“Ciò che dà senso alla
vita, lo dà anche alla morte”. Le parole di Antoine de
Saint-Exupéry
sembrano calzare alla perfezione al caso di un giovane di 38 anni,
colto da
improvviso malore, prematuramente scomparso, la cui vita, nel fiore
degli anni,
è stata inaspettatamente falcidiata, senza preavviso, lasciando
attoniti
familiari (in particolare i genitori Luigi e Rosellina) come pure il
fratello Giuseppe,
la storica fidanzata Ivana, gli amici di tutta una vita, i colleghi di
lavoro.
Ma la storia di Marco Mammoliti, di origini messinesi, nonostante il tragico epilogo che sembrerebbe accomunarlo all’insensatezza delle tante vite umane spezzate che pullulano la cronaca, si discosta, ha un finale inedito, aprendo nuovi scenari e ricordandoci che in fondo, per dirla con Ralph Emerson, “la vita è un viaggio, non una destinazione”. In “Gradini” anche Herman Hesse afferma che “dobbiamo attraversare spazi e spazi, senza fermare in alcun d’essi il piede, lo spirto universal non vuol legarci, ma su di grado in grado sollevarci”. È forse questo il destino di quella umanità eletta che tenta il riscatto per sé e per gli altri. Ed è il caso di Marco, il quale, tanto in vita e ancor più oltre la vita, diviene paradigma per amplificare quanto di più eroico e nobile si celi nel cuore umano: una vita che chiama altre vite, le nutre. Il sacrificio di uno per il beneficio di molti. Tutti i “gradini” sono stati affrontati. L’elevazione di una salita che, con una vita più lunga ma ordinaria, con ogni probabilità, non avrebbe potuto toccare la cima.
Pure Bertold Brecht riteneva che “non bisogna temere tanto la morte, quanto piuttosto una vita non all’altezza”. Ma per comprendere più a fondo l’esistenza e le scelte etiche che stanno a monte di tale visione, abbiamo incontrato il fratello del nostro protagonista, Giuseppe Mammoliti, che opera tra l’altro come guida autorizzata dell’Etna a tutela del patrimonio siciliano.
Albert Camus soleva asserire che “C’è una vita e c’è una morte, e in mezzo ci sono bellezza e malinconia”. Giuseppe, quali sono i ricordi che conservi relativi al modo di essere di tuo fratello e al legame che vi univa?
Il suo modo di essere era lampante, chiaro ed istintivamente intuibile. Bastava guardare i suoi occhi, il suo sorriso e le sue espressioni, tutto emanava dolcezza, gentilezza e soprattutto grande sensibilità. Può apparire una risposta scontata, data da un fratello carico di dolore, ma è proprio così. Sempre attento a non dar fastidio, a non arrecare disturbo, Marco era una persona rara, con una sconfinata dose di altruismo e generosità, e tutto l’affetto e il dolore, manifestato da tantissime persone, anche da chi lo conosceva appena, ne è la prova! Noi eravamo praticamente una persona sola, nonostante fosse più piccolo, per me era ed è un faro. Cercavo costantemente un suo parere, un suo consiglio sulle cose importanti. Il suo giudizio mi serviva per sentirmi più sicuro, per avere la certezza che avevo fatto la cosa giusta. Era capace di trasmettere una tranquillità assoluta e, anche nei momenti più burrascosi, quelli in cui facilmente si perde la lucidità, lui era lì, pronto a riportare la “barca verso lidi calmi e sicuri”. Questo era Marco, punto di riferimento di tutta la sua famiglia e di tante altre persone.
Abbiamo appreso da Ugo Foscolo che “Un uomo non muore mai se c’è qualcuno che lo ricorda”. Già in vita Marco era destinato a essere ricordato in quanto benvoluto e stimato da tutti, nella vita pubblica e lavorativa come nel trascorso privato, secondo le svariate testimonianze di coloro che gli hanno vissuto accanto. Ciò ha reso forse ancora più acuta la sofferenza della comunità di riferimento nell’apprendere la notizia della sua dipartita. Puoi restituirci un breve ritratto di Marco impegnato nel suo lavoro e nella società?
Marco, nel lavoro e conseguentemente nella società, non risparmiava tempo e fatica. La sua attività si divideva tra la Casartigiani (sindacato artigiani) ed un Caf. In tutti e due era il punto di riferimento principale, per le sue capacità informatiche e per la sua abilità nel risolvere ogni tipo di problema. Generoso di consigli, spesso era lui stesso ad informare le persone riguardo ad eventuali diritti e benefici, infatti numerosissime persone non frequentano più questi uffici... perché? Perché Marco non c’è più! Basta chiedere a chi lavorava con lui o ad un semplice amico o cliente, per sentirsi dire esattamente le stesse cose che sto raccontando.
Secondo il Vangelo di Matteo Gesù domanda: “Chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita?”. Dunque ti chiedo: con quali strumenti si riesce a sopravvivere ad una disgrazia di simile portata, come si elabora il dolore? E in ultimo: se ti fosse concessa quella famosa ora in più, come la spenderesti?
Come si sopravvive ad un dolore del genere? Non lo so, non credo ci sia una regola assoluta. Credo che ognuno elabori a modo proprio. Ovviamente c’è chi non ce la fa e non si rialza più. È come vivere tra realtà e finzione, io sento che lui è presente e continua a seguirmi e ciò mi aiuta tanto. Parlo costantemente con lui, proprio come se fosse qui. Bisogna crearsi una convinzione ed uno stato mentale tale, per far fronte ai momenti dolorosi che, irrimediabilmente, arrivano all’improvviso, come un temporale violento. Occorre farsi forza su ciò che di buono è rimasto, e continuare su questa scia profumata che lui ci ha lasciato. Se avessi un’ultima ora da spendere con lui, la spenderei parlandogli tanto, gli direi tante cose mai dette, ma soprattutto lo ringrazierei di cuore, per avermi dato l’onore di essere suo fratello e di aver trascorso questo tratto di vita insieme.
Il noto artista e writer britannico Banksy ci ricorda che si muore due volte, “una volta quando si smette di respirare e una seconda volta, un po’ più tardi, quando qualcuno dice il tuo nome per l’ultima volta”. Ma tu, la tua famiglia e la fidanzata di Marco avete riscritto il finale, non consentendo che ciò accadesse. In che modo?
Sì, è vero. Si muore davvero quando nessuno pronuncia o ricorda più il tuo nome. Proprio per questo noi cercheremo sempre di far rivivere Marco attraverso diverse iniziative benefiche, aiutando con piccoli gesti. È una goccia nell’Oceano, ma siamo convinti che anche una goccia sia utile a qualcuno. Attraverso questo intento, cerchiamo di dare un senso a ciò che un senso non ha. Dopo una tragedia del genere ci sono due strade da poter imboccare, una buia e carica di rabbia ed un’altra piena di luce e retta, sta ad ognuno di noi scegliere.
Quanto è diffusa in Sicilia e più in generale nel nostro Paese la cultura della donazione degli organi? In fondo anche Thomas Mann pensava che “l’interesse per la malattia e la morte è sempre e soltanto un’altra espressione dell’interesse per la vita”. Quali sono i timori e i dubbi che, secondo te, impediscono allo stato attuale la piena condivisone e la concretizzazione di certi ideali etici?
Nel nostro Paese e ancora meno in Sicilia, la cultura della donazione degli organi è ancora poco diffusa. Certo, qualche piccolo passo è stato fatto, ma è un processo ancora lento rispetto ad altri Paesi. Nel meridione il retaggio culturale costituisce ancora una barriera per certi principi, che dovrebbero essere, a mio avviso, immediati, quasi istintivi. Perché far marcire sotto terra una parte sana che può donare ancora vita ad altri? Che torto si fa a chi va via da questo mondo? Nessuno, anzi si onora ancor più la sua anima, la si esalta alla massima essenza, perché da una vita che si spegne se ne accende un’altra. Credo sia questo il vero significato dell’esistenza umana, aiutarsi, donare e salvare, e Marco, prima di andare via, ha donato se stesso salvando cinque vite, chiudendo perfettamente e nel modo più alto il cerchio della vita ed il suo percorso terrestre.
Tramite le iniziative di solidarietà avete dato gambe al famoso assunto agostiniano secondo
cui “coloro che amiamo e che abbiamo perduto non sono più dove erano, ma sono ovunque noi siamo”. Dopo quel fatidico gennaio 2022 quali obiettivi filantropici vi siete posti?
Gli obiettivi che ci siamo posti sono quelli di trasformare la tragedia in qualche cosa di buono, di utilizzare l’energia e la luce che Marco continua ad emanare, in beneficenza. Abbiamo già raccolto qualcosa per gli ‘ultimi’, coloro che davvero vivono ai margini, ma anche per un’associazione che si occupa di dare assistenza alle famiglie di bambini malati, presso il Policlinico di Messina, al cui interno del Padiglione Pediatrico è stata peraltro intitolata dall’Associazione Il Bucaneve una targa a Marco. Continueremo, con piccoli gesti, a donare in diverse parti del territorio, dove capita, senza seguire un binario fisso. Ovviamente la sensibilizzazione sulla donazione degli organi sarà sempre il motore di questa locomotiva.
Ci vuoi illustrare le intenzioni future? Hai un messaggio da recapitare alla gente e, in particolare, alle nuove generazioni?
Di messaggi alle nuove generazioni ce ne sarebbero tanti, uno su tutti è coltivare l’empatia, perché, solo riuscendo a metterci nei panni dell’altro, si può migliorare un po’ questo mondo. Marco partiva sempre da questo punto di vista e, a pensarci bene, è la chiave di tutto o quasi.
Maria Valeria Sanfilippo
Ma la storia di Marco Mammoliti, di origini messinesi, nonostante il tragico epilogo che sembrerebbe accomunarlo all’insensatezza delle tante vite umane spezzate che pullulano la cronaca, si discosta, ha un finale inedito, aprendo nuovi scenari e ricordandoci che in fondo, per dirla con Ralph Emerson, “la vita è un viaggio, non una destinazione”. In “Gradini” anche Herman Hesse afferma che “dobbiamo attraversare spazi e spazi, senza fermare in alcun d’essi il piede, lo spirto universal non vuol legarci, ma su di grado in grado sollevarci”. È forse questo il destino di quella umanità eletta che tenta il riscatto per sé e per gli altri. Ed è il caso di Marco, il quale, tanto in vita e ancor più oltre la vita, diviene paradigma per amplificare quanto di più eroico e nobile si celi nel cuore umano: una vita che chiama altre vite, le nutre. Il sacrificio di uno per il beneficio di molti. Tutti i “gradini” sono stati affrontati. L’elevazione di una salita che, con una vita più lunga ma ordinaria, con ogni probabilità, non avrebbe potuto toccare la cima.
Pure Bertold Brecht riteneva che “non bisogna temere tanto la morte, quanto piuttosto una vita non all’altezza”. Ma per comprendere più a fondo l’esistenza e le scelte etiche che stanno a monte di tale visione, abbiamo incontrato il fratello del nostro protagonista, Giuseppe Mammoliti, che opera tra l’altro come guida autorizzata dell’Etna a tutela del patrimonio siciliano.
Albert Camus soleva asserire che “C’è una vita e c’è una morte, e in mezzo ci sono bellezza e malinconia”. Giuseppe, quali sono i ricordi che conservi relativi al modo di essere di tuo fratello e al legame che vi univa?
Il suo modo di essere era lampante, chiaro ed istintivamente intuibile. Bastava guardare i suoi occhi, il suo sorriso e le sue espressioni, tutto emanava dolcezza, gentilezza e soprattutto grande sensibilità. Può apparire una risposta scontata, data da un fratello carico di dolore, ma è proprio così. Sempre attento a non dar fastidio, a non arrecare disturbo, Marco era una persona rara, con una sconfinata dose di altruismo e generosità, e tutto l’affetto e il dolore, manifestato da tantissime persone, anche da chi lo conosceva appena, ne è la prova! Noi eravamo praticamente una persona sola, nonostante fosse più piccolo, per me era ed è un faro. Cercavo costantemente un suo parere, un suo consiglio sulle cose importanti. Il suo giudizio mi serviva per sentirmi più sicuro, per avere la certezza che avevo fatto la cosa giusta. Era capace di trasmettere una tranquillità assoluta e, anche nei momenti più burrascosi, quelli in cui facilmente si perde la lucidità, lui era lì, pronto a riportare la “barca verso lidi calmi e sicuri”. Questo era Marco, punto di riferimento di tutta la sua famiglia e di tante altre persone.
Abbiamo appreso da Ugo Foscolo che “Un uomo non muore mai se c’è qualcuno che lo ricorda”. Già in vita Marco era destinato a essere ricordato in quanto benvoluto e stimato da tutti, nella vita pubblica e lavorativa come nel trascorso privato, secondo le svariate testimonianze di coloro che gli hanno vissuto accanto. Ciò ha reso forse ancora più acuta la sofferenza della comunità di riferimento nell’apprendere la notizia della sua dipartita. Puoi restituirci un breve ritratto di Marco impegnato nel suo lavoro e nella società?
Marco, nel lavoro e conseguentemente nella società, non risparmiava tempo e fatica. La sua attività si divideva tra la Casartigiani (sindacato artigiani) ed un Caf. In tutti e due era il punto di riferimento principale, per le sue capacità informatiche e per la sua abilità nel risolvere ogni tipo di problema. Generoso di consigli, spesso era lui stesso ad informare le persone riguardo ad eventuali diritti e benefici, infatti numerosissime persone non frequentano più questi uffici... perché? Perché Marco non c’è più! Basta chiedere a chi lavorava con lui o ad un semplice amico o cliente, per sentirsi dire esattamente le stesse cose che sto raccontando.
Secondo il Vangelo di Matteo Gesù domanda: “Chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita?”. Dunque ti chiedo: con quali strumenti si riesce a sopravvivere ad una disgrazia di simile portata, come si elabora il dolore? E in ultimo: se ti fosse concessa quella famosa ora in più, come la spenderesti?
Come si sopravvive ad un dolore del genere? Non lo so, non credo ci sia una regola assoluta. Credo che ognuno elabori a modo proprio. Ovviamente c’è chi non ce la fa e non si rialza più. È come vivere tra realtà e finzione, io sento che lui è presente e continua a seguirmi e ciò mi aiuta tanto. Parlo costantemente con lui, proprio come se fosse qui. Bisogna crearsi una convinzione ed uno stato mentale tale, per far fronte ai momenti dolorosi che, irrimediabilmente, arrivano all’improvviso, come un temporale violento. Occorre farsi forza su ciò che di buono è rimasto, e continuare su questa scia profumata che lui ci ha lasciato. Se avessi un’ultima ora da spendere con lui, la spenderei parlandogli tanto, gli direi tante cose mai dette, ma soprattutto lo ringrazierei di cuore, per avermi dato l’onore di essere suo fratello e di aver trascorso questo tratto di vita insieme.
Il noto artista e writer britannico Banksy ci ricorda che si muore due volte, “una volta quando si smette di respirare e una seconda volta, un po’ più tardi, quando qualcuno dice il tuo nome per l’ultima volta”. Ma tu, la tua famiglia e la fidanzata di Marco avete riscritto il finale, non consentendo che ciò accadesse. In che modo?
Sì, è vero. Si muore davvero quando nessuno pronuncia o ricorda più il tuo nome. Proprio per questo noi cercheremo sempre di far rivivere Marco attraverso diverse iniziative benefiche, aiutando con piccoli gesti. È una goccia nell’Oceano, ma siamo convinti che anche una goccia sia utile a qualcuno. Attraverso questo intento, cerchiamo di dare un senso a ciò che un senso non ha. Dopo una tragedia del genere ci sono due strade da poter imboccare, una buia e carica di rabbia ed un’altra piena di luce e retta, sta ad ognuno di noi scegliere.
Quanto è diffusa in Sicilia e più in generale nel nostro Paese la cultura della donazione degli organi? In fondo anche Thomas Mann pensava che “l’interesse per la malattia e la morte è sempre e soltanto un’altra espressione dell’interesse per la vita”. Quali sono i timori e i dubbi che, secondo te, impediscono allo stato attuale la piena condivisone e la concretizzazione di certi ideali etici?
Nel nostro Paese e ancora meno in Sicilia, la cultura della donazione degli organi è ancora poco diffusa. Certo, qualche piccolo passo è stato fatto, ma è un processo ancora lento rispetto ad altri Paesi. Nel meridione il retaggio culturale costituisce ancora una barriera per certi principi, che dovrebbero essere, a mio avviso, immediati, quasi istintivi. Perché far marcire sotto terra una parte sana che può donare ancora vita ad altri? Che torto si fa a chi va via da questo mondo? Nessuno, anzi si onora ancor più la sua anima, la si esalta alla massima essenza, perché da una vita che si spegne se ne accende un’altra. Credo sia questo il vero significato dell’esistenza umana, aiutarsi, donare e salvare, e Marco, prima di andare via, ha donato se stesso salvando cinque vite, chiudendo perfettamente e nel modo più alto il cerchio della vita ed il suo percorso terrestre.
Tramite le iniziative di solidarietà avete dato gambe al famoso assunto agostiniano secondo
cui “coloro che amiamo e che abbiamo perduto non sono più dove erano, ma sono ovunque noi siamo”. Dopo quel fatidico gennaio 2022 quali obiettivi filantropici vi siete posti?
Gli obiettivi che ci siamo posti sono quelli di trasformare la tragedia in qualche cosa di buono, di utilizzare l’energia e la luce che Marco continua ad emanare, in beneficenza. Abbiamo già raccolto qualcosa per gli ‘ultimi’, coloro che davvero vivono ai margini, ma anche per un’associazione che si occupa di dare assistenza alle famiglie di bambini malati, presso il Policlinico di Messina, al cui interno del Padiglione Pediatrico è stata peraltro intitolata dall’Associazione Il Bucaneve una targa a Marco. Continueremo, con piccoli gesti, a donare in diverse parti del territorio, dove capita, senza seguire un binario fisso. Ovviamente la sensibilizzazione sulla donazione degli organi sarà sempre il motore di questa locomotiva.
Ci vuoi illustrare le intenzioni future? Hai un messaggio da recapitare alla gente e, in particolare, alle nuove generazioni?
Di messaggi alle nuove generazioni ce ne sarebbero tanti, uno su tutti è coltivare l’empatia, perché, solo riuscendo a metterci nei panni dell’altro, si può migliorare un po’ questo mondo. Marco partiva sempre da questo punto di vista e, a pensarci bene, è la chiave di tutto o quasi.
Maria Valeria Sanfilippo