
La Banca d’Italia, nel suo rapporto sulle Economie regionali, fotografa un fenomeno in rapida crescita: i neet infatti, solo a fine maggio, si attestavano al 22,1%, secondo i dati Istat. Ma ancor più impressionante è lo stacco rispetto al periodo precedente la crisi. Tra il 2005 e il 2008 la soglia dei «giovani che restano a casa» era pari al 20%, sotto i 2 milioni. Il conto della crisi, insomma, lo stanno pagando anche e soprattutto loro. Alla crescita della disoccupazione, testimoniata dall’aumento di chi tra i neet è in cerca di un posto (dal 30,8% del 2008 al 33,8% del 2010) si uniscono anche fenomeni di scoraggiamento, che portano i ragazzi fuori da ogni circuito occupazionale e formativo.
Tanto per cambiare, il Meridione presenta i numeri più allarmanti: dei 2,2 milioni di neet tra i 15 e i 29 anni ben 1,2, ovvero oltre la metà (54,5%), si trova nelle regioni del Sud. E tristemente consueta è anche la proporzione tra le donne e gli uomini: le ragazze neet sono il 26,4%, mentre tra i maschi la percentuale scende al 20,5%.La grande maggioranza dei neet vive a casa con i genitori, specie al Sud, dove accade tre volte su quattro. Chiamarli bamboccioni semplifica. Ma non risolverà mai il problema.
NEET. L’acronimo inglese neet indica i giovani tra i 15 e i 29 anni che non sono iscritti a scuola né all’università, che non lavorano né seguono corsi di formazione. Un esercito che scivola verso i confini del mercato e rischia di non contribuire mai al sistema previdenziale. (da Leggo.it)
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