Gli scavi archeologici che interessano la parte posteriore, oggi residenziale, del Teatro Bellini, nell’omonima piazza di Palermo, saranno aperti al pubblico per i cinque fine settimana (sabato e domenica) di Ottobre in occasione dell’edizione 2021 de “Le vie dei tesori”.
Gli scavi, che già nel 2015 avevano coinvolto direttamente la Soprintendenza dei Beni Culturali di Palermo, sono stati avviati nel corso dell’attività di vigilanza e tutela durante i lavori di restauro del Palazzo, che hanno portato in luce interessanti scoperte archeologiche che accrescono il valore delle conoscenze sul territorio del centro storico di Palermo e, per la loro peculiarità, hanno dato luogo a una nuova e promettente campagna di scavi, che è attualmente in corso.
“La visita degli scavi, che si sono rivelati molto interessanti per la conoscenza della storia di questo particolare ambito del centro storico - dice Selima Giuliano, Soprintendente dei Beni Culturali di Palermo – sarà consentita durante le giornate dedicate alle Vie dei Tesori proprio per condividere con la città l’attività di ricerca curata dagli archeologi Carla Aleo Nero, della Sovrintendenza, e di Antonio Di Maggio, libero professionista. La visita è stata resa possibile grazie alla disponibilità dell’attuale proprietà dell’immobile”.
“L’apertura del cantiere di scavo alla visita del pubblico è il segno di un nuovo modo di pensare alla ricerca e ai beni culturali non più come qualcosa da riservare ad una minoranza di studiosi ma come patrimonio da condividere per diffondere anche la consapevolezza del valore del nostro passato. Si tratta – sottolinea l’assessore regionale dei Beni culturali e dell’Identità siciliana, Alberto Samonà – di avviare un percorso virtuoso di educazione alla conoscenza della storia e dell’arte nella consapevolezza che questi sono i valori e i tesori su cui costruire un processo di rinascita economico e culturale di Palermo e della Sicilia”.
L’area oggetto di scavo, nelle forme attuali di impianto ottocentesco e con i rimaneggiamenti più recenti, si trova nella parte posteriore e più interna del Teatro, in prossimità della Chiesa di Santa Maria dell’Ammiraglio, detta della Martorana.
Dal punto di vista archeologico si riteneva che questo luogo, posto sul margine orientale della città punica, un tempo con vista sul mare e in una zona ricca di preesistenze molto antiche, potesse rivelare qualche interessante sorpresa. Le aspettative non sono state deluse dal momento che all’interno del palazzo è stato ritrovato un tratto del muro di fortificazione di età punica, della quale un altro significativo spezzone è tuttora conservato e ben visibile in via degli Schioppettieri, nelle costruzioni del Complesso di Santa Caterina.
Gli scavi, che non sono al momento conclusi, hanno anche messo in luce una complessa documentazione di età medievale e una stratificazione di età moderna che rispecchia le vicende edilizie del luogo, soprattutto della vicina Chiesa della Martorana, di età normanna, e dell’annesso convento di monache benedettine, fondato sul finire del XII secolo.
Sembra chiaro, infatti, che alcune parti dell’edificio attuale, in particolare la chiostrina interna e gli ambienti che vi si affacciano, fossero, a partire dall’età normanna e sveva, spazi aperti a servizio della chiesa e del monastero, e che, nel tempo, i livelli siano stati rialzati con gli sfabbricidi delle successive trasformazioni edilizie nel XV, XVI, XVII e XIX secolo.
Negli strati superficiali di “rifiuti” tardo ottocenteschi nella chiesa della Martorana, molto probabilmente risalenti ai restauri ad opera del Patricolo, è stato ritrovato un frammento di iscrizione in greco in marmo che si è riconosciuto appartenere alla perduta lapide sepolcrale di Irene, moglie di Giorgio di Antiochia, personaggio chiave della corte di Ruggero al quali si deve la costruzione stessa della Chiesa di S. Maria dell’Ammiraglio.
Di particolare interesse, inoltre, le stratigrafie relative alle attività edilizie del XV, XVI e XVII secolo relative alla chiesa e al monastero; oltre al riempimento di un pozzo ricolmato alla fine del Cinquecento, gli scavi hanno restituito, infatti, grandi quantità e varietà sia di maioliche a lustro, che di maiolica berettina savonesi e di ceramiche smaltate da Montelupo; tra i ritrovamenti anche un pregiato vaso in pasta silicea con raffinata decorazione dipinta sotto vetrina, della fine del XIV secolo, d’importazione orientale.
L’insieme delle ceramiche è in corso di studio, anche nella prospettiva di poter verificare se parte del vasellame potesse aver fatto parte dei corredi ceramici in uso presso il monastero della Martorana e stabilire con maggiore precisione l’epoca della loro dismissione.