A distanza di trent’anni si ricorda
come la morte di Libero Grassi non è stata vana. Il suo rifiuto di
pagare il
pizzo è, diventato per molti un modello di coerenza e lezione di
civiltà,
capace di scuotere le coscienze. Nel
1991 Libero Grassi simbolo di una
lotta alla mafia e al racket agì in
solitudine, oggi chi denuncia il pizzo lo può fare
in sicurezza, senza rischiare, assistito dalle associazioni. Se questo
è
accaduto è merito suo”.
Nella lettera che l’imprenditore palermitano fece pubblicare il 10 gennaio 1991 su “Il Giornale d Sicilia” e che segnò la sua condanna da parte della mafia, si legge, infatti , “Caro estortore se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere, l’azienda costruita con le mie mani. Lavoro da una vita e non intendo chiudere”.
Egli ha tracciato un solco e, anche se con mille difficoltà, resistenze e ostacoli, il fiore della legalità ha germogliato ed ha sparso semi di forza e di coraggio che tanti hanno saputo raccogliere scegliendo di denunciare gli estortori.
Sono, infatti, numerose le testimonianze di quanti hanno detto: “No al pizzo” ed ora si sentono liberi dal macigno della paura e vivono a testa alta, protetti e tutelati dalla legge.
Dal 29 agosto del 1991 chi si ribella al racket non è più solo. La paura è un sentimento che attraversa immutato gli animi e le coscienze, ma oggi con l’aiuto di qualcuno ed il sostegno dell’Associazione antiestorsione, ASAEC, Addio Pizzo, e delle Forze dell’Odine, uomini e donne che rappresentato lo Stato “in carne ed ossa” si affronta e si vince, uscendo dal tunnel delle minacce e delle ritorsioni.
L’ASAEC di Catania, che porta il nome di Libero Grassi, si prepara a celebrare il prossimo 11 novembre i suoi primi trent’anni di presenza e di servizio nella comunità catanese.
Al messaggio minaccioso e ricattatorio “Cercati un amico”, l’imprenditore onesto risponde chiamando il 113 e denunciando l’accaduto, chiudendo i conti con il passato e ponendo fine alla lunga processione di continue e sempre maggiori richieste di denaro.
Per alcuni imprenditori “pagare il pizzo” può anche sembrare conveniente per evitare altri guai ed il pizzo diventa una tassa come le altre.
Solo quando si comprende che non è questa la normalità, solo allora scatta qualcosa e denunciando non si diventa “eroi”, ma si intraprende una nuova via sul sentiero della legalità e in questo nuovo cammino non ci si sente soli e smarriti.
Ecco cosa ha dichiarato un commerciante, uscendo fuori dal tunnel dell’estorsione: “Oggi sono non solo un uomo, ma anche un imprenditore migliore di prima. Riesco ad attribuire alle cose, anche al denaro, il valore che meritano”.
Non è facile denunciare. Ci si misura spesso anche con il condizionamento ambientale. Si vive in un quartiere, si conoscono delle persone e poi si scopre che molti indossano una maschera. Si cresce insieme, si scelgono strade diverse. Le strade, però, si possono pericolosamente incrociare.
Per andare in giro a testa alta, si sceglie di denunciare, in silenzio, e allora si diventa coraggiosi e si aiutano altri imprenditori nei momenti difficili.
Si diventa “testimoni” e protagonisti di una nuova lezione di vita, incontrando anche i ragazzi nelle scuole per far loro comprendere che la legalità è un valore da tutelare e difendere.
“Il pizzo” che non è il maschile di pizza”, si scrive con la stessa “z” della parola “raccomandazione”, “protezione”, “mediazione” che tutti cercano in ogni settore della vita sociale e … ancora oggi si continua a pagare.
Si paga spesso per paura, ma anche per convenienza e connivenza in un’economia dove i soldi sporchi servono a finanziare l’apertura di attività commerciali.
Il mafioso ha il potere di risolvere piccole e grandi questioni e, rivolgendosi a lui si ottiene tutto e subito, rispetto alle vie legali e così il pizzo diventa il costo digeribile della mediazione, quasi un dovere di riconoscenza
Le inchieste recenti hanno fatto emergere decine e decine di estorsioni a fronte di una manciata di denunce. Lo Stato arresta i mafiosi con ritmo incessante, ma la tassa di “Cosa Nostra” non conosce rinvii, condoni, esenzioni o cancellazioni.
Il sentiero è tracciato e “insieme” si giunge alla meta.
Giuseppe Adernò
Nella lettera che l’imprenditore palermitano fece pubblicare il 10 gennaio 1991 su “Il Giornale d Sicilia” e che segnò la sua condanna da parte della mafia, si legge, infatti , “Caro estortore se paghiamo i 50 milioni, torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere, l’azienda costruita con le mie mani. Lavoro da una vita e non intendo chiudere”.
Egli ha tracciato un solco e, anche se con mille difficoltà, resistenze e ostacoli, il fiore della legalità ha germogliato ed ha sparso semi di forza e di coraggio che tanti hanno saputo raccogliere scegliendo di denunciare gli estortori.
Sono, infatti, numerose le testimonianze di quanti hanno detto: “No al pizzo” ed ora si sentono liberi dal macigno della paura e vivono a testa alta, protetti e tutelati dalla legge.
Dal 29 agosto del 1991 chi si ribella al racket non è più solo. La paura è un sentimento che attraversa immutato gli animi e le coscienze, ma oggi con l’aiuto di qualcuno ed il sostegno dell’Associazione antiestorsione, ASAEC, Addio Pizzo, e delle Forze dell’Odine, uomini e donne che rappresentato lo Stato “in carne ed ossa” si affronta e si vince, uscendo dal tunnel delle minacce e delle ritorsioni.
L’ASAEC di Catania, che porta il nome di Libero Grassi, si prepara a celebrare il prossimo 11 novembre i suoi primi trent’anni di presenza e di servizio nella comunità catanese.
Al messaggio minaccioso e ricattatorio “Cercati un amico”, l’imprenditore onesto risponde chiamando il 113 e denunciando l’accaduto, chiudendo i conti con il passato e ponendo fine alla lunga processione di continue e sempre maggiori richieste di denaro.
Per alcuni imprenditori “pagare il pizzo” può anche sembrare conveniente per evitare altri guai ed il pizzo diventa una tassa come le altre.
Solo quando si comprende che non è questa la normalità, solo allora scatta qualcosa e denunciando non si diventa “eroi”, ma si intraprende una nuova via sul sentiero della legalità e in questo nuovo cammino non ci si sente soli e smarriti.
Ecco cosa ha dichiarato un commerciante, uscendo fuori dal tunnel dell’estorsione: “Oggi sono non solo un uomo, ma anche un imprenditore migliore di prima. Riesco ad attribuire alle cose, anche al denaro, il valore che meritano”.
Non è facile denunciare. Ci si misura spesso anche con il condizionamento ambientale. Si vive in un quartiere, si conoscono delle persone e poi si scopre che molti indossano una maschera. Si cresce insieme, si scelgono strade diverse. Le strade, però, si possono pericolosamente incrociare.
Per andare in giro a testa alta, si sceglie di denunciare, in silenzio, e allora si diventa coraggiosi e si aiutano altri imprenditori nei momenti difficili.
Si diventa “testimoni” e protagonisti di una nuova lezione di vita, incontrando anche i ragazzi nelle scuole per far loro comprendere che la legalità è un valore da tutelare e difendere.
“Il pizzo” che non è il maschile di pizza”, si scrive con la stessa “z” della parola “raccomandazione”, “protezione”, “mediazione” che tutti cercano in ogni settore della vita sociale e … ancora oggi si continua a pagare.
Si paga spesso per paura, ma anche per convenienza e connivenza in un’economia dove i soldi sporchi servono a finanziare l’apertura di attività commerciali.
Il mafioso ha il potere di risolvere piccole e grandi questioni e, rivolgendosi a lui si ottiene tutto e subito, rispetto alle vie legali e così il pizzo diventa il costo digeribile della mediazione, quasi un dovere di riconoscenza
Le inchieste recenti hanno fatto emergere decine e decine di estorsioni a fronte di una manciata di denunce. Lo Stato arresta i mafiosi con ritmo incessante, ma la tassa di “Cosa Nostra” non conosce rinvii, condoni, esenzioni o cancellazioni.
Il sentiero è tracciato e “insieme” si giunge alla meta.
Giuseppe Adernò