I libri di
testo liceali e universitari spesso tendono a confondere e sovrapporre
le ricostruzioni quando non storicizzano adeguatamente ed
anzi rappresentano in modo indistinto, unitario ed organico il
pensiero di un autore che attraversa invece varie fasi, sviluppa
diverse posizioni e le va via via revisionando e superando.
dialetticamente. Anche le migliori e più documentate storie della
filosofia, come per esempio quella classica di Nicola Abbagnano,
non possono evitare di cadere nel solito vizio della continuità interna
ad uno stesso pensatore per farne un modello chiaro e coerente. E
Giovanni Gentile, che è un pensatore pieno di ripensamenti e
autorevisioni, dev'essere sempre e in ogni luogo quel filosofo che
porta risolutamente a compimento la tesi prospettata da Fichte nella Dottrina della scienza di una
rigorosa e totale immanenza di ogni realtà nel pensiero pensante e di
un pensiero "sciolto" nell'atto del soggetto trascendentale, cioè del
pensiero prodotto dall'Io universale o infinito. Il pensiero pensante
sarebbe perciò il vero protagonista della filosofia gentiliana a
condizione però che lo si consideri non atto e fatto concluso, bensì
"atto in atto", che non si può assolutamente risolvere e trascendere
perché esso, come dice Gentile nella Teoria
generale dello spirito come atto puro del 1917, "è la nostra
stessa soggettività", tutta la razionalità possibile, tutta la realtà
in atto. Il caposaldo attuali stico sarebbe quindi dato dal
fatto che " non ci sono molti concetti, ma ce n'è uno
solo, perché non ci sono molte re. ltà da comprendere, ma una sola, pur nella sua molteplicità di momenti" (G. Reale-D. Antiseri, Storia della filosofia. Da Nietzsche al
neoidealismo, IX, Bompiani 2008, p. 628). Nell'attualismo di
Gentile, quindi, non vi sarebbero, e non potrebbero esistere,
fratture e discontinuità e tutto il processo teoretico
scorrerebbe limpido e veloce nel pensiero in atto della
soggettività pura. Quella che lo stesso filosofo siciliano
considera una "svolta" con la scoperta successiva o, se vogliamo,
con la rivalutazione abbastanza imprevedibile del sentimento, non
sarebbe tale giacché apparterrebbe allo stesso ordine sostanziale di
discorso nella dinamica del soggetto trascendentale, l'unico e
vero protagonista dell'atto.
Evidentemente non è così, e il sentimento si presenta alla ribalta
potente e prepotente come nuova e autentica categoria dello spirito
nel primo numero di gennaio 1928 del Giornale gentiliano : "Così la
filosofia postaristotelica si muove tutta nel cerchio che Platone
e Aristotele avevano descritto, lavora a cancellare dal quadro del
mondo, , che la filosofia saccheggia e si prova e riprova sempre a
raffigurare, il sentimento"(Giovanni Gentile, Il sentimento, in Giornale Critico della Filosofia Italiana,
gennaio 1928, p. 3). E ancora, più espressamente sotto il profilo
storiografico, egli proclama l'irriducibilità del sentimento,
attribuendo a Kant il merito della prima rivoluzione teleologica :
"Quando con Vico si comincia a sentire la funzione e il valore
dell'animo perturbato e commosso da cui sgorga il canto e nel canto
tutta una forma essenziale e interna dello spirito e della umana
civiltà, quando coi filosofi tedeschi della seconda metà del Settecento
si comincia ad avvertire l'irriducibilità del sentimento, quando Kant
dopo la Critica della ragion pura
e quella della Ragion pratica
sente il bisogno di una terza Critica
perché intravvede la necessità di una forma spirituale mediatrice tra
il concetto della vita quale si può ricavare dalla pura ragione
teoretica e il concetto opposto della vita derivante dalla natura della
ragion pratica, e postula quella facoltà di giudicare che è la
funzione spirituale valutatrice onde si trasfigura l'aspetto non pur
del mondo umano, ma dello stesso mondo della natura, e l'universo agli
occhi dell'uomo s'illumina di quella teleologia che è l'essenza della
spiritualità, come si svela in ogni opera d'arte, la classica opposizione
di teoria e pratica, intelletto e volontà comincia a crollare. . . e si
lavora a rincalzare il terreno in cui affonda le sue radici il
sentimento"(ibidem, p. 5).
Siamo ben lontani dalle opere sistematiche e razionalizzanti scritte
dal 1912 al 1923 da Gentile, e soprattutto siamo molto distanti da
quella concezione negativa dell'intuito e di ciò che appartiene al
"basso e volgare" mondo emozionale e sentimentale:
"L'intuito, cioè, a differenza di ogni altra cognizione che importa
un'operazione del soggetto, il quale perciò coopera alla formazione
dell'oggetto e del suo conoscere, non è azione del soggetto, è una sua
ricettività e passività, come quella dello specchio in cui si riflettono
le forme e i colori degli oggetti. Il pensiero vede perché ha gli
occhi, non perché guardi. Esso, come pensiero, ha questa sua originaria
natura di vedere. [L'intuito è]marmo liscio in cui l'acqua scorre e non
ne resta goccia" ( G. Gentile, Sistema
di logica come teoria del conoscere, Laterza, Bari 1923, p. 191).
Da questo rifiuto pregiudiziale non può certo nascere un'estetica
attualistica, se l'intuizione è tenuta fuori dall'atto. Non è dunque inopportuno
chiamare "svolta" la nuova fase che inizia nel 1928, cioè con la
pubblicazione del saggio sul Sentimento,
che diventa addirittura funzione e forma della rinnovata teoresi. A
questa si deve l'intuitività dell'arte, che si caratterizza non solo
per la sua immediatezza, ma anche per la sua cognizione oscura e
contratta, come risultato della forza imponente ed impressionante delle
passioni, pure di quelle più raffinate ed elevate. Il sentimento è
dialettico: "Il sentimento insomma, quando pare già morto, ucciso dal
pensiero, è più vivo di prima, ed è quasi la vita segreta dello stesso
pensiero che lo ha ucciso" (G. Gentile, Il sentimento, saggio cit., p. 8). E
non è neppure un caso se a questa "svolta" partecipa ed è determinante
la dimensione sentimentale in tutte le sue tonalità e se da essa prenda
avvìo la soggettività dello spirito, cioè il processo che parte e trae
impulso dal sentire e dalla passionalità, dal soffrire e
dall'amare, come avviene nel Simposio
platonico con l'Eros che ama e soffre. E altresì proprio da questa
fonte di "eroico furore" platonico-bruniano nasce l'arte: "E'
fuor di contestazione che l'arte è intuizione. Ma è anche fuor di
discussione che intuizione è pure il pensiero [ . . . ] E' stato altresì
sufficientemente chiarito il carattere lirico dell'arte in quanto
l'intuizione sarebbe la forma adeguata del sentimento, della passione,
dell'elemento soggettivo dello spirito. L'intuizione non è altro che la
posizione immediata dello spirito nella sua soggettività;quel che
d'inafferrabile e pur sempre presente che può dirsi essenza del
sentimento" (ibidem, pp. 13-14).
La valorizzazione del sentimento nella sua radicalità
fondativa della soggettività profonda è, come si è visto, una conquista
faticosa e luminosa di Gentile che si riavvicina con la sua
intuizione estetica a Benedetto Croce, anch'egli del resto debitore di
Vico e di Hegel. Colpisce adesso il linguaggio poetico del
filosofo siciliano in alcuni passi di più diretta ispirazione vichiana: " Ma non c'è astratta meditazione in cui il cuore dell'uomo non
batta, in cui non fiammeggi una passione, in cui non sia il soggetto a
soffrire e gioire, egli, col suo dolore, col suo bisogno, col suo
amore, o tendenza ad essere, affermarsi, spiegarsi nel pensiero, onde
l'uomo si eterna" (ibidem, p. 14). E colpisce inoltre l'idea
nascosta del corso e quella non evidente del ricorso nella
loro applicazione dialettica al campo dell'estetica soggetta pur sempre
all'attualità totale dello spirito. La totalità dell'arte
richiede corsi e ricorsi conoscitivi e sentimentali stretti nella loro
natura specifica di intuizione estetica. La Filosofia dell'arte, pubblicata
nel 1931, è la conseguenza logica del saggio che finora si è tentato di
illustrare. In netta opposizione al razionalismo fino a Cartesio e
Spinoza, anche qui viene indicata nella dimensione sentimentale la
radice di tutta la vita spirituale, che si attiva immediatamente nella
soggettività dell'atto estetico :"Così dedotta la dialettica
dell'autocoscienza, rimane chiarito il concetto di dialetticità
dell'arte come forma soggettiva dello spirito[. . . ]Questa
interna irrequietudine, questa vita intima a questa forma dell'arte, per
cui l'arte, questa infanzia dello spirito, non può non progredire e
risolversi gradatamente nella maturità del pensiero, questa
evidentemente è una dialettica che contiene l'arte e non vi è
contenuta; e può assomigliarsi alla vita che fa battere il cuore e
mette in moto il sangue, ma non è tutta chiusa e circoscritta dentro gli
organi della circolazione e neppure nel sangue né in altra parte del
corpo vivente, ma circola per la totalità dell'organismo, tutta nel
tutto e in ogni singola, anche minima, parte"( G. Gentile, La filosofia dell'arte, Sansoni,
Firenze 1937, pp. 158-159).
Il Gentile insiste nel dire che la nuova visione è collegata
intimamente al sistema attualistico già da lui elaborato in altra
epoca, ma in effetti qui la prospettiva cambia e ci troviamo di fronte
ad un nuovo punto di vista che fa del sentimento la "base inconcussa e
incrollabile del nostro stesso essere", oltre che dell'infinita
natura. Pur destinato ad essere risoluto nel pensiero, esso resta la
sorgente da cui sgorga tutto, e la forza che lo sorregge. Perciò
il pensiero stesso è sorretto dall'energia sentimentale, se non vuole
precipitare nel vuoto e nel nulla. Vero è che l'arte vive dentro il
tutto, e che essa non si può concepire priva di pensiero, ma di
nuovo essa è frutto di un atto estetico e di un sentimento fondamentale
che, come in Rosmini, designa il "senso che l'anima, in questo
soggetto, ha del corpo, le cui modificazioni si rispecchiano quindi
nelle modificazioni del sentimento fondamentale dando luogo alle
sensazioni particolari"( ibidem, p. 190). Nel volume La filosofia dell'arte rimane
l'acredine nei confronti di Benedetto Croce, quello delle
"quattro parole" che costituiscono tutta la sua filosofia, ma di questa
estetica crociana, "opera di decadentismo e dilettantismo", il filosofo
di Castelvetrano non riesce a liberarsi. Il principio trascendentale
dell'arte non ha la forza per scardinare l'intuizione estetica di
Croce, che nel frattempo, dopo l'intuizione lirica, ha introdotto in un
saggio del 1917 inserito poi nella seconda edizione del Breviario di estetica il
concetto di "totalità" nell'opera d'arte : " In ogni accento di
poeta, in ogni creatura della sua fantasia, c'è tutto l'universo
destino, tutte le speranze, le illusioni, i dolori e le gioie, le grandezze
e le miserie umane, il dramma intero del reale che diviene e cresce in
perpetuo, su se stesso, soffrendo e gioiendo (Benedetto Croce, Il
carattere di totalità dell'esperienza artistica, in Breviario di
estetica, seconda ediz., Laterza, Bari 1962, p. 135). E Gentile chiude il
suo libro su La filosofia dell'arte con un elogio al "Maestro"
Francesco De Sanctis, dopo aver esaltato per l'ennesima volta la
dimensione sentimentale : "Il pensiero, sì, è la realtà del mondo;ma
l'Atlante che regge questo mondo in cui si vive e in cui vivere è
gioia, è il sentimento che ci fa talora cercare le maggiori opere d'arte
come fonti di vita, ma ci fa rientrare sempre in noi stessi ad
assicurarci che il mondo si regge saldamente sulle sue fondamenta"( G.
Gentile, La filosofia dell'arte,
cit., p. 373). L'intuizione lirica, il carattere di totalità e la
circolarità della vita dello spirito racchiudono l'espressione estetica
che nella sua autonomia, secondo Croce, contiene però il mondo
mediato e addomesticato nell'arte. A questa interpretazione
progressivamente completata e gradualmente perfezionata Gentile
ha poco d'aggiungere e da opporre, tranne la sua dialetticità, la sua
grande competenza storiografica e la sua vivacità linguistica e
teoretica che effettivamente si ritrovano nella Filosofia dell'arte rendendo
prezioso questo saggio.
La "svolta" del 1928 non produce effetti importanti sul terreno
oggettivo e soggettivo della storia dell'estetica, ma ne produce nel
campo dell'ontologia, nel momento in cui Gentile affida l'essere
al sentimento fondamentale e non più al pensiero in atto
creatore e costruttore del reale. La verità è adesso
riposta nell'Essere divino dal quale dipende l'essere umano,
qualunque sia la forma in cui il divino si presenti ed i modi in cui
esso agisca nell'universo. Ma, se l'uomo acquista eternità, e si può
eternare solo per grazia di Dio, e perciò "la fede in Dio è la sostanza
della religione", la quale è "un germe che matura, germoglia e si
sviluppa negli animi ben disposti. E i dommi o sono generati dalla
fede fecondata dall'amore, e allora sono cose vive e vitali, o
sono gettati lì come formule vuote:parole esanimi, facce di farisei,
sepolcri imbiancati"(G. Gentile, La
mia religione, Sansoni, Firenze 1943, p. 20). E se l'uomo è un
essere spirituale oltre che biologico, lo si deve proprio ancora
all'intervento superiore di Dio, "questo divino essere la cui immediata
presenza nel fondo della nostra coscienza costituisce l'ineffabile
sentimento umano di Dio, suprema certezza in cui è la radice di ogni
certezza[. . . ] onde l'uomo trasumana ad ora ad ora nell'eterno"(ibidem,
pp. 37-38). Questo sentimento di Dio costituisce e svela la presenza
dell'essere umano che ha possibilità di muoversi nell'eterno e
nell'infinito, ma che non è in sé né l'Eterno né l'Infinito.
La Svolta" rappresenta dunque l'inizio della seconda fase
nella biografia intellettuale del Filosofo siciliano, che scrive non
per mera premonizione, non potendo immaginare la morte prematura
a Firenze il 15 aprile 1944 per mano di alcuni gappisti guidati da
Bruno Fanciullacci, le due ultime opere più significative, entrambe del
1943, quali sono La mia
religione e Genesi e
struttura della società. Quest'ultima opera, scritta velocemente
tra l'agosto e il settembre 1943, verrà pubblicata postuma da
Sansoni nel 1946 e assume il valore definitivo di un punto di
arrivo dell'itinerario filosofico attraversato da una tensione
teologica e ontologica e dalla ricerca del vero essere dell'uomo nella
certezza di Dio: e, se la fede nella scienza non è sufficiente ad
appagare il cuore umano, "ebbene, venga la religione con la sua
fede ad assicurarci questa esistenza futura e indefinitamente duratura
di cui l'animo nostro non può fare a meno. Che se la stessa religione
ci desse un Dio alieno dal garantircela, essa si spoglierebbe del
suo maggior pregio e lascerebbe indifferente il cuore dell'uomo"(G.
Gentile, Genesi e struttura della
società, Sansoni, Firenze 1946, p. 143). Il linguaggio si fa più
cauto e meno aggressivo e l'accento viene riposto più sul cuore che
sulla mente, più sul sentimento fondativo dell'essere che sul
pensiero creativo del reale perché il pensiero è la realtà, il
mondo ma l'Atlante che regge questo mondo è il sentimento.
prof. Salvatore Ragonesi