La memoria
organizzativa sta prendendo il posto della memoria dell’uomo ed il
“knowledge management” (KM) sta sostituendo, in un certo senso, la
riflessione umana.
Con una rielaborazione in chiave di società postindustriale, si può
definire il KM come “l’insieme di
risorse umane, strumenti tecnologici e metodologie per la creazione, la
cattura, l’organizzazione, l’immagazzinamento, lo scambio, la
diffusione, la riutilizzazione e l’appropriazione della conoscenza
delle organizzazioni” ed è un processo che comporta sia una
“selezione e gestione dell’informazione” che una “relazione”. Nella
prima fase del processo è primaria la focalizzazione sulla “gestione
dell’informazione”. L’obiettivo del knowledge management è quello di
migliorare l’efficienza dei gruppi collaborativi mediante la
condivisione della conoscenz,a maturata nello svolgimento della
professione, di ogni appartenente al gruppo di lavoro. Nella seconda
fase del processo invece viene posta l’attenzione sulla “gestione della
conoscenza”, con una prevalenza del concetto di “relazione”. Il “ciclo
della conoscenza”, infatti, non si ferma alla trasmissione di semplici
informazioni, ma prevede un’ elaborazione dell’informazione che conduce
alla consapevolezza e alla conoscenza vera e propria per un percorso di
adattamento alla realtà esterna.
Le origini del “knowledge management” sono, comunque, concettualmente
molto antiche e riguardano fondamentalmente la preservazione e la
condivisione della conoscenza. La trasmissione del sapere, fino a poco
più di un secolo fa, si basava sull’osservazione del lavoro di un
maestro, il quale si preoccupava di trasmettere la propria conoscenza
agli apprendisti. Questo scambio non era mediato da nessun’altra
persona, istituzione o documento ed avveniva in maniera diretta. In
questo modo, oltre alle conoscenze di base, venivano trasmessi anche
quei piccoli segreti che ogni maestro aveva imparato nel corso degli
anni; sostanzialmente avveniva quella trasmissione della conoscenza
implicita che è proprio uno degli obiettivi del KM.
Il continuo progresso tecnologico, come si è evidenziato, ha poi reso
la componente umana nel processo produttivo sempre più marginale,
spostando le sue competenze dalla realizzazione materiale dei beni ad
attività di tipo intellettuale. L’interesse per la “conoscenza”, pur
rimanendo orientato all’efficienza commerciale, ha fatto sì che
emergesse la convinzione che, per raggiungere obiettivi che permettano
di essere competitivi, sia necessario considerare tutti gli aspetti
della persona-lavoratore, a partire dalla motivazione e soddisfazione
personale, come un valore aggiunto che è indispensabile capitalizzare.
La realizzazione degli obiettivi del knowledge management passa
necessariamente attraverso la disponibilità di strumenti adatti allo
scopo. L’information and comunication technology (ICT) risulta essere
un punto di partenza quasi fondamentale; ma non deve bastare la
presenza di un computer a convincere che si hanno gli strumenti adatti.
Quello che serve è una tecnologia che sia orientata alla condivisione
delle conoscenze in maniera semplice e veloce.
Tra le prime infrastrutture tecniche utilizzate, le reti informatiche
aziendali – le cd. Intranet – hanno avuto un ruolo di rilievo. Il loro
utilizzo ha permesso un facile e veloce scambio di informazioni tra i
vari uffici collegati alla Rete. Inoltre possono servire anche da punto
di raccolta (knowledge repository) per documenti, e materiale
informativo in genere, che sia di ampia utilità e che quindi necessiti
di un accesso facilitato.
In un secondo momento, grazie anche allo sviluppo delle tecnologie
legate ad Internet, le reti aziendali sono diventate internazionali
permettendo il collegamento delle sedi collocate in diverse parti del
mondo. Questa tecnologia permette la creazione della base conoscitiva
(knowledge base) aziendale che si concretizza spesso con la nascita di
archivi informatici indicizzati di documenti, accessibili anche in
remoto. Questi possono diventare il principale punto di raccolta in cui
di volta in volta memorizzare, e successivamente ricercare, i frammenti
di conoscenza recuperati dalle varie attività di “knowledge management”.
Nell’ambito delle comunicazioni, inoltre, anche la posta elettronica ed
i social network hanno raggiunto una diffusione pressoché totale. La
facilità d’utilizzo e la possibilità di comunicazione simultanea a più
utenti li rendono ideali per la diffusione delle informazioni,
soprattutto a grandi gruppi di persone.
Oltre ai mezzi tecnici è, però, necessario anche disporre delle risorse
umane adatte. Nelle fasi di analisi e valutazione delle informazioni
raccolte, le competenze devono essere specifiche e la riservatezza
massima. In questi casi è facile sfruttare le strutture, e soprattutto
le competenze del personale, per trasformarli in centri di raccolta
della conoscenza (knowledge center).
Ancora più complesso è il meccanismo della diffusione delle
informazioni. In questa prospettiva, i cambiamenti portati
dall’esistenza di Internet e ciò che essi significano per
l’E-Government sono apparentemente semplici da spiegare. Infatti se
l’uso di tecnologie di informazione e comunicazione comporta notevoli
risparmi relativi al materiale ed alle risorse umane, allo stesso modo,
lo sviluppo del governo elettronico dovrebbe sconfiggere uno dei
principi base della divisione delle funzioni nella burocrazia: la
divisione delle competenze e delle funzioni dei corpi amministrativi
per criteri territoriali. Si deve, infatti, tenere a mente che le
amministrazioni pubbliche – così come la maggior parte delle aziende
private – hanno finora adottato due principi sui quali si basano le
organizzazioni: la specializzazione funzionale e la natura territoriale
delle proprie attività.
I corpi regolatori delle pratiche sociali che possono svolgere le loro
attività online non hanno delimitazioni territoriali e nemmeno
definizioni delle loro competenze. L’ufficio delle imposte, ad esempio,
può effettivamente agire in qualunque punto geografico all’interno
dello Stato attraverso l’uso dei processi di E-Government. Ma questo
può avvenire solo se da un lato i cittadini hanno i mezzi materiali e
la conoscenza tecnica per interagire con la pubblica amministrazione
online e, dall’altro, la burocrazia ha la mentalità e le necessarie
competenze per tale interazione. E, nel caso specifico, solo con quelle
persone fisiche o giuridiche che hanno legalmente riconosciuto i mezzi
di identificazione elettronici.
Questa logica spinge il knowledge management a diventare un sorta di
“filosofia” della collaborazione e della condivisione negli ambienti di
lavoro. Ma, come si è visto, può anche incontrare gli ostacoli della
resistenza interna, tipica di una burocrazia chiusa, a rilasciare
informazioni specifiche, trasferendo il know how raggiunto in
determinati ambiti, per una sorta di paura di perdere il “potere”
connesso al possesso della conoscenza acquisita. In altri termini, la
crescita dell’organizzazione viene vissuta quasi come un impoverimento
personale. La conoscenza, in quest’ottica, sarebbe un “bagaglio”
personale di chi la detiene.
Il ciclo della conoscenza può, invece, portare alla produzione di nuova
conoscenza solo tramite la condivisione e l’elaborazione delle
informazioni, per innescare la “spirale della conoscenza organizzativa”
e di conseguenza l’apprendimento organizzativo, che crea eccellenza e
competitività.
dott. Giuseppe Motta - avvocato e sociologo
Giuseppemotta.it