Che il
precariato sia un problema gravissimo del nostro Paese è
questione assai nota, ma non tutti sanno come questa dimensione
"lavorativa" si sia diffusa negli ultimi anni e come essa ricada
negativamente sui progetti lavorativi delle giovani generazioni, sul
benessere psicologico dell'individuo e, in generale, sulle famiglie
italiane. Il precariato, infatti, è una vera emergenza sociale dalla
quale sembra difficile uscire, soprattutto in un periodo di crisi
mondiale come quello che stiamo attraversando. Problema nel problema è
il precariato scolastico, i cui contorni, a differenza di quanto
l'appiattimento mediatico lascia intendere, sono assai frastagliati,
data la complessità del fenomeno e la sua profondità storica.
In attesa di stabilizzazione, ma assunti ogni anno a tempo determinato
su cattedre vacanti o per sostituzioni, ci sono i docenti iscritti
nelle Graduatorie ad Esaurimento (GaE), suddivisi in ben quattro fasce;
ma, dopo le nomine per gli incarichi conferiti dagli Uffici Scolastici
Provinciali, le cattedre o gli spezzoni rimasti scoperti vengono
gestiti direttamente dai Dirigenti Scolastici, che nominano i docenti
iscritti nelle Graduatorie d'Istituto (GI), di I, II e III fascia,
istituite a partire dal 2001 e aggiornate ogni tre anni, a seconda dei
titoli posseduti.
Ben sette graduatorie di merito, quindi, dalle quali, sistematicamente
e strutturalmente, si assume il personale docente che garantisce ogni
anno il servizio scolastico nazionale.
Le Graduatorie d'Istituto, quindi, al pari delle Graduatorie ad
Esaurimento, sono regolamentate da Decreti Ministeriali che includono
docenti valutati e graduati, a seconda dei titoli culturali e di
servizio, alle quali si può accedere con precisi requisiti e solo se si
possiedono titoli validi all'insegnamento.
L'abilitazione, infatti, non è un titolo d'accesso alle varie classi di
concorso, ma è il requisito che, nella scuola statale e paritaria,
permette l'assunzione a tempo indeterminato, secondo i dettami
costituzionali.
Fanalino di coda, come si può immaginare, è stata finora la III fascia
della Graduatoria d'Istituto, in cui sono iscritti i docenti non
abilitati, ma in possesso del titolo d'accesso all' insegnamento, e
dalla quale sono stati assunti annualmente docenti che, al pari dei
colleghi delle altre graduatorie e dei colleghi di ruolo, hanno svolto
il loro servizio in totale legittimità, svolgendo il loro incarico a
pieno titolo, con meriti, con assunzione di responsabilità, obblighi e
poteri istituzionali.
Insegnanti a tutti gli effetti, quindi, che tuttavia, dal 2009 ad oggi,
hanno subito vessazioni di ogni tipo, fino alla negazione del loro
status di precari, sebbene con documentate carriere alle spalle, con
titoli culturali e di servizio equivalenti o superiori a quelli dei
colleghi delle altre graduatorie.
Paradossalmente, infatti, per un sistema non sempre razionale di
gestione delle risorse umane, nelle Graduatorie ad Esaurimento ci sono
aspiranti docenti senza neanche un giorno di servizio, e in terza
fascia della Graduatoria d'Istituto, docenti "non abilitati" con anni
ed anni di servizio.
I motivi sono troppi per poter essere trattati in questa sede, ma vale
la pena di citarne alcuni, i più eclatanti.
Dal 1999 fino al 2012, in Italia, non sono stati banditi concorsi per
l'immissione in ruolo dei diplomati magistrali che avrebbero dovuto
affiancare i laureati in Scienze della Formazione Primaria ai quali è
stato consentito fino al 2007 l'accesso diretto alle GaE e alla
conseguente stabilizzazione; né sono stati istituiti Percorsi
Abilitanti Speciali per i docenti di Scuola Secondaria esclusi
dalle Scuole di Specializzazione o SISS, le quali, oltre all'obbligo
della frequenza senza deroghe per chi lavorava o gestiva situazioni
familiari gravi, erano attive in modo difforme su tutto il territorio
nazionale, erano a numero chiuso e non bastavano al fabbisogno reale in
termini di assunzioni.
In III fascia della GI, quindi, sono rimasti "parcheggiati":
i diplomati magistrali, come sopra accennato, il cui titolo è stato
disconosciuto come abilitante fino al decreto del Presidente della
Repubblica pubblicato sulla GU del 15 maggio 2014. che, su sentenza del
Consiglio di Stato, ha restituito dignità professionale a questi
docenti;
i docenti tecnico-pratici che svolgono il loro servizio negli Istituti
Professionali per i quali, da oltre quindici anni, non esistono
percorsi abilitanti o concorsi;
i dottori di ricerca, il cui percorso di studi è considerato "per
legge" incompatibile con altri percorsi post laurea;
i laureati dopo il 2007 dal momento che in quell'anno è stato attivato
l'ultimo ciclo delle Scuole di Specializzazione e, fino al 2012, non
sono stati istituiti altri canali abilitanti, oggi sostituiti dai
Tirocini Formativi Attivi (TFA) e dai Percorsi Abilitanti Speciali
(PAS), questi ultimi riservati a docenti con almeno tre anni di
servizio;
tutti i docenti che per le caratteristiche
delle Siss ne sono rimasti
esclusi, pur avendo titoli validi all'insegnamento e regolare
servizio nelle scuole italiane di ogni ordine e grado.
Vittime di un vuoto istituzionale e normativo, dunque, migliaia di
docenti della III fascia sono stati assunti annualmente senza garanzie
e tutele e, inoltre, dal 2009 hanno subito un ulteriore trattamento
discriminatorio fino al disconoscimento del loro status di precari, in
un clima politico in cui persino i numeri e la portata del fenomeno
sono stati manipolati e mistificati per inquinare il dibattito nato
dalle richieste di questa categoria.
Nonostante gli ostacoli e i contrasti, a livello istituzionale e
politico, motivabili solo attraverso logiche di contenimento della
spesa pubblica, i docenti di III fascia hanno ottenuto parziali
riconoscimenti, tra i quali l'accesso ai Percorsi Abilitanti Speciali,
istituiti dal MIUR per "sanare" il ricorso a supplenze e contratti a
termine con docenti non abilitati o abilitati non riconosciuti, come
nel caso dei diplomati magistrali.
Ne sono rimasti fuori, comunque, i docenti che hanno prestato servizio
nelle scuole in modo difforme dal Decreto Ministeriale che ha istituito
i PAS e, cioè, gli insegnanti tecnico-pratici, i docenti con il titolo
di Dottore di ricerca, i neolaureati con titolo valido all'insegnamento.
Con l'aggiornamento delle graduatorie nell'estate 2014, il quadro si è
maggiormente complicato, perché quanti hanno nel frattempo conseguito
l'abilitazione, adesso sono "parcheggiati" in II fascia e, secondo
quanto prospettano il MIUR e il Governo, qui resteranno. A parità di
titolo, infatti, poiché cronologicamente è successivo alla chiusura che
per decreto ha trasformato le Graduatorie Permanenti in graduatorie ad
Esaurimento, c'è chi ha acquisito un diritto alla stabilizzazione, come
i docenti iscritti in GaE, e chi no, secondo scelte politiche che
alimentano disparità e iniquità, che travisano la logica del merito,
che non permettono a persone qualificate e con ampia esperienza
professionale di competere ad armi pari per migliorare la propria
posizione lavorativa. Una situazione che, tra l'altro, sta per essere
sanzionata dall'Unione Europea, la quale ha aperto un procedimento di
infrazione contro l'Italia per il suo reiterato sfruttamento del
precariato, problematica di cui abbiamo tracciato solo il contorno.
Per dovere di completezza, dobbiamo ricordare che, accanto alle
categorie prima descritte, in II fascia vi sono anche i Laureati in
Scienze della Formazione Primaria che si sono iscritti dopo l'anno
accademico 2008, perché un decreto, nonostante il percorso di studi
fosse identico a quello dei colleghi degli anni accademici precedenti,
li ha differenziati in modo opinabile e discrezionale.
Alla luce delle proposte politiche contenute nelle linee guida sulla
scuola del Governo, le contraddizioni del sistema, frutto di una
stratificazione storica, di vuoti normativi, di scelte irrazionali, che
sono arrivate persino al disconoscimento professionale e di status
giuridico, emergono con rinnovato vigore e impongono un'assunzione di
responsabilità da parte delle forze politiche e dell'Amministrazione
centrale.
In sostanza, non riteniamo accettabile che il miglioramento del sistema
scolastico nazionale, che pure è un'esigenza condivisa, passi
attraverso logiche di discriminazione e di disconoscimento, non
soltanto delle qualifiche professionali ma, soprattutto, sullo
status di quanti hanno svolto con legittimità e dedizione il
proprio servizio in qualità di precari.
Senza una fase transitoria dal vecchio al nuovo, orientata
dall'equilibrio e dalla volontà di razionalizzare il sistema caotico
delle nomine annuali e dei canali di reclutamento - troppi e arbitrari-
qualsiasi colpo di spugna produrrà effetti negativi.
L'unico modo che si è affermato, da alcuni anni in qua, per veder
rispettati i propri diritti e il proprio ruolo professionale è il
ricorso amministrativo che, sebbene sia servito a sollevare in ambito
istituzionale e politico un dibattito e a sollecitare soluzioni,
continua a ricreare condizioni di instabilità del sistema, "rattoppato"
a seguito delle sentenze, ma mai riorganizzato in modo strutturale e
organico.
L'occasione di una revisione globale del sistema scolastico italiano,
quindi, sembra essere la migliore opportunità, ma a patto che si
ripensi all'impostazione del reclutamento, nodo problematico più
controverso del progetto politico del MIUR.
Soltanto facendo ricorso ad equità e buon senso si potrà scongiurare il
contenzioso come strumento di ripristino di equilibrio e di rispetto
del diritto nazionale e comunitario.
In ultimo, vorremmo condividere alcune considerazioni che riguardando i
temi del precariato scolastico e del sistema scolastico nel suo
insieme. Non sempre, infatti, si considera la connotazione di genere
che, nel mondo contemporaneo, ha assunto la professione di docente.
Incidere in termini di contrazione occupazionale in questo settore, in
modo sempre più marcato, intervenendo negativamente sulla disponibilità
di posti, sulla qualità dell'esercizio della professione e sull'aspetto
retributivo (contratti fermi al 2009, stipendi tra i più bassi
d'Europa), non fa che ripercuotersi sull'occupazione femminile, sulla
quale il Paese non investe in modo adeguato. Eppure, secondo autorevoli
economisti, l'occupazione femminile inciderebbe positivamente sul PIL,
il parametro per eccellenza per misurare la ricchezza dell'economia
nazionale. Se dunque è vero, come anche Papa Francesco ha ricordato,
che «nel mondo del lavoro e nella sfera pubblica è importante l'apporto
più incisivo del genio femminile», il mondo della scuola, per la sua
prerogativa istituzionale, ma anche per la sua peculiarità di genere,
andrebbe salvaguardato dagli attacchi che minano persino la sua
autorevolezza.
Disconoscere l'apporto professionale del precariato scolastico,
infatti, non fa che incrinare la fiducia che nelle istituzioni
scolastiche ripongono le famiglie per la crescita culturale e sociale
dei propri figli. Anche nella scuola, quindi, si dovrebbe prestare
molta attenzione nel valorizzare la formazione e l'esperienza
professionale dei docenti, con l'intenzione di valorizzare l'apporto
femminile.
Negli ultimi anni, invece, il prevalente dibattito vessatorio e
denigratorio sull'intera categoria, ha trasmesso un'immagine di
incompetenza e di scarsa professionalità, che ha danneggiato
notevolmente l'autorevolezza istituzionale degli insegnanti, con
conseguenze gravi sull'andamento anche della quotidianità scolastica,
di cui poco si parla.
Per concludere, vogliamo sottolineare che il taglio dei posti in
organico, determinati dall'innalzamento del numero di alunni per
classe, si traduce, secondo la nostra esperienza, in un impoverimento
progressivo dell'offerta formativa, aspetto che incide negativamente
sullo sviluppo della persona, sulla formazione, l'istruzione e
l'educazione delle giovani generazioni.
La scuola, infatti, quale istituzione dello Stato, si dovrebbe
affiancare alla famiglia nell'investimento sulle giovani generazioni,
invece, in un tale contesto, si trova a dover subire un danno
determinato da un sistema reso sempre meno efficace.
Auspichiamo, quindi, un confronto reale tra il Governo e le
associazioni di categoria che da sempre o soltanto da pochi anni, come
nel caso di ADIDA, nata a seguito del disconoscimento dei precari di
III fascia da parte del MIUR, hanno rappresentato le istanze del
precariato scolastico in modo costruttivo e propositivo.
Le soluzioni serie e percorribili esistono. Ciò che sembra mancare è la
disponibilità ad una reale apertura, condizione creata da logiche di
contenimento della spesa pubblica che nulla hanno in comune, secondo il
nostro parere, con un concetto di "buona scuola".
Il problema del precariato scolastico, la sua ricaduta negativa sul
sistema, sulla continuità didattica, sulla condizione lavorativa ed
esistenziale dei docenti stessi, non può essere affrontato seguendo
logiche economiche.
Il prezzo che si paga e che, prevediamo, pagherà l'intero sistema
socio-educativo nazionale, è troppo alto.
Valeria Bruccola - Presidente
Associazione Nazionale ADIDA