Mi piace
pubblicare la lettera che la mia vecchia, ma solo per antica
amicizia, collega mi ha inviato in un momento speciale, com’è questo
tempo di sciagurate scelte, della sua vita professionale. Sicuramente
riflessioni simili faranno tanti altri insegnanti che pur amando la
scuola e il loro lavoro non trovano l’attesa corrispondenza di stima e
di riconoscimento. p.a.
Ciao Mimmo, spero tu stia bene, io posso esprimerti solo la mia rabbia,
perchè non riesco a condividere più nulla di quello che è la nostra
realtà. Tu lo sai che io amo il mio lavoro e ritengo che essere
insegnante sia il lavoro più bello del mondo. Certo, solo se ci credi
ed in particolare se ami l'allievo che hai davanti. Già all'inizio
quando lo conosci e comprendi le potenzialità, ti entusiasmi perchè
cominci a lottare, anche contro l'alunno stesso, pur di fare emergere
quel potenziale latente che c'è in lui. Alla fine, talvolta riesci
benissimo, talvolta meno bene, ma l'opera è compiuta.
Questo è l'unico regalo, la nostra piccola opera, modesto contributo
che abbiamo dato all'allievo e alla società. Spesso sentiamo la
riconoscenza nell'allievo per il nostro operato, ma mai dalla società.
Essa è ingrata verso tutti, infatti egoisticamente e presuntuosamente
tutti pensiamo che ci siamo fatti da soli e sottovalutiamo il piccolo
apporto di ogni insegnante, padre, madre, amica che senz'altro hanno
contribuito alla nostra formazione.
Ma ciò che veramente fa male è sentire l'avversione della società e
dello Stato che dovrebbero tutelarci, difendere, riconoscere la
validità del nostro lavoro, anzichè desiderare il nostro totale
annientamento perchè “noi non produciamo ricchezza”.
Non hanno capito niente! Noi produciamo la reale ricchezza di uno
stato, noi formiamo menti capaci di pensare ed agire ed anche di
programmare l'evoluzione delle future generazioni.
Abbiamo dunque grandi responsabilità, almeno chi ci crede, che
ovviamente non ci vengono riconosciute. Infatti si permettono
illegittimamente di non fare rispettare, alle scuole di ogni ordine e
grado, la continuità didattica, di “accozzare” un numero elevato di
ragazzi, anche disabili, tanto ci sono le insegnanti di sostegno, solo
per nove ore.
E poi come fai a spiegare le concezioni di Leopardi, se quel ragazzino
con una programmazione differenziata è talmente insofferente che non
riesce a stare nemmeno in classe?
Veramente la crisi esistenziale di Leopardi la provi sulla tua pelle e
la leggi sui volti dei giovani che ti stanno davanti e ti chiedono
impietosamente : “ma tutto questo a che serve, se non c'è programmato
per noi giovani nessun domani? “
Ciao Mimmo, goditi la tua pensione, perchè per noi, anche questa
speranza, sta diventando una chimera
Caterina Ciraulo
redazione@aetnanet.org