“Salve!
Son Matteo Renzi!”, dice spesso, Maurizio Crozza, imitando il
sindaco di Firenze. Ma adesso che il giovane politico fiorentino
è diventato di moda, adesso che, attraverso le primarie del
centro-sinistra, si è candidato alla “guida dell’Italia”, proprio
adesso ripenso alle sue parole, lette nel capitolo, “La frontiera più
bella, la scuola”, del suo libro, “Fuori”, edito da Rizzoli.
«Ho sempre pensato che la politica dovrebbe occuparsi di più e meglio
della scuola. Non si tratta semplicemente di scegliere persone
all’altezza del compito, anche se devo confessare che il problema
esiste, se è vero che ancora oggi il ricordo di un ministro della
Pubblica istruzione che va al Maurizio Costanzo Show e non indovina un
congiuntivo neanche per sbaglio rimane scolpito nella memoria della mia
generazione. No, c’è qualcosa di più della pur delicata selezione della
classe dirigente. Il punto è che per me la scuola costituisce il luogo
più sacro che possa esistere, lo spazio fisico e spirituale nel quale
ragazze e ragazzi fanno i conti con la propria libertà. È la frontiera
più suggestiva, difficile e intrigante del nostro tempo. Confesso di
avere un’autentica fissazione per questo punto. Penso che tutti,
qualsiasi sia la nostra appartenenza politica, dovremmo nutrire un
rispetto profondo per le stanze nelle quali i nostri figli divengono
cittadini. Mi assale una vera e propria idiosincrasia verso quei
candidati che vanno nelle scuole o fuori da esse, magari anche solo per
volantinaggio, nel periodo di campagna elettorale: lo giudico un atto
irrispettoso. I partiti non possono speculare sulla scuola. È la
politica invece che deve dedicarle maggiore attenzione, partendo dalle
questioni teoricamente più semplici come l’edilizia scolastica, la
pulizia delle aule o l’organizzazione dei servizi fino alle sfide più
ricche di contenuti pedagogici. Io ho scelto di mettere la scuola al
centro dell’iniziativa amministrativa e tutti i martedì mattina entro
in un istituto di Firenze, sia esso scuola dell’infanzia, elementare o
media. Parlo con gli insegnanti, con i collaboratori, con il variegato
mondo dell’educazione. Mi seguono i tecnici che curano la manutenzione
o la mensa, in modo da affrontare insieme immediatamente gli eventuali
problemi. E mi apro alla discussione con i bambini. […] Varcare la
porta di una scuola è un momento contemporaneamente difficile e magico.
Quando la mattina entri in una scuola senti su di te la responsabilità
di tutti quelli che camminano con te. Nessuno escluso. E i bambini ti
guardano, ti scrutano, ti parlano. Magari ti chiedono l’autografo sul
diario neanche fossi un calciatore. Ma in realtà ti stanno mettendo
alla prova. Tu sai che con i bambini non si bluffa. Non c’è un
correttore automatico per eliminare i tuoi difetti quando stai in mezzo
alla gente. È un piccolo segno: l’idea che l’amministrazione considera
tutti i cittadini uguali, davvero, come recita il secondo comma
dell’articolo 3 della Costituzione. E i bambini cittadini uguali agli
altri anche se non hanno l’età per votare. E riconosce la funzione
sociale degli insegnanti, ruolo insostituibile, cruciale per una
democrazia.
È vero, esiste il problema del riconoscimento economico per la funzione
di insegnante. È un tema che la politica non può eludere. Ma c’è
qualcosa di più importante del riconoscimento economico. Lo dice, per
quello che può valere, il marito orgoglioso di un’insegnante precaria
della scuola pubblica. Del resto, se uno decide di insegnare sa che non
sarà lo stipendio il valore aggiunto del proprio lavoro. Ma la
possibilità di concorrere all’educazione di una libertà. C’è cosa più
grande e più bella di questa?, domando alle insegnanti quando faccio il
giro delle scuole dicendo loro il grazie della città per il loro
servizio. Le reazioni sono molto variegate: tanti sono le donne e gli
uomini che continuano a insegnare dominati dalla frustrazione e da una
stanca rassegnazione che fa da contorno a un pessimismo cosmico. Ma la
maggioranza del corpo docente di cui incrocio il cammino è composta da
persone appassionate ed entusiaste.
Un sindaco deve saper dire grazie a questi insegnanti. Deve
incoraggiare e stimolare i giovani cittadini a sentirsi protagonisti
della loro città. Deve occuparsi, preoccuparsi delle questioni
logistiche della scuola. […]». “Che le parole di Matteo Renzi possano
andare nelle orecchie di Dio…”, direbbe la mia amica! E anche noi lo
diciamo… Ormai, solo Lui ci può ascoltare!
Angelo
Battiato (inviato speciale a Brescia)
angelo.battiato@istruzione.it