L'amministrazione
è legittimata a contribuire alla difesa del suo dipendente imputato in
un procedimento penale, sempreché sussista un interesse specifico
dell'amministrazione al riguardo, da individuarsi qualora l'oggetto
dell'imputazione sia in una diretta connessione con i fini della
pubblica amministrazione. Elementi palesemente mancanti nella
fattispecie trattata dalla Corte di Cassazione, con sentenza 4 luglio –
30 ottobre 2013, n. 24480, in cui veniva contestata al ricorrente la
violazione di doveri del suo ufficio al fine di perseguire un utile
privato e indebito mediante lo sviamento a fini propri di risorse da
destinare allo svolgimento delle attività istituzionali. Un'ipotesi in
cui sussiste, al contrario, l'interesse dell'amministrazione a veder
sanzionate le eventuali attività abusive compiute dal soggetto
svolgente un servizio alle sue dipendenze.
La Suprema Corte ha così deciso sul ricorso di un coordinatore
amministrativo di un istituto professionale sardo, il quale aveva
richiesto al Ministero della Pubblica Istruzione il rimborso ex art. 18
del D.L. n. 67/1997 delle spese legali sostenute per difendersi nel
processo penale celebrato nei suoi confronti, per i reati di falso e
peculato, che si era concluso con assoluzione in primo grado
dall'imputazione di falso e assoluzione in cassazione per il reato di
abuso di ufficio non patrimoniale.
Nel caso di specie, il ricorrente si era avvalso del lavoro di alcuni
collaboratori scolastici, per effettuare un suo trasloco privato
durante l'orario di servizio. Allo stesso era anche stato contestato di
aver corretto i registri di presenza del personale non docente
alterando gli orari di entrata e uscita.
Secondo la Corte di appello, le imputazioni escludevano qualsiasi
collegamento fra i fatti contestati e l'espletamento del servizio da
parte del coordinatore amministrativo, e individuavano un abuso della
qualità di coordinatore amministrativo al fine di effettuare e
utilizzare un'attività del tutto estranea al rapporto di servizio.
E pertanto, non essendo l'attività imputabile all'amministrazione, essa
non poteva dare luogo al rimborso delle spese legali in quanto
esclusivamente attinente alla sfera privata del soggetto e estranea al
rapporto di servizio.
Tesi, questa, confermata dalla Cassazione, perchè anche se il fatto
della assoluzione del dipendente scolastico in questione è
incontroverso, questo non ha alcuna incidenza rispetto al giudizio di
non attribuibilità all'amministrazione dell'attività in contestazione e
di irriconducibilità ai suoi fini istituzionali.
Corte di Cassazione, sez. I Civile,
Presidente Carnevale – Relatore Bisogni
Fatto e diritto
Rilevato che:
1.
2. Si è costituito il Ministero e ha chiesto il rigetto della domanda
perché i fatti contestati nel procedimento penale non erano connessi
con l'espletamento del servizio o l'assolvimento di obblighi
istituzionali da parte dell'O. (responsabile amministrativo presso
l'Istituto professionale per l'industria e l'artigianato di Alghero che
avrebbe costretto, in orario di ufficio, alcuni dipendenti
dell'Istituto a effettuare il trasloco dei mobili della sua abitazione
falsificando il registro delle presenze del personale), non era mai
intervenuta una sentenza che escludesse la commissione dei fatti, l'O.
non aveva provato il pagamento delle spese legali né la sottoposizione
della parcella al parere di congruità dell'Avvocatura dello Stato.
3. Il Tribunale di Cagliari ha respinto la domanda e la Corte di
appello ha confermato la sentenza di primo grado.
4. Ricorre per cassazione A..O. affidandosi a nove motivi di
impugnazione.
5. Si difende con controricorso il Ministero.
Ritenuto che:
6. Con il primo motivo di ricorso si deduce la mancata assunzione di
una prova decisiva (la nota dell'Avvocatura Generale dello Stato n.
113889 del 7 novembre 2011) sull'erroneo presupposto della sua tardiva
produzione in giudizio.
7. Il motivo è infondato perché la Corte di appello ha preso in
considerazione il contenuto del documento e non lo ha ritenuto
qualificabile come parere di congruità ai fini dell'applicabilità
dell'art. 18 del D.L. n. 67/1997 convertito in L. n. 135/1997.
8. Con il secondo motivo di ricorso si deduce extrapetizione
riconducibile all'art. 112 c.p.c. in quanto sulla base della posizione
assunta dall'Avvocatura si doveva ritenere pacificamente riconosciuto
l'an debeatur e quindi non chiamata la Corte di appello a pronunciarsi
sull'applicabilità della normativa indicata.
9. Il motivo, oltre ad essere stato formulato in modo ambiguo e non
autosufficiente quanto al contenuto del parere dell'Avvocatura e alla
indicazione della sede processuale in cui esso sarebbe stato prodotto,
è palesemente infondato, non potendo il parere vincolare in alcun modo
il contenuto della decisione dei giudici di merito sulla questione,
peraltro costituente motivo di impugnazione, della applicabilità del
citato art. 18 alla fattispecie in esame.
10. Con il terzo motivo di ricorso si deduce omessa pronuncia
riconducibile all'art. 112 c.p.c., relativamente alla correttezza e
buona fede nell'adempimento dell'obbligazione pecuniaria sub specie di
contraddittorietà tra comportamenti antecedenti (ammissione del debito)
e comportamento successivi (resistenza in giudizio sul presupposto
dell'insussistenza del debito).
11. Il motivo non specifica se e quando tale questione sia stata posta
nel giudizio di merito. Si tratta in ogni caso di una questione del
tutto infondata dato che l'Amministrazione era libera di assumere la
posizione processuale ritenuta corrispondente a diritto in merito alla
questione della sussistenza dei presupposti per l'applicazione
dell'art. 18 in favore dell'odierno ricorrente.
12. Con il quarto motivo di ricorso si deduce la inidoneità del canone
logico del giudizio (fatto
controverso per il giudizio) e violazione di norma di diritto
sostanziale. Il ricorrente ritiene che il giudizio richiesto alla Corte
di appello era finalizzato a una valutazione complessiva del
comportamento amministrativo e come tale rendeva insostenibile il
rilievo della genericità della censura effettuato dalla Corte di
appello peraltro a fronte di produzioni documentali tempestive e piena
disponibilità dei fascicoli d'ufficio di primo grado. Ritiene inoltre
che sia illogica la valutazione di genericità effettuata dalla Corte di
appello delle difese dell'odierno ricorrente, quanto alla mancata prova
del pagamento delle spese legali, difese che, secondo la Corte di
appello, si sono limitate a richiamare genericamente l'art. 21 del
D.P.R. n. 633/1972 senza spiegare il significato di tale richiamo in
relazione alla previsione dell'art. 18 del D.L. n. 67/1997.
Secondo il ricorrente tale richiamo valeva e doveva essere interpretato
come giustificativo della mancata produzione delle fatture in quanto
rilasciabili in base alla disposizione normativa richiamata solo al
saldo.
13. Il motivo oltre ad essere stato formulato in modo del tutto oscuro,
relativa alla sua prima parte, non indica chiaramente quale violazione
di legge né quale incongruenza logica della motivazione intenda
censurare. Si ribadisce comunque che l'Amministrazione, sentita
l'Avvocatura, ha assunto la posizione che ha ritenuto corrispondente a
diritto e l'ha prospettata nel corso del giudizio. Non si vede quindi
come possa censurarsi la decisione dei giudici di appello facendo
genericamente riferimento a una prospettata richiesta di valutazione
del comportamento complessivo dell'amministrazione. Quanto alla mancata
prova del pagamento delle fatture la Corte di appello ha rilevato che
sul punto l'appellante non ha censurato la decisione di primo grado. Il
richiamo dell'art. 21 del D.P.R. n. 633/1972 deve ritenersi del tutto
fuor di luogo a fronte di una disposizione quale l'art. 18 del D.L. n.
67/1997 che richiede la prova del pagamento delle somme di cui si
chiede il rimborso. Prova che il giudice di primo ha riscontrato non
essere stata fornita e che l'appellante non ha dedotto di aver dato.
14. Con il quinto motivo di ricorso si deduce genericamente la
violazione di norme sostanziali e si trae la conclusione che,
prevedendo l'art. 18 la possibilità per l'amministrazione di concedere
anticipazione del rimborso, egli non fosse tenuto a dimostrare in
giudizio con l'esibizione di fattura quietanzata l'avvenuto pagamento
delle spese processuali rispetto alle quali ha chiesto l'accertamento
del diritto al rimborso.
15. La tesi del ricorrente è palesemente infondata. Non può infatti
dedursi da una possibilità di anticipazione riservata alla valutazione
discrezionale della amministrazione la deroga generale al regime
probatorio delle spese per le quali si agisce al fine di ottenerne il
rimborso che è insito nella natura stessa di rimborso della previsione
normativa. Alla dimostrazione del pagamento è del resto subordinata la
valutazione dell'Avvocatura generale dello Stato che infatti non è
stata resa nel caso in esame.
16. Con il sesto motivo si deduce vizio logico della decisione e
motivazione dato che la Corte di appello nonostante avesse constatato
l'assoluzione del ricorrente dal reato di falso perché il fatto non
sussiste quanto ad alcuni dei fatti contestati e per non aver commesso
il fatto quanto ad altri non ha accolto la domanda.
17. Con il settimo motivo di ricorso si deduce un ulteriore vizio
logico che colpisce la parte della motivazione con cui la Corte di
appello afferma che obiettivamente l'imputazione e l'accertamento dei
fatti contenuto nelle sentenze di merito, esclude l'esistenza di
qualsiasi collegamento tra l'espletamento del servizio da parte dell'O.
e il fatto oggetto dell'imputazione senza tenere invece conto dei
titoli dei reati per cui il ricorrente fu processato (in particolare
falso materiale e abuso di ufficio) e che attribuiscono la
qualificazione di reati propri del pubblico amministratore.
18. I due motivi, che possono essere esaminati unitariamente per la
loro stretta connessione, si fondano su una erronea interpretazione
dell'art. 18 del D.L. n. 67/1997. Va premesso che le imputazioni, come
trascritte dalla Corte di appello nella motivazione, riguardavano i
19. L'interpretazione concorde dei giudici di merito è corretta in
quanto è stato ritenuto che
20. Con l'ottavo motivo di ricorso si deduce un'ulteriore inidoneità
del canone logico di giudizio rilevando che la Corte di appello ha
ritenuto che il fatto materiale contestato in sede penale sia stato
incontestabilmente accertato mentre li accertamento compiuto in sede
penale e più pienamente in sede disciplinare ha portato ad affermare
che il comportamento addebitato all'O. non aveva comportato alcuno
sviamento di personale ma solo l'espletamento del diritto ad avvalersi
di un orario flessibile consolidato nella prassi dell'ufficio.
21. Le deduzioni del ricorrente sono irrilevanti ai fini della
decisione perché il fatto della assoluzione dell'O. è incontroverso ma
non ha alcuna incidenza rispetto al giudizio di non attribuibilità
all'amministrazione dell'attività in contestazione e di
irriconducibilità ai suoi fini istituzionali.
22. Infine con il nono motivo di ricorso si contesta nuovamente
l'inidoneità del canone logico di giudizio.
Il ricorrente ritiene che in relazione alla complessità della
fattispecie e alla criticabilità del comportamento dell'amministrazione
dovesse pervenirsi perlomeno a una compensazione delle spese
processuali.
23. Il motivo è inammissibile. La Corte di appello ha applicato il
principio legale della soccombenza e una valutazione sulla possibilità
e opportunità di una compensazione delle spese processuali di merito è
del tutto preclusa in questa sede.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi Euro 4.000
oltre spese prenotate a debito.
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