Le
parole che i non italofoni imparano per prime sono il filo di Arianna
che li aiuta a uscire dal labirinto di silenzio, sono delle ancore e
dei punti di partenza per imparare la nuova lingua.
Quali sono le parole che i bambini e i ragazzi ancora non italofoni hanno imparato per prime? Quelle che si sono memorizzate all’inizio e che sono diventate delle ancore e dei punti di partenza dai quali avventurarsi alla scoperta della nuova lingua. Il primo nucleo di termini e di espressioni rappresenta il filo di Arianna che li aiuta a uscire dal labirinto di silenzio nel quale si trovano nella prima fase dell’inserimento scolastico.
Abbiamo chiesto ai bambini e ai ragazzi stranieri di alcune scuole primarie e secondarie di primo grado, che sono arrivati in Italia negli ultimi due anni, di provare a ricordare le loro parole “zattera”e di raccontare chi sono stati i primi interlocutori e “maestri” che le hanno pronunciate. Non tanto quindi di rievocare il lessico al quale sono stati esposti all’inizio, che quasi sempre è scivolato via senza lasciare traccia, ma di ritrovare nella memoria frasi e messaggi significativi precocemente interiorizzati e che sono serviti in seguito come trampolino e come porta.
Le espressioni raccolte riguardano sempre cose concrete e visibili; sono riferite a situazioni vissute e coinvolgenti e sono sempre legate ad una persona, un incontro o un’esperienza di vicinanza. Molti ricordano il lessico di aiuto e di accoglienza proposto loro da alcuni compagni; altri rievocano il vocabolario legato al cibo che hanno assaggiato durante i primi giorni nella refezione scolastica oppure alle attività sportive e di gioco.
Per Anù, che viene da Sri Lanka, l’ingresso nella nuova lingua si è aperto grazie al cricket che ha ripreso a giocare da subito con altri due compagni indiani e che gli ha aperto il mondo delle relazioni e degli scambi verbali con gli altri ragazzi. Per Ruslana, che viene dall’Ucraina, è stata la musica e le parole ad essa legate, e che la bambina già conosceva in italiano, a gettare un ponte tra l’ucraino e la seconda lingua. Per Li Li invece, appena arrivata dalla Cina, è stata una filastrocca, che faceva anche da conta per iniziare i giochi e che le sue compagne le hanno fatto ripetere più e più volte, a inaugurare il suo viaggio dentro l’italiano.
In un libro pubblicato di recente e scritto da Elvira Mujcic (La lingua di Ana, Infinito edizioni, Roma 2012), l’autrice narra la vicenda di Ana, adolescente moldava catapultata in Italia all’improvviso e descrive lo strettissimo rapporto che vi è tra la lingua – materna e seconda – e la sua esistenza, qui e altrove. Ripercorre le fasi dell’afasia, dell’apprendimento delle nuove parole e della dimenticanza delle parole materne che segnano la nascita, la perdita e la rinascita di Ana.
Quali sono le prime parole che Ana impara e chi gliele porge? È il suo compagno di banco Damiano a fare da ponte e passerella, rispetto al nuovo codice e il colloquio iniziale si basa su due termini “M&M’s”, come le caramelle che le offre e “fumetto”, come i disegni che imparano a fare insieme.
Ecco il racconto di Ana dei suoi primi giorni di scuola:
Le ragazze mi squadravano, confabulando tra loro e ridacchiando. I maschi, per fortuna, mi ignoravano. Era appena finita la prima ora e ne mancavano altre quattro. E ogni giorno sarebbe stata la stessa tortura. Non sapevo come fare, dovunque mi girassi vedevo solo sguardi di derisione. Beh, non dovunque, in realtà. Quando mi girai verso il mio compagno di banco, lui stava mangiando qualcosa. Abbassai la testa sul quaderno e lui, non sapendo come chiamarmi, mi mise sotto il naso un sacchetto giallo di M&M’S. Da quel giorno, le caramelle (M&M’S) e i disegni che facevamo su un foglio (FUMETTI) furono le uniche parole e forme di comunicazione con il mio compagno di banco. Quella forma di scambio al gusto di cioccolato e attraverso i disegni era la mia oasi, l’unico momento in cui mi rilassavo e mi gustavo la comprensione automatica che necessitava solo di un palato e di un paio d’occhi.
Quando è possibile, prendiamoci il tempo per ricostruire con i bambini e i ragazzi stranieri che sono giunti qui in tempi più o meno recenti, la trama e l’ordito del loro primo vocabolario, per raccogliere parole ed espressioni che li hanno accolti e delineare la fisionomia e i ritratti dei loro primi e cruciali interlocutori. Ne risulterà un corpus prezioso, fatto non solo di lessico e frasi, ma anche di piccoli e importanti eventi, emozioni e situazioni vissute con tutti i sensi, “al gusto di cioccolato e con un paio d’occhi”, come nel caso di Ana: una colonna sonora fatta di parole e di gesti d’accoglienza.
Sesamo didattica interculturale, Giunti Scuola
Quali sono le parole che i bambini e i ragazzi ancora non italofoni hanno imparato per prime? Quelle che si sono memorizzate all’inizio e che sono diventate delle ancore e dei punti di partenza dai quali avventurarsi alla scoperta della nuova lingua. Il primo nucleo di termini e di espressioni rappresenta il filo di Arianna che li aiuta a uscire dal labirinto di silenzio nel quale si trovano nella prima fase dell’inserimento scolastico.
Abbiamo chiesto ai bambini e ai ragazzi stranieri di alcune scuole primarie e secondarie di primo grado, che sono arrivati in Italia negli ultimi due anni, di provare a ricordare le loro parole “zattera”e di raccontare chi sono stati i primi interlocutori e “maestri” che le hanno pronunciate. Non tanto quindi di rievocare il lessico al quale sono stati esposti all’inizio, che quasi sempre è scivolato via senza lasciare traccia, ma di ritrovare nella memoria frasi e messaggi significativi precocemente interiorizzati e che sono serviti in seguito come trampolino e come porta.
Le espressioni raccolte riguardano sempre cose concrete e visibili; sono riferite a situazioni vissute e coinvolgenti e sono sempre legate ad una persona, un incontro o un’esperienza di vicinanza. Molti ricordano il lessico di aiuto e di accoglienza proposto loro da alcuni compagni; altri rievocano il vocabolario legato al cibo che hanno assaggiato durante i primi giorni nella refezione scolastica oppure alle attività sportive e di gioco.
Per Anù, che viene da Sri Lanka, l’ingresso nella nuova lingua si è aperto grazie al cricket che ha ripreso a giocare da subito con altri due compagni indiani e che gli ha aperto il mondo delle relazioni e degli scambi verbali con gli altri ragazzi. Per Ruslana, che viene dall’Ucraina, è stata la musica e le parole ad essa legate, e che la bambina già conosceva in italiano, a gettare un ponte tra l’ucraino e la seconda lingua. Per Li Li invece, appena arrivata dalla Cina, è stata una filastrocca, che faceva anche da conta per iniziare i giochi e che le sue compagne le hanno fatto ripetere più e più volte, a inaugurare il suo viaggio dentro l’italiano.
In un libro pubblicato di recente e scritto da Elvira Mujcic (La lingua di Ana, Infinito edizioni, Roma 2012), l’autrice narra la vicenda di Ana, adolescente moldava catapultata in Italia all’improvviso e descrive lo strettissimo rapporto che vi è tra la lingua – materna e seconda – e la sua esistenza, qui e altrove. Ripercorre le fasi dell’afasia, dell’apprendimento delle nuove parole e della dimenticanza delle parole materne che segnano la nascita, la perdita e la rinascita di Ana.
Quali sono le prime parole che Ana impara e chi gliele porge? È il suo compagno di banco Damiano a fare da ponte e passerella, rispetto al nuovo codice e il colloquio iniziale si basa su due termini “M&M’s”, come le caramelle che le offre e “fumetto”, come i disegni che imparano a fare insieme.
Ecco il racconto di Ana dei suoi primi giorni di scuola:
Le ragazze mi squadravano, confabulando tra loro e ridacchiando. I maschi, per fortuna, mi ignoravano. Era appena finita la prima ora e ne mancavano altre quattro. E ogni giorno sarebbe stata la stessa tortura. Non sapevo come fare, dovunque mi girassi vedevo solo sguardi di derisione. Beh, non dovunque, in realtà. Quando mi girai verso il mio compagno di banco, lui stava mangiando qualcosa. Abbassai la testa sul quaderno e lui, non sapendo come chiamarmi, mi mise sotto il naso un sacchetto giallo di M&M’S. Da quel giorno, le caramelle (M&M’S) e i disegni che facevamo su un foglio (FUMETTI) furono le uniche parole e forme di comunicazione con il mio compagno di banco. Quella forma di scambio al gusto di cioccolato e attraverso i disegni era la mia oasi, l’unico momento in cui mi rilassavo e mi gustavo la comprensione automatica che necessitava solo di un palato e di un paio d’occhi.
Quando è possibile, prendiamoci il tempo per ricostruire con i bambini e i ragazzi stranieri che sono giunti qui in tempi più o meno recenti, la trama e l’ordito del loro primo vocabolario, per raccogliere parole ed espressioni che li hanno accolti e delineare la fisionomia e i ritratti dei loro primi e cruciali interlocutori. Ne risulterà un corpus prezioso, fatto non solo di lessico e frasi, ma anche di piccoli e importanti eventi, emozioni e situazioni vissute con tutti i sensi, “al gusto di cioccolato e con un paio d’occhi”, come nel caso di Ana: una colonna sonora fatta di parole e di gesti d’accoglienza.
Sesamo didattica interculturale, Giunti Scuola