
La maestra avrebbe assegnato un tema ai suoi alunni dal titolo: “Lettera a un mio amico”, chiedendo loro di raccontare le loro recenti esperienze scolastiche. Ma dallo svolgimento di uno dei suoi piccoli studenti escono parole forti, proprio a lei riferite. “Impazzita”, “sclerata”, “da casa di ricovero”.
L’accaduto viene segnalato al preside che si attiva per far incontrare insieme maestra e genitori. Incontro che non si è mai concretizzato. All’ennesima convocazione dalla scuola i genitori si sono limitati a spiegare che le parole del tema altro non fossero che una reazione a uno stato di disagio.
A conclusione dell’anno di scuola il bambino avrebbe consegnato in fretta un foglio alla maestra con su scritto: “Mi scuso per quello che ho scritto nel tema”.
A quel punto l’insegnante ha deciso di chiedere, stavolta nelle aule del tribunale, risarcimento dei danni personali e professionali subiti. E ha vinto la causa.
“Un bambino - ha spiegato il giudice nelle motivazioni della sentenza - può scrivere quello che vuole, ma è la famiglia responsabile del proprio figlio minore ed è necessario che sia disponibile a un’azione educativa nei confronti del bambino, insieme alla scuola. Invece i genitori si sono sottratti al loro ruolo, anzi hanno sobillato il ragazzino contro la scuola”.
"Questo pronunciamento rappresenta un’importante vittoria – commenta il sindacato degli insegnanti. – Nonché un rilevante precedente per frenare la deriva di comportamenti aggressivi e denigratori sempre più spesso attuati con superficialità da alcuni genitori e alunni. Occorre portare l’attenzione su una più ampia riflessione rispetto all’importanza del ruolo che la figura del docente invece riveste sotto il profilo educativo e formativo”.
Redazione Tgcom24 del 13 maggio 2020