Le recenti contestazioni
e occupazioni studentesche hanno evidenziato non soltanto
il disagio degli studenti, ma ancor più l’incapacità degli adulti di
essere fermi e decisi nel dare indicazioni e sicurezze.
Un tempo i giovani tentavano di contestare il mondo degli adulti e
sbattevano contro il muro della regole, dei principi, dei valori, della
tradizione, della cultura salda e radicata, oggi vediamo gli adulti
spesso insicuri e dubbiosi, incerti in un atteggiamento di relativismo
imperante , spesso incapaci di porre un freno ad un lassismo dilagante
e fluido, diventando essi stessi quasi un “budino” molle e privo di
consistenza.
I giorni di scuola che si perdono non ritornano più, le occasioni
perdute non si possono recuperare, il tempo scuola, sprecato in cortei,
manifestazioni, occupazioni,autogestione, non risulta né efficace né
produttivo per la maturazione dello studente , specie quando,
cavalcando la tigre delle decisioni di massa, si rimane estranei
e ci si emargina dalle reali forme di una democrazia
partecipativa anche se di opposizione e di contestazione.
Mancano, infatti, gli interlocutori del disagio
degli studenti, e non per tutti sono chiare le motivazione del vero
perché non si fa scuola.
Le recenti disposizioni impongono duecento
giorni di lezioni per dare validità all’anno scolastico e le numerose
assenze,oltre i 50 giorni non consentono di validare la frequenza
dell’anno e quindi la mancata valutazione del percorso formativo.
In questo contesto anche alcuni genitori sostengono
che è bene che i ragazzi scioperino e occupino la scuola, inconsapevoli
forse delle gravi responsabilità dei danni che in queste occasioni
vengono arrecate alle strutture scolastiche
L’emergenza educativa chiama in causa la nostra capacità di
intercettare la domanda di senso che viene dal mondo giovanile e
che ci chiede non “prediche” ma risposte concrete.
Nel noto libro di Paolo Crepet “ Non siamo capaci di ascoltarli “, la
formula assertiva si carica di interrogativi e di tanti perché.
Cosa significa oggi educare? Siamo ancora depositari di un sapere
“forte” da trasmettere ai nostri figli e agli studenti ? Siamo in
grado di ascoltare ? Quali certezze siamo capaci di
trasmettere ai nostri ragazzi ?
Alla proteste che di fatto producono “meno scuola” gli educatori
adulti, docenti e genitori, dovrebbero rispondere offrendo più tempo
scuola, maggiori spazi di incontro e di socializzazione, liberandosi
dalla solitudine o dalla virtuale socializzazione di face-book.
La scuola che non può permettersi il lusso di restare indietro,
rispetto al progredire tecnologico e comunicativo , ha il dovere di
saper usare tutti gli strumenti, face.book compreso, come strumento di
interazione comunicativa e di relazione interpersonale.
Come ha scritto Domenico Di Fatta “Mi piacerebbe una scuola
impegnata sul fronte del disagio giovanile , una scuola che favorisse
l’incontro tra il sistema ufficiale della formazione e quello non
formale, per dare vita ad un modello flessibile delle conoscenze,
basato sia su unità formative,che sono proprie del patrimonio
tradizionale e specifico della scuola,sia su modelli esperienziali in
grado di accogliere e metabolizzare la cultura viva del territorio e
del lavoro.
Mi piacerebbe una scuola capace di rispondere oggi ai bisogni dei
giovani, spazio e luogo di vera “comunità educante”, nella
quale far confluire l’impegno,la partecipazione e la corresponsabilità
di tutti i soggetti, pubblici e privati, coinvolti nell’azione
educativa.
La verità è che ci vorrebbe una vera e propria metanoia,
capace di produrre nuovi segni di attenzione e di impegno per una
società da costruire.
Giuseppe Adernò
redazione@aetnanet.org