Le procedure per memorizzare informazioni si sono evolute in parallelo con le procedure di gestione delle informazioni: dalla scrittura su pietra mediante incisione si è passati a quella con penna e inchiostro su carta o pergamena, che poteva essere riprodotta solo dagli scriba, attraverso un processo molto lento e complesso. La stampa, invece, permise di fare migliaia di copie di documenti, anche se la preparazione dell'originale era elaborata e costosa.
Con la macchina da scrivere, brevettata nel 1855 e costruita in serie un decennio dopo, si riuscì a fare più copie contemporaneamente, usando la carta carbone tra ciascun foglio. La fotocopiatrice, successivamente, permise di fare volumi di copie maggiori in pochissimo tempo.
Tutte queste tecnologie hanno reso più semplice riprodurre e - conseguentemente - distribuire documenti. Ma il loro sistema di conservazione, l'archivio, si è evoluto molto poco nei secoli, infatti i documenti sono sempre stati raggruppati o per argomento o cronologicamente in faldoni e archivi. I miglioramenti hanno invece riguardato i mezzi di produzione dei documenti e la loro classificazione al fine di razionalizzare le ricerche. In ogni caso vi è sempre stato uno stretto legame con il supporto fisico cartaceo.
Tutti sappiamo che la ricerca di informazioni contenute in un documento custodito in un archivio tradizionale è un processo lento, laborioso e mai del tutto certo, può sempre capitare che per un errore di catalogazione un documento venga inserito al posto sbagliato con la conseguenza che, in un grosso archivio, diventerà quasi impossibile rintracciarlo. Anche oggi capita di trovare documenti in archivi storici di cui non si conosceva l'esistenza; ciò malgrado i miglioramenti nelle tecniche di classificazione.
L'amministrazione pubblica, che rappresenta il maggior produttore e custode di documenti, ha necessità di un controllo documentale sia contabile che dell'attività provvedimentale, ed invero, anche molto tempo prima che si stabilissero le moderne normative sull'archivistica, già nel XV secolo, gli archivi dei monasteri, ad esempio, contenevano dettagliate liste delle quantità annuali di vari prodotti venduti o comprati in città e/o nei villaggi vicini, fornendo informazioni essenziali per stabilire e raccogliere dazi e tasse.
Per secoli, nonostante il lento progresso tecnico nelle tecniche di memorizzazione e riproduzione delle informazioni, la loro elaborazione è sempre stata un compito particolarmente laborioso.
Solo negli anni Cinquanta del secolo scorso i primi calcolatori meccanici e successivamente i computer elettronici cominciarono ad essere utilizzati nell'archivistica anche se non giunsero nelle grandi organizzazioni amministrative prima degli anni Sessanta. Il word processor, che oggi è di così enorme aiuto per la produzione e la modifica dei documenti, divenne popolare un ventennio dopo ed il PC, introdotto nei primi anni Ottanta, stravolse letteralmente il mondo della produzione e, in particolare, della conservazione dei documenti.
La memorizzazione e l'archiviazione delle informazioni su supporti magnetici e ottici ha reso più dinamico il processo tradizionalmente molto lento di modernizzazione dei sistemi archivistici ed ha portato un considerevole incremento della capacità delle organizzazioni di utilizzare ed elaborare le proprie informazioni. La vera rivoluzione è però arrivata con le reti telematiche; mediante le intranet aziendali o Internet; infatti si sono enormemente facilitate le trasmissioni di informazioni su lunghe distanze e, dopo il telegrafo, il telex ed il fax, ora, grazie al Web, abbiamo e-mail, commercio elettronico, video conferenza, blog, forum, social network, ecc. Queste tecnologie hanno inoltre ridotto la necessità di manodopera nelle grandi organizzazioni pubbliche e private. Lo stesso compito, infatti, può essere eseguito da meno lavoratori e molto più velocemente.
Le conseguenze di queste trasformazioni hanno indotto gli economisti ed i sociologi a rivedere le teorie sulla divisione del lavoro rendendo superflue alcune professionalità in precedenza molto ricercate, con riflessi sugli apparati burocratici ed, in particolare, sui burocrati che ne rappresentano l'interfaccia con la società, questi ultimi sono coloro che hanno opposto maggiore resistenza all'informatizzazione dell'amministrazione pubblica.
Come si è detto, la memoria dell'umanità è passata dalla tradizione orale a quella amanuense e, transitando per quella scritta in forma meccanica, è diventata digitale. Quest'ultimo cambiamento, allo stesso modo dell'invenzione dei caratteri mobili per la stampa di Gutenberg, ha fatto sì che siano mutati i parametri che governano le capacità di coordinamento e controllo delle azioni collettive.
Le forme di memorizzazione informatica consentono un controllo delle attività pubbliche e private molto più incisivo di quanto non sia mai stato possibile fare. Molto interessante, a questo proposito, è la rilettura di Foucault - quando tratta il passaggio dalla "società disciplinare" alla "società del controllo" - che fanno Antonio Negri e Michael Hardt. Tale passaggio costituisce ad avviso di questi autori la chiave di volta tra la società moderna e quella post moderna, attraverso la quale i meccanismi di comando diventano sempre più "democratici", "sempre più immanenti al sociale e vengono distribuiti attraverso i cervelli e i corpi degli individui", piuttosto che attraverso le "istituzioni disciplinari" foucaultiane. La società del controllo costituisce, quindi, l'intensificazione e la generalizzazione dei dispositivi normalizzatori della disciplina. A differenza di quest'ultima però, il "controllo si estende ben oltre i luoghi strutturati dalle istituzioni sociali, mediante una rete flessibile e fluttuante". L'informatica - le cui applicazioni, relative alla custodia di dati personali da parte di enti pubblici e privati, si sono sviluppate subito dopo le teorizzazioni di Foucault sulla società disciplinare - rappresenta, al di fuori dell'epistemologia post modernista di Negri e Hardt, il mezzo attraverso il quale la "società del controllo" esplica il proprio modo di gestire il potere.
Nell'ottica dello sviluppo del governo elettronico, ad avviso di alcuni sociologi meno "pessimisti", il Web rappresenta il più importante mezzo di gestione e condivisione dell'informazione e della conoscenza: quei meccanismi, quindi, che stanno alla base della produzione culturale. La Rete dunque, va assumendo sempre più le caratteristiche di una vera e propria "sfera pubblica", caratterizzata da:
- inclusività: la Rete offre opportunità di esprimersi pubblicamente a tutti gli individui, gruppi, istituzioni e comunità, incluse quelle meramente virtuali;
- trasparenza: nel cyberspazio i semplici cittadini possono fare a meno di opinion leaders per ottenere informazioni politiche, mediche, scientifiche o legali in maniera diretta, mediante un processo di "disintermediazione";
- universalità: Internet è il primo sistema di comunicazione multimediale interattivo senza confini che trascende tutte le barriere nazionali, istituzionali, disciplinari e di altro tipo.
Per i teorici della "società del controllo" invece, la Rete sembrerebbe richiamare il Panopticon di Jeremy Bentham, dove il controllo è invisibile ma pervasivo in ogni ambito della sfera pubblica e privata. Lo stesso autore lo definiva alla fine del XVIII secolo "un nuovo modo per ottenere potere mentale sulla mente, in maniera e quantità mai vista prima" .
Il controllo tramite la Rete si colloca, quindi, tra il reale ed il virtuale. Reale in quanto il cittadino si deve sentire sempre sorvegliato, ma è virtuale perchè il controllore può non essere al suo posto di controllo senza nulla togliere agli effetti dello stesso.
Questa visione della Rete, ha chiaramente gravi conseguenze in termini di privacy per gli individui e potrebbe, in ultima istanza, trasformarsi in una sorta di guinzaglio elettronico, grazie al quale le "autorità politiche" possono, attraverso la gestione incrociata dei dati, sapere tutto dei propri cittadini.
dott. Giuseppe Motta - avvocato e sociologo
Giuseppemotta.it