Non c'è nulla
che delimiti o circoscriva le immagini che Leonardo crea. Se Piero
della Francesca con il Cristo alla Colonna costruisce per noi uno
spazio perfettamente strutturato con "esprit de geometrie", dove ad
ogni punto, si direbbe, l'autore ha mentalmente associato una terna di
coordinate cartesiane, Leonardo - che conosce non meno bene di Piero la
teoria della prospettiva - non contiene le sue visioni in una gabbia
prospettica, ma apre verso l'infinito. Non ci sono linee di fuga che
convergendo, determinino i limiti della visione e quindi, in un certo
senso, anche dello spazio. No. Lo spazio di Leonardo non si chiude.
Come una tumultuosa opera musicale, nella quale da una cellula melodica
germinano in continuazione nuovi temi e quando questi sembra che stiano
per esaurirsi altri si impongono all'ascolto (non saprei trovare
miglior riferimento dei concerti brandeburghesi di Bach), lo spazio che
Leonardo crea è senza limiti; sembra che abbia un limite nelle rocce
che parzialmente chiudono come una skené il gruppo delle figure in
primo piano, ma si tratta di un limite che nega sé stesso.
E' un limite creato perché non limiti ma si apra a svelare che al di là
di queste rocce ne esistono altre e poi altre ancora, in una
successione che la crescente distanza rende sempre meno nitide, ma di
cui non intravvediamo il termine. In questo modo Leonardo rende il
senso dell'infinito che abbraccia ogni cosa. Proprio come la siepe che
sul monte dell'Infinito "da tanta parte / dell'ultimo orizzonte il
guardo esclude" ma solo per lasciare libera la fantasia di Leopardi di
"fingere" oltre di essa "interminati spazi" e "sovraumani silenzi". Non
diversamente da Leopardi, anche Leonardo è ben consapevole di quanto
caduche siano le voci della "presente stagione", a fronte dello
"infinito silenzio" contro il quale risuonano.
Quando vediamo Leonardo celebrare la finitezza dell'uomo, costantemente
immerso nell'infinito che tutto abbraccia, come in un consolante,
materno liquido amniotico, possiamo immaginare che anche lui abbia
assaporato la dolcezza del "naufragare" tra questa immensità.
Maurizio Ternullo