Stiamo vivendo
un'epoca schizofrenica, su questo non c'è dubbio!
Da una parte un'apparente guerra a tutto campo contro la burocrazia,
fatta di roboanti affermazioni di principio circa l'importanza di una
burocrazia sempre più snella, efficiente ed informatizzata e di
pubblici proclami, che prefigurano la fine delle burocrazia intesa come
esercizio di un potere arcaico e totalizzante, grazie a leggi moderne e
ad interventi decisi sulla pubblica amministrazione ed i suoi
"burocrati". Dall'altra, come spesso accade nella politica, sembra di
vivere in una commedia dell'assurdo, per cui quanto più se ne parla in
termini enfatici e taumaturgici, tanto più si va in direzione opposta
ed antitetica rispetto alle affermazioni ed ai proclami tanto ostentati.
Emblematica è, a tal proposito, l'abitudine degli ultimi anni di dare
nomi esplicativi ad interventi normativi - tutti indispensabili per la
difesa democratica dell'economia del paese e, quindi, tutti
rigorosamente approvati con decreto legge sulla cui conversione è stata
posta la fiducia - il cui contenuto, spesso, va in direzione totalmente
opposta al nome attribuito. Chi non ricorda il decreto "salva Italia"
del Governo Monti, la cui presentazione è stata accompagnata - oltre
che dalle lacrime del Ministro Fornero - dall'utilizzo martellante e
strategico, dal punto di vista comunicativo, dei termini "equo" ed
"equità". Il decreto in realtà ha dato il via alla riforma del sistema
pensionistico ed ha anticipato il pagamento dell'Imu, aumentandone la
base imponibile al fine di raggiungere il pareggio di bilancio imposto
dall'Europa; tutte le scelte di politica economica e tributaria si sono
rivelate all'evidenza fortemente inique e spesso a vantaggio dei
"poteri forti" (a buona pace dell'equità).
Lo stesso può dirsi per il decreto "cresci-Italia" seguito, un anno
dopo, dal decreto "del fare" del Governo Letta i cui "effetti di
crescita economica" gli italiani stanno costatando sulla propria pelle
ogni giorno.
La legge di delega "sulla semplificazione degli adempimenti per i
cittadini e le imprese", del Governo Letta avrebbe dovuto rappresentare
il colpo di grazia alla burocrazia ed alla complessità dell'apparato
burocratico. Essa prevede, infatti, una serie di deleghe miranti ad un
riassetto normativo, alla semplificazioni per i cittadini, le imprese
ed in materia fiscale, ed infine l'ennesima delega per la
razionalizzazione e semplificazione della pubblica amministrazione.
Sarebbe interessante verificare quante di queste sono state portate a
compimento con l'emanazione del relativo decreto delegato, e quante tra
questi ultimi siano realmente riusciti a semplificare la burocrazia.
Il reale contenuto delle "riforme" è però tenuto abilmente celato da
una tecnica di redazione delle disposizioni normative che ha
dell'incredibile. Le leggi, infatti, contengono deleghe, rinvii a
catena, aggiunte o tagli decontestualizzati e sono spesso ambigue,
irrazionali ed incoerenti; solo un'opera di certosina esegesi può farne
comprendere il reale contenuto (basta leggere le note in Gazzetta
Ufficiale che accompagnano la pubblicazione delle leggi per comprendere
la reale portata e la gravità della situazione) e spesso la tecnica di
redazione degli atti normativi ha proprio lo scopo di rendere incerto
ed incoerente un sistema politico che agisce in aperta contraddizione
con quanto promette.
Leggi settoriali, intersettoriali, di manutenzione normativa, leggi
"provvedimento", decreti legge, deleghe al Governo (ancora peggiore è
la consuetudine della "delega correttiva aperta" che ammette un
intervento del Governo che può arrivare a contraddire la stesa legge di
delega), appare del tutto chiaro il tasso di "precarietà normativa" che
rinvia sempre più frequentemente all'intervento del Governo ed alla
completa esautorazione del Parlamento.
L'ipertrofia normativa, la sua frammentarietà e la totale
asistematicità sono anche il sintomo dell'obiettiva difficoltà di agire
a livello nazionale in un contesto economico globale che ci vede
svantaggiati rispetto alle economie mondiali più forti e ad un sistema
economico globale, talmente potente, da influenzare l'economia degli
stati-nazione. Inoltre mostrano l'incapacità o la malafede della classe
politica che "scarica" sulle fasce socialmente ed economicamente più
deboli il peso della crisi.
Alla luce di tali considerazioni appare del tutto paradossale l'attacco
diretto alla burocrazia delle forze politiche: la burocrazia è la causa
della crisi economica, la burocrazia è incapace di gestire il
rinnovamento, la burocrazia è vecchia e scollegata dalla realtà, la
burocrazia non sa e non vuole utilizzare le innovazioni tecnologiche,
la burocrazia utilizza le norme per rafforzare il suo potere. Nessuno
però analizza la crisi della burocrazia in un contesto più generale che
la vede costretta ad applicare norme (create dalla politica)
schizofreniche, spesso in contraddizione e quasi sempre
incomprensibili. Ogni disposizione di legge di carattere generale ed
astratta ha una tale miriade di discipline particolari, eccezioni,
altre norme in contraddizione, da renderne pressoché impossibile
un'applicazione equa e corretta. E' molto facile per la politica creare
un sistema normativo "perverso" e poi lamentarne la cattiva
applicazione!
Il DPR 37/2009 ha emanato il regolamento per l'attribuzione
dell'indennizzo ai militari e civili per le infermità o patologie
tumorali, causati dall'esposizione o dall'utilizzo dell'uranio
impoverito. In breve il regolamento ha fissato i termini per gli eventi
successivi alla data di entrata in vigore del regolamento entro i 6
mesi successivi dal verificarsi dell'evento e comunque non oltre il
31/12/2010 (incredibile ma vero: il termine è tassativo). Un militare,
che teoricamente vi rientrerebbe, ha la sfortuna di morire il 3 gennaio
del 2011, di conseguenza la vedova riceve una fredda lettera di
diniego, che ha chiaramente sollevato un vespaio di critiche ed è stata
portata come esempio di mala burocrazia. Ma si tratta davvero di
malaburocrazia? Il funzionario responsabile, interpellato a proposito
di questo caso, ha spiegato con molta disponibilità e rassegnazione che
l'amministrazione è consapevole dell'iniquità venutasi a creare e che
ciò è stato fatto presente agli organi politici - più volte e con varie
motivazioni - ma, a quanto pare, i vincoli di bilancio superano la
logica e la pietà umana! E' chiaro come in questo caso i politici, che
hanno votato il provvedimento legislativo, hanno volentieri tuonato
contro la fredda burocrazia, cosa molto più facile che non ammettere di
aver varato una norma improponibile e cercare di capire perché la
politica sta distruggendo quel che resta dello stato sociale a
vantaggio di un'utopistica Europa unita.
Ciò non deve però far credere che la nostra burocrazia non abbia enormi
problemi e che le critiche che le vengono rivolte non siano spesso
assolutamente meritate. Quel che mi è sembrato giusto fare è stato il
riportare alle giuste dimensioni il problema, per evitarne
strumentalizzazioni e falsi alibi da parte del sistema politico.
Si comprende, quindi, che per difendersi dalla burocrazia c'è ben poco
da fare, in particolare quando la vittima è un cittadino stressato
dalle continue angherie, che partono dalle disposizioni di legge e,
passando da regolamenti astrusi e da una burocrazia impreparata a
gestire situazioni ormai sempre più ai confini della realtà/legalità
(perché è quasi impossibile comprendere i limiti), investono un corpo
sociale che di conseguenza spesso sceglie di non rispettare la legge
perché è molto più semplice e meno dannoso.
Contro le pessime leggi, purtroppo, non possiamo nulla, neanche
rimproverarci di aver scelto male i nostri rappresentanti al
Parlamento, posto che non lo facciamo più noi. Ma contro la burocrazia,
in particolare la malaburocrazia, qualche rimedio c'è anche se a volte
macchinoso e pieno di incognite.
In questa "guerra" privata il cittadino deve tener conto di quella
imprescindibile realtà che si è delineata in precedenza. L'applicazione
della norma, infatti, avviene in un contesto che non è univocamente
definito e non è controllabile o prevedibile, con la conseguenza che
gli effetti delle azioni del cittadino possono essere diversi o,
addirittura, in contrasto con quelli auspicati. Per contro l'eccessiva
specializzazione dei funzionari non favorisce quelle condizioni
culturali che gli permettano di applicare la norma con la duttilità
richiesta dalla realtà, dove ogni procedimento è un caso a sé. Robert
Merton, a tal proposito, ha creato un termine per indicare la
condizione del burocrate rigorosamente ancorato alla regola che
considera valore imprescindibile, anche se gli effetti non potranno mai
essere quelli della tutela degli interessi in gioco, l'autore definisce
questo atteggiamento "ritualismo". In tali casi il rapporto tra
dipendente pubblico e cittadino viene compromesso e causa un sentimento
di sfiducia nei confronti dell'amministrazione pubblica che va ben
oltre il caso specifico. In altri casi, invece, l'applicazione
"ritualistica" della norma ha altri scopi, non sempre leciti. Creare
ansia nell'utente per poi far capire che grazie all'aiuto del
funzionario si possono risolvere problemi altrimenti insormontabili,
purtroppo, è la condizione che frequentemente caratterizza il
comportamento di quei burocrati, che, proprio per l'eccessiva
specializzazione, possono diventare gli unici "depositari" delle
"procedure" che padroneggiano a spese (in tutti i sensi) del cittadino.
Nella nostra personale "guerra di difesa" dalla burocrazia dobbiamo
sempre aver presenti quelle che Michel Crozier ha dimostrato essere i
tratti distintivi del suo funzionamento, e cioè: l'impersonalità delle
norme, la centralizzazione delle decisioni al vertice, l'isolamento di
ogni categoria gerarchica e lo sviluppo di poteri paralleli nei margini
di incertezza lasciati dalla cattiva qualità della tecnica normativa.
Secondo l'autore l'unica via d'uscita da questa situazione è quella
delle crisi, ossia tramite mutamenti radicali ed improvvisi anche a
costo di creare un periodo di stallo e di instabilità, proprio perché è
connaturata al concetto stesso di burocrazia la difficoltà di reagire
velocemente e di adattarsi alle innovazioni. Ma questa soluzione - pur
provenendo da un grande teorico della burocrazia che con le sue teorie
ha contribuito a rivoluzionare l'amministrazione pubblica francese -
tiene conto di una burocrazia formata da giovani tecnologici sempre
pronti ad accettare, almeno a livello personale, ogni novità. Lo stesso
non può, a mio avviso, essere valido in un contesto sociale lavorativo
come quello italiano, dove la burocrazia è formata da una classe di
amministratori sempre più anziani, restii al cambiamento e demotivati.
Di conseguenza, quando ci troviamo di fronte ad un impiegato pubblico,
dobbiamo sempre tenere a mente che è una persona pagata poco,
demotivata, sicuramente frustrata perché persuasa di valere molto di
più di quello per cui viene pagato, spesso convinta che chi gli sta
davanti sia solo un seccatore che sicuramente pretende qualcosa che non
gli spetta per nulla o solo dopo estenuanti trafile burocratiche,
propensa a dimostrare che la competenza è sempre di qualcun altro anche
se la norma poco chiara e male interpretata può far sembrare l'opposto,
che la colpa è sempre dei superiori che "non capiscono niente", e così
via.
Inoltre, l'approccio dell'amministrazione ai problemi reali, posti
dalla complessità delle attività inerenti all'offerta di servizi, è di
tipo "giuridico-formalistico" con l'esclusione di analisi di tipo
sostanziale quali l'esame della funzionalità e dell'efficienza, delle
conseguenze pratiche dell'attività, del costo, della desiderabilità di
soluzioni alternative e della funzionalità rispetto alla mission. Di
ciò deve tenersi conto nel momento in cui il "contatto" con la pubblica
amministrazione diventa conflittuale, con la conseguenza che andrebbe
bandito ogni tentativo di conciliazione "amichevole" che non tenga
conto di quelle categorie giuridiche cui è subordinata l'attività
stessa. E', quindi, necessario essere consapevoli che è pressoché
impossibile risolvere "bonariamente" una situazione conflittuale con il
burocrate che abbia visto lesa la sua autorità attraverso la
contestazione di un suo provvedimento. Per quanto possibile
occorrerebbe sempre offrirgli una via d'uscita onorevole ma conveniente
se non si è nelle condizioni o non si abbia la voglia di aprire un
contenzioso contro l'amministrazione che, dati i tempi del procedimento
giurisdizionale ed i suoi costi, vedrebbe il cittadino comunque
soccombente.
Il paradosso delle riforme è quello per cui le "tutele" del cittadino
hanno di fatto rafforzato il potere burocratico che, tra diritto di
accesso, sospensione dei tempi del procedimento, richiesta di pareri,
partecipazione attiva all'attività procedimentale, rispetto della forma
e potere di ritiro in autotutela - spesso fasullo perché si limita alla
reiterazione dell'atto privandolo dei difetti di forma - può allungare
a dismisura i tempi procedimentali svuotando, di fatto, di ogni utilità
l'eventuale provvedimento finale. Non è un caso che le principali
ragioni che stanno alla base dei fenomeni corruttivi siano
l'accelerazione delle procedure e l'evitare "intoppi burocratici", più
che il cercare di ottenere provvedimenti illegittimi. In questi casi
ricorrere al superiore gerarchico potrebbe essere una soluzione
efficace. Frequentemente, infatti, si rileva che tanto minore è il
potere effettivo dell'addetto al disbrigo di una pratica
amministrativa, tanto maggiori saranno i problemi che questi porrà al
cittadino; rivolgersi a chi ha più potere serve a rompere il circolo
vizioso del "ritualismo" e contribuisce a sollecitare un intervento
risolutivo.
L'impatto con il pubblico impiegato è quasi sempre importantissimo, è
sicuramente errato un approccio tendente a creare un moto di
solidarietà o comprensione del problema, perché ci si scontrerà subito
con "l'impersonalità" della pubblica amministrazione e cioè con un
burocrate che si chiuderà a riccio e tenderà a dimostrarci che il
problema non è il suo e che lui si limita ad applicare le regole. Per
contro, altrettanto sbagliato è proporsi con sicumera ed arroganza
trattandolo come un parassita incapace e fannullone; in questo caso
sicuramente ci porrà tali e tante barriere da rendere impossibile la
fruizione del diritto; bisogna infatti tener conto che la burocrazia,
per definizione, "non impara dai propri errori" quindi anche
dimostrando all'impiegato che sta sbagliando si rischia il risultato
opposto.
L'approccio più corretto e proficuo è sicuramente quello cortese ed
assertivo. Il dipendente pubblico deve capire di avere di fronte una
persona educata, rispettosa del suo lavoro ma che conosce i propri
diritti e si aspetta che siano rispettati. Occorre dunque comunicare in
maniera chiara le proprie esigenze senza aggredire la controparte e
senza mostrare una particolare arrendevolezza. Occorre capire le
reazioni dell'altro e fare leva su di esse con atteggiamento empatico,
tono serio, postura decisa e senza dare alcun giudizio sul
comportamento del burocrate e dell'organizzazione cui appartiene.
Quest'atteggiamento è sempre utile anche se ciò non vale sempre. Ci
sono dipendenti pubblici preparati, disponibili e aperti alle novità;
ma in questi casi l'utente se ne accorge subito!
dott. Giuseppe Motta - avvocato e sociologo
Giuseppemotta.it