Per concludere
degnamente il 150° Anniversario dell’Unità d’Italia, dopo aver sentito
il generale Giuseppe Garibaldi, ci è sembrato doveroso incontrare anche
l’altro grande eroe del Risorgimento, colui che più di tutti ha
incarnato l’idea dell’unità nazionale e che per essa ha speso tutta la
sua vita: Giuseppe Mazzini, filosofo, politico, patriota. Mazzini,
“l’apostolo del Risorgimento italiano”, “il più autorevole
rivoluzionario d’Europa”, ha vissuto un’intera vita da esule e da
condannato a morte, lottando per un’Italia unita, indipendente e
repubblicana.
Per intervistarlo, in diretta dal passato, lo abbiamo avvicinato, con
molta discrezione, appena rientrato a Pisa, ospite di Janet Nathan
Rosselli, figlia di Sarina, una sua vecchia amica, conosciuta ai tempi
dell’esilio londinese. Mazzini è giunto in Italia, segretamente, da
Lugano, dove si era nascosto, dopo essere stato, ancora una volta, a
Londra.
Inviato: Finalmente, ci siamo
riusciti a fare l’Italia, eppure lei, in suolo italiano, è ancora sotto
falso nome. Perché?
Mazzini: “E’ una lunga storia.
Sono venuto a Pisa, sotto il falso nome di George Brown, perché su di
me pende ancora un ordine di arresto. Sono rientrato in Italia per
rendermi personalmente conto delle condizioni morali, o meglio,
immorali, in cui versa la mia patria sotto il dominio dei Savoia.
Perché questa non è ancora la mia Italia, quella per cui ho tanto
combattuto e sofferto. L’Italia di adesso è un quadro senza cornice;
una casa senza mobilia. Dobbiamo ricostruire il movimento repubblicano,
per rovesciare i Savoia e far trionfare la Repubblica italiana e, a tal
proposito, ho già preso i primi contatti con i patrioti siciliani e
napoletani, a cui ho inviato i miei messaggi, cifrati, naturalmente”.
Inviato: Ci parli delle sua
giovinezza; è vero che ha fatto anche il giornalista?
Mazzini: “Vedo che lei è ben
informato. Rispondo con piacere a questa domanda, anche perché mi fa
ricordare gli anni belli della mia giovinezza. Dopo aver lasciato la
facoltà di Filosofia, mi sono laureato in Diritto, nel 1827,
iscrivendomi, in seguito, all’ufficio di avvocatura dei poveri ed
esercitando, senza compenso, la professione legale per un paio d’anni”.
Inviato: Ho saputo anche che
lei ama molto la musica?
Mazzini: “Vero. Ho amato molto
la musica. Io stesso, accompagnato dalla chitarra di un amico, solevo
cantare, divinamente, mi dicono! Ho anche scritto un saggio sulla
musica,” Filosofia della musica”, pubblicato nel 1835, in cui affermo
che i canti popolari sono l’espressione più genuina dell’animo umano.
Di tutti i compositori italiani, ho una particolare ammirazione per il
pesarese Gioacchino Rossini, da me definito “un titano di potenza e di
audacia, il Napoleone d’un’epoca musicale”.
Inviato: Molti dicono, anche,
che lei ha amato molte donne. È vero?
Mazzini: “Anche questo è vero.
Ho forse è più giusto dire che molte donne sono rimaste affascinante
dalla mia personalità poliedrica e dal mio pensiero. La donna più
importante della mia vita è stata la Sig.ra Giuditta Bellerio Sidoli,
“bellissima e pericolosissima”, come l’hanno definita in molti. L’ho
conosciuta durante la mia permanenza a Marsiglia nel 1831, ne rimasi
ammaliato, soprattutto, per le sue idee e la volontà di libertà e
d’indipendenza, cose alquanto difficili, per quei tempi, anche perché
era vedova e madre di tre figli. Mi aiutò tantissimo, insieme fondammo
la rivista “La giovine Italia”, di cui lei divenne responsabile e
contabile. Dalla nostra relazione è nato anche un figlio, Adolphe, che
però, con nostro enorme dispiacere, morì precocemente. In seguito,
durante la mia lunga permanenza a Londra, ho avuto modo di conoscere
un’altra donna straordinaria, Giovanna Welsh, appassionata d’arte e
della sua città; con lei ho anche imparato ad amare la metropoli
inglese. In quel periodo, per me, molto difficile, ma esaltante,
frequentavo anche altre donne, che, bontà loro, condividevano le mie
stesse idee liberali; un gruppo di amiche, da me definito,
scherzosamente, “il mio clan”, Clementina Taylor, le sorelle
Winlwoerth, Margherita Fuller, Aretuhusa Miller e altre. Poi sono
diventato molto amico della famiglia londinese, Ashurst, una coppia
invidiabile, il marito era un noto avvocato del foro cittadino, sua
moglie è stata per me come una seconda madre, e le loro tre figlie,
Elisa, Emilia e Carolina. Emilia, addirittura, mi ospitò, sovente a sua
casa, ed in seguito, “innamorata” delle mie idee, scese in Italia,
sposandosi con un ufficiale garibaldino. Anche un’altra cara amica,
Sara Levi Nathan, detta Sarina, mi aiutò tantissimo, ospitandomi sia a
Londra, che, nel 1865, a Lugano, che, in seguito, anche in Italia”.
Inviato: Parliamo di cose più
interessanti; dicono che lei abbia fatto parte della Massoneria?
Mazzini: “Mio padre era un
massone, affiliato alla Loggia genovese, “Gli indipendenti”. Io,
invece, da giovane, mi ero iscritto alla Carboneria, diventando
“Maestro”, un ruolo che ho espletato con grande abilità e riscuotendo
tanta stima da parte di molti giovani studenti. Ma non sono mai stato
membro della Massoneria, anche se, per motivi politici, ho avuto molti
amici massoni, in Italia e in Europa, con i quali sono stato in
costante contatto. La mia appartenenza organica alla Massoneria non è
mai stata provata ed io non sono massone, benché qualche male lingua
continui a dire il contrario. Diciamo, per chiudere quest’argomento,
che io, pur condividendo le finalità spirituali, non ho mai nutrito
simpatia per la Massoneria, forse, anche, per il carattere troppo
elitario e settario della congregazione, contrario ai miei principi
democratici e repubblicani”.
Inviato: Parliamo di politica,
adesso. Quali difficoltà ha incontrato per far diffondere l’idea di
nazione italiana.
Mazzini: “Io sono stato il
primo che ho affrontato la “questione italiana” in un’ottica nuova, ho
parlato di Stato unitario, dichiarando, inequivocabilmente, la mia
avversione alla monarchia e la preferenza per una forma di Stato
repubblicano, più moderno e meglio rispondente alle esigenze ed alle
aspettative del popolo. Agli inizi del periodo risorgimentale, voglio
ricordare che neppure il conte Cavour parlava di nazione e che, invece,
si opponeva tenacemente all’idea di un’Italia unitaria, intendendola
tale, solo dopo i fatti del 1860-61, come il semplice ampliamento del
vecchio Regno di Sardegna; né il Cattaneo, che chiamando il proprio
giornale, pubblicato nel 1848, “Il Cisalpino” e non “L’Italiano”,
restringeva l’orizzonte del proprio progetto politico federalista al
solo Nord sviluppato; e neppure il Gioberti che, ne “Il Primato”, si
faceva promotore di un’anacronistica alleanza tra Stato e Chiesa di
Roma, che sembrava, quasi, potersi avverare con l’elezione al soglio
pontificio di Pio IX, che, all’inizio, sembrò un papa liberale”.
Inviato: Si parla tanto dei
suoi rapporti con il tedesco Carl Marx e con il suo nascente movimento
politico, il socialismo.
Mazzini: “Con Marx ho
avuto un rapporto difficile e burrascoso. Dopo aver pubblicato, nel
1848, insieme a Engels, il “Manifesto del Partito Comunista”, Marx, nel
1864, fondò, a Londra, la “Prima Internazionale Socialista”, a cui ho
aderito anch’io, insieme ai miei amici ed a molti altri esuli e
pensatori di mezza Europa. Successivamente, il filosofo tedesco,
scatenò, contro di me, una virulenta polemica, mi accusò, persino, “di
leccare il culo ai borghesi liberali”. Si, proprio così mi disse! Ma la
mia posizione, sin dall’inizio, era stata molto differente dalla sua:
pur accettando le istanze di giustizia sociale che sono alla base del
socialismo marxista, io rifiutavo, decisamente, il concetto di lotta di
classe e di violenza come strumento di lotta politica. Nel 1870, ho
anche criticato, aspramente, le note vicende francesi, che hanno
portato alla caduta di Napoleone III ed alla nascita della Comune di
Parigi”.
Inviato: Parliamo d’altro. Si
racconta, spesso, dei suoi scritti criptati che lei utilizzava per
comunicare con i suoi amici italiani ed europei.
Mazzini: “Caro signore, lei
vuol sapere davvero troppo. Ma mi è simpatico con quel suo colorito,
quasi, bronzeo, mi ricorda qualcuno! Allora le confido una cosa: per
comunicare con i miei amici, che, noi sapevamo, erano costantemente
controllati da polizia, spie, ed agenti segreti infiltrati, io inviavo
lettere e informazioni in codice segreto, incomprensibili, così, nel
caso che fossero stati intercettate, non veniva scoperta la nostra
rete. Io, inoltre, mi premunivo di spiegare ai destinatari la chiave di
lettura, per decodificarli all’occorrenza. Mandai molti dispacci del
genere a Rosolino Pilo, ai fratelli Attilio ed Emilio Bandiera, a
Brizi, alla Nathan ed a tanti altri. Ma, adesso, non mi chieda di
decifrarli, lascio questo segreto, in eredità, ai miei posteri”.
Inviato: Generale, un’ultima
domanda, parliamo di attualità, cosa ne pensa della situazione politica
italiana…
Mazzini: “…per carità, lasciamo
perdere, che è meglio,…anche perché, a tal riguardo, ho poche notizie
di prima mano. Posso solo dire che spesso sento un gran parlare di
federalismo e di Padania, io voglio solamente ricordare a lor signori,
che strillano sui campi sempreverdi di Pontida, che la patria non è un
territorio, ma un’idea che si riversa su di esso. Chi propugna le
strampalate idee di un’Italia divisa è fuori dalla storia. La mia
Italia è, e sarà sempre, una, libera, indipendente e repubblicana. Dio
e Popolo, Patria e Umanità: sono stati, da sempre, il mio credo
politico e filosofico. Senza una patria libera, nessun popolo può
realizzare, né compiere, la missione che Dio gli ha affidato”.
Giuseppe Mazzini giunse a Pisa, segretamente, nel febbraio del 1872,
accolto e assistito amorevolmente, in casa Rosselli, da Janet Nathan
Rosselli, la figlia della sua vecchia amica londinese, Sarina. La
polizia italiana, dopo ben 11 anni d’unificazione nazionale, lo cercava
ancora, perché lo considerava un “pericoloso sovversivo”. Le cronache
dicono, che era diventato magro, emaciato, con i capelli bianchi,
accusava dolori e tosse che non gli davano tregua. Le sue condizioni
peggiorarono ai primi di marzo, anche se, ancora, con notevole fatica,
continuava a scrivere lettere ai suoi compagni di partito; i Rosselli,
allora, fecero chiamare un medico, amico del Mazzini, il dott. Agostino
Bertani, a quel punto, la polizia, intercettò il telegramma e si mise
subito sulle tracce del ricercato, ma ormai era troppo tardi. Giuseppe
Mazzini morì il 10 marzo 1872, con il pensiero rivolto all’Italia
repubblicana, confortato da Janet e da due genovesi, amici di tante
battaglie, Felice Dagnino e Adriano Lemmi.
Dopo la morte di Mazzini, iniziò un’inestricabile vicenda medico –
politica – giudiziaria, dai contorni, oscuri e misteriosi. La
Massoneria s’impossessò del suo corpo, tentando, con un’inedita e
segreta tecnica di pietrificazione, di conservarne le spoglie per
l’eternità, trasformandolo, per motivi politici, in una sorta di
“reliquia laica, di icona incorruttibile del repubblicanesimo”.
L’operazione riuscì solo parzialmente, tanto che in occasione del primo
anniversario della sua morte, i repubblicani esposero la salma in
pubblico; avrebbe dovuto essere fatto ogni anno, ma visto lo stato di
conservazione del corpo, annunciarono che quella sarebbe stata l’ultima
“ostensione” pubblica. Da allora il corpo di Giuseppe Mazzini è stato
riesumato ed esposto al pubblico, solamente, nel giugno 1946, quando,
in occasione dei festeggiamenti per la nascita della Repubblica, è
stato consentito al popolo italiano di rendere omaggio al “Padre della
Patria”.
Angelo
Battiato (inviato speciale a Brescia)
angelo.battiato@istruzione.it