Ci voleva il
Coronavirus per rilanciare la formazione a distanza e l'e-learning.
Dispiace dover notare che, anche questa volta, le dichiarazioni del
Ministro Azzolina siano all'insegna della superficialità, per giunta
venata da un certo trionfalismo. Abbiamo le scuole chiuse? Niente
paura, attiveremo modalità alternative di erogazione delle lezioni.
Afferma Azzolina: «Abbiamo già istituito una task force per garantire
la didattica a distanza. Il materiale è disponibile, e stiamo
preparando una piattaforma dove caricare i contenuti» e poi: «Il Nord
Italia è ben attrezzato per rispondere a queste esigenze, ci sono molte
scuole che la fanno già. C’è una scuola produttiva, e dove ci sono
delle difficoltà arriveremo, la nostra task force andrà a fare
formazione ai docenti per iniziare immediatamente con la didattica a
distanza» E quando pensa di agire la task force, visto che,
probabilmente, tra un paio di settimane l'emergenza sanitaria sarà
finita? Insomma, in questo momento caratterizzato dal trionfo delle
parole in libertà, anche la ministra Azzolina non vuole essere da meno.
Qualunque sia la valutazione che si voglia dare dell'e-learning e della
Formazione a Distanza (che, sotto forma di acronimo (FAD), ha già dato
parecchio fastidio in tempo di pace, per esempio nei corsi di studio
serali) una cosa è certa: anche la forma più scontata e corriva di
formazione a distanza non si improvvisa.
I docenti devono aver idea di come strutturare la propria lezione,
anche dal punto di vista “tecnico” e gli studenti debbono poter
ricevere le informazioni ed interagire con il docente. La ministra ci
fa notare che tutti gli studenti hanno un cellulare. Ma come pensa di
far lezione, creando una chat di classe su Whatsapp? Collegando tutti
quanti su Skype? Qualunque individuo dotato di buon senso condannerebbe
questo gusto dell'improvvisazione, molto diverso dal darsi da fare per
superare le difficoltà. Ed anche sul “darsi da fare” c'è qualcosa da
dire.
Riportiamo un passaggio tratto dalle lettera che una dirigente di una
scuola “normale” (non un “polo d'eccellenza” insomma) scrive ad
“Orizzonte scuola”, a proposito delle soluzioni tecnologiche adottate
per far fronte alla chiusura delle scuole: “Si tratta di soluzioni
economiche, facili da usare, forse tecnologicamente banali per chi ne
capisce più di me, ma comunque sia, ci siamo dati una organizzazione in
questi giorni di bufera. Inventando, sperimentando, discutendo. Non
abbiamo posto limiti alle strategie se non quelli della concretezza e
della economicità. Nelle classi più disastrate, semplicemente e
poveramente i docenti hanno contattato per telefono tutti gli alunni.
Una sola e vera cosa ha fatto la differenza. Il capitale umano”.
Eccolo a lettere maiuscole il problema della scuola italiana: poco,
troppo poco senso critico e tanta, troppa “buona volontà”,che porta a
superare i problemi che si pongono “tirandosi su le maniche”, senza
pensare se sia davvero produttivo fare quello che si sta facendo,
usando le parole a caso (dopo un inno alla tecnologia “povera” e fatta
in casa ecco l'elogio ingenuo del “capitale umano”, espressione che
chiunque si occupi di educazione consapevolmente dovrebbe usare con
prudenza). L'emergenza è una sorta di cartina al tornasole: mette in
rilievo tutto quello che c'è già nella quotidianità e lo fa emergere
con forza maggiore.
Ancorché il dibattito sull'opportunità dell'uso intensivo delle nuove
tecnologie nella scuola non sia nemmeno iniziato, sebbene al momento
non ci siano evidenze (se non impressionistiche) rispetto al maggior
vantaggio dell'uso del computer o del tablet rispetto agli strumenti
didattici tradizionali, di una cosa possiamo essere certi e la
ripetiamo: non si improvvisa l'insegnamento a distanza in pochi giorni
e l'idea di una task force, destinata ad operare nell'arco di un paio
di settimane scarse per dare supporto alle scuole della Lombardia e del
Veneto è una boutade poco divertente. Dal sito del MIUR apprendiamo
inoltre dell'esistenza di “due call per tutte le realtà che vogliono
sostenere le iniziative di didattica a distanza che si stanno attivando
a seguito della chiusura delle scuole, in alcune zone d'Italia, per
l'emergenza coronavirus […]
Attraverso le due call il Ministero invita tutti i produttori di
hardware (a titolo esemplificativo, PC, tablet, internet key) e di
software che desiderano rendere disponibili a titolo gratuito i propri
prodotti a manifestare tempestivamente la propria disponibilità
attraverso la piattaforma Protocolli in rete”. Il “cronoprogramma” è
surreale: in una settimana si dovrebbero raccogliere le risposte alle
chiamate, coordinarle, mettere a punto “una pagina web dove mettere a
disposizione soluzioni tecnologiche per supportare gli istituti
scolastici interessati” e iniziare (non si sa come) ad usarle per
l'insegnamento a distanza. Noi spereremmo che più modestamente, la
ministra ed il suo staff si attivassero per garantire un ritorno degli
studenti in locali ben puliti (naturalmente consentendo al personale
addetto alle pulizie di operare in condizioni di sicurezza igienica e
con tempi non affannati).
E, se praticare l'insegnamento a distanza non è cosa che si improvvisi
dall'oggi al domani, per acquistare saponi e carta igienica e darli in
dotazione adeguata alle scuole ci vuole piuttosto poco. L'epopea del
Coronavirus ha trovato tutti gli esperti concordi su un solo punto:
bisogna lavarsi le mani con acqua e sapone di frequente. Bene,
consentiamo agli studenti di praticare questa norma elementare di
igiene anche a scuola. Nel frattempo, come docenti, riflettiamo su
quanto male abbia fatto alla nostra scuola l'uso acritico della buona
volontà, sempre pronta a tappare malamente i buchi e le magagne di una
classe di politici che, messo di fronte ai problemi reali della scuola,
spesso e volentieri se ne lava le mani.
Giovanna Lo Presti
CUB Scuola Università Ricerca