’attuale Governatore
Ignazio Visco significativamente intitolata “Investire in conoscenza.
Per la crescita
economica”.
Indipendentemente dall’orientamento politico, siamo di fronte a una
nuova classe dirigente lontana anni luce dal populismo e accomunata da
una visione della conoscenza come fattore strategico per lo sviluppo.
Un’ulteriore conferma è venuta dall’ascolto del Ministro Profumo al CNR
il 7 dicembre.
Dopo le vagonate di “bullshit” gelminiane, sembra tornata la scuola
reale, un grande corpo debilitato da trascuratezza, cure sbagliate e
salassi demolitivi per il quale urgono interventi di rianimazione ed
efficaci iniezioni di innovazione.
Il Ministro, pur con la cautela di chi sta ancora studiando i dossier,
ha toccato i tasti giusti:
· restituire reputazione e attrattività
alla funzione docente;
· promuovere diffusamente processi di
innovazione didattica per migliorare gli esiti di apprendimento e
motivare le nuove generazioni “native digitali”;
· la valutazione non sanzionatoria ma
strumento indispensabile per conoscere e migliorare il sistema;
· l’autonomia scolastica come
responsabilità e partecipazione per superare i rischi di
autoreferenzialità;
· accoutability, autovalutazione e
trasparenza per promuovere il cambiamento attraverso processi bottom-up;
· la peculiarità del sistema scolastico
rispetto ai modelli aziendali;
· la necessità per i sistemi formativi di
giocare d’anticipo rispetto ai bisogni sociali ed economici (“nessuno
immagina le professioni del 2030”).
Nel pensiero del Ministro traspare la convinzione della necessità del
protagonismo del mondo della scuola per realizzare cambiamenti
effettivi unita alla consapevolezza della presenza di resistenze al
cambiamento e di una elevata inerzia del sistema.
Qui sta il nodo su cui si deciderà il successo delle politiche della
conoscenza del nuovo governo. Difese, resistenze e inerzie potranno
essere superate solo se il progetto del governo sarà coerente,
credibile e condiviso. Ciò significa innanzitutto discontinuità con le
scelte del precedente Ministro tese a rendere meno inclusivo il sistema
scolastico e una decisa inversione di tendenza rispetto al progressivo
disinvestimento nella conoscenza programmato da Tremonti (secondo il
documento economico finanziario 2011-14 la spesa per l’istruzione, già
oggi tra le più basse dell’Ocse con un magro 4,8 per cento, è destinata
a precipitare entro il 2030 al 3,2% del Pil).
Nessuno chiede miracoli nel momento dell’emergenza finanziaria, ma le
scelte di oggi saranno decisive per un futuro non breve.
Per questo lo sciopero del 12 e 19 dicembre, finalmente proclamato
unitariamente, mira a ottenere una correzione della manovra economica
che non è solo finalizzata a cambiare le misure inique e recessive che
colpiscono i lavoratori dipendenti e i pensionati. Mira anche ad
accrescere il prelievo sulle grandi ricchezze e sull’evasione fiscale
al fine di potenziare gli interventi finalizzati alla crescita
economica e alla ripresa degli investimenti nella conoscenza.
In un paese dove il 10 per cento dei cittadini detiene il 50 per cento
della ricchezza e dove l’evasione fiscale ammonta a 120 miliardi
all’anno non ci sono alternative, in queste due aree si devono trovare
le risorse per “pensare a quel futuro delle nuove generazioni” che il
nuovo Presidente del Consiglio ha giustamente posto come priorità.
(di Fabrizio Dacrema da ScuolaOggi)
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