
Il perché può esserci ancora utile, e interessante, la Commedia, è presto detto:
Perché l'etica su cui si incardina tanta parte di questo Poema sacro "al quale il Nostro ha posto mano e cielo e terra, sì che l'ha fatto per molti anni macro..." (Paradiso, Canto XXV) è quella neotestamentaria, etica che - fra tutte le altre cose - ci richiama alla responsabilità personale delle nostre azioni, a resistere alle tentazioni del potere, a rafforzare la volontà sull'istinto, a condannare ogni forma di corruzione, di fariseismo; a lottare per il giusto, la rettitudine, l'ordine e la pace sociale, la giustizia e la verità.
E' un'etica polarizzata, in buona sostanza, intorno al binomio della vigilanza e della sobrietà, di cui la nostra attuale società ha un impellente bisogno.
Vigilanza, vigilare, essere vigilanti, nel linguaggio rigoroso dell' intellettuale cristiano Dante, impegnato in un viaggio di salvezza per sé e per l'umanità intera, significa stare attenti, non lasciarsi sopraffare dagli impulsi, dalla emotività del momento, dalla "matta bestialitate": essere responsabilmente consapevoli sempre degli effetti di ogni nostro atto; saper discernere, non "seguire l'error dei ciechi che si fanno duci", sospettare dei cattivi maestri che danno cattivi esempi; insomma: stare con gli occhi bene aperti per non trovarci impreparati quando è il momento ( monito evangelico, Marco).
Il suo contrario è negligenza, disattenzione, trascuratezza, leggerezza, indolenza, ecc. ecc.
Sobrietà, sempre nel linguaggio laico religioso dell'intellettuale Dante, è da intendere come capacità di controllo, moderazione, serietà, severità, costumatezza, morigeratezza, continenza, temperanza: senso della mèsos, dell'essere misurati, che è l'esatto contrario della "dismisura", sinonimo, in Dante, sempre e comunque, di peccato.
Nuccio Palumbo