Partire, nel
2018/2019, con una sperimentazione nazionale (in 100 prime classi di
licei e istituti tecnici) del diploma a quattro anni (anzichè i cinque
canonici); al termine, nel 2023, valutarne i risultati; e, poi, se
positivi (e condivisi dal mondo scolastico) pensare a una più
complessiva riforma dell’ordinamento «per migliorare la qualità dei
percorsi didattici interni»; e, in quest’ottica, contestualmente,
«portare l’obbligo scolastico a 18 anni» (fino cioè al termine dei tre
cicli).
Le parole della ministra
Dopo l’intervista al Sole24Ore di domenica, la ministra
dell’Istruzione, Valeria Fedeli, ha scelto ieri il palco del meeting di
Cl, a Rimini, per rilanciare una riflessione a tutto tondo su come
innovare e potenziare l’offerta formativa a vantaggio degli studenti:
l’idea (per i futuri esecutivi – non ci sarà quindi nessun intervento
normativo imminente) è quella di prendere spunto dal percorso di
abbreviamento di un anno della scuola superiore che si andrà a
sperimentare (entro settembre gli istituti che vorranno partecipare
dovranno presentare la candidatura), per operare un ripensamento
complessivo degli ordinamenti scolastici: «Si dovrebbe fare una
rivisitazione dei cicli che valorizzi il sapere e le nuove competenze –
ha spiegato Fedeli -. Io sarei per innalzare l’obbligo scolastico a 18
anni perchè un’economia come la nostra, che vuole davvero puntare su
crescita e benessere, deve mirare alla conoscenza, come peraltro chiede
l’Agenda Onu 2030 sottoscritta anche dall’Italia. E quindi, se questo è
l’obiettivo – ha poi aggiunto la titolare del Miur – è necessario anche
sapere che il percorso educativo e formativo, che non smette mai nel
corso della vita, ha comunque bisogno di avere una più larga
partecipazione possibile, almeno, appunto, fino a 18 anni, per percorsi
anche differenziati come licei, istituti tecnici, professionali».
L’obbligo scolastico, com’è oggi in Italia e nel mondo
Oggi, è obbligatoria l’istruzione impartita nel sistema scolastico e
formativo per almeno 10 anni e riguarda la fascia di età compresa tra i
6 e i 16 anni (il 15esimo anno, come sistematizzato dal Jobs act, lo
studente può sottoscrivere un contratto di apprendistato di primo
livello e contestualmente adempiere all’obbligo e al termine del
periodo di scuola-lavoro conquistare anche il diploma). L’asticella a
16 anni venne fissata da Beppe Fioroni (con Letizia Moratti era 15 anni
e si chiamava “diritto-dovere”), che consentì anche la sperimentazione
nel sistema Iefp. Mariastella Gelmini portò a regime la sperimentazione
nell’istruzione e formazione professionale (quindi obbligo scolastico a
16 anni per tutti), e poi con il collegato Lavoro del collega Maurizio
Sacconi, si portò l’apprendistato a 15 anni (una scelta poi confermata
dal Jobs act).
Del resto, anche a livello internazionale, la stragrande maggioranza
dei paesi ha un obbligo scolastico fino a 16 anni d’età dello studente
(salgono a 18 anni solo Belgio, Paesi Bassi, Portogallo, e Germania, in
alcuni Land). Molto innovativa è invece la riduzione del percorso di
studi che permetterà di far uscire gli alunni a 18 anni, come avviene
da tempo, in molti paesi europei (tra cui Spagna, Francia, Regno Unito,
Portogallo, Ungheria, Romania – in Finlandia l’ultima campanella suona,
addirittura, a 17 anni).
Le prime reazioni
La proposta di una rivisitazione dei cicli e di un innalzamento a 18
anni dell’obbligo scolastico fa già discutere: plaudono Flc-Cgil e Uil
Scuola; più cauta la Cisl Scuola («non è una priorità, sono più
importanti i contenuti»), e anche l’Anp, l’Associazione nazionale
presidi, mette dei paletti: «Servono interventi mirati sulla qualità
dell’istruzione e una vera autonomia scolastica». Molto chiara
l’assessore lombardo a Istruzione, formazione e lavoro, Valentina
Aprea: «La sperimentazione del diploma a quattro anni è sicuramente una
buona notizia per tante ragioni. Non lo è l’idea di elevare a 18 anni
l’obbligo scolastico: sarebbe un passo indietro rispetto al nostro
ordinamento e contrasterebbe con le nuove flessibilità introdotte da
Jobs act e decreti attuativi della Buona Scuola».
Claudio Tucci
Il Sole 24 Ore