Son trascorsi 10 anni dalla precedente indagine e si registra che l’età media dei docenti si attesta attorno ai 52 anni e, come si evince dalle risposte date al questionario, si segnala che molti docenti ammettono di sentirsi preparatissimi sul piano dei contenuti, ma poco attrezzati sul piano didattico. E’ mancata, infatti, in questi lunghi anni di innovazione e di autonomia, la linfa vitale dell’aggiornamento professionale, già riconosciuto come un diritto e un dovere del docente. Quel che appare più grave è il fatto che, oberati da tante incombenze burocratiche e da frequenti riunioni, molti sostengono di non avvertire la necessità di una specifica formazione per rinnovare le metodologie didattiche innovative in risposta ai nuovi linguaggi e alle esigenze dei ragazzi di oggi, nativi digitali. Le attività di formazione hanno privilegiato il settore della sicurezza e della competenza digitale, trascurando l’ambito metodologico didattico.
L’innovazione della “didattica a distanza”, adottata durante il lockdown per il Covid 19 per molti docenti è stata, purtroppo, soltanto una trasposizione di cattedra “da scuola a casa”, senza apportare alcuna modifica alle tradizionali formule di spiegazione, interrogazione e valutazione.
Nel passaggio dalla scuola Primaria alla Secondaria di primo grado i risultati in matematica peggiorano e, se si guarda all’ambiente sociale di provenienza, le differenze si aggravano ulteriormente. E così un alunno, i cui genitori non hanno un titolo di studio significativo o poco tempo da dedicare all’apprendimento dei figli, ottiene risultati inferiori negli esiti scolastici.
La formula “star bene a scuola”, star bene con se stessi, con gli altri, star bene con le istituzioni” che ha caratterizzato prima il “Progetto giovani 93”, ideato dal Sottosegretario Luciano Corradini, e poi il “Progetto Ragazzi 2000” per la scuola media durante gli anni Novanta, ha determinato certamente il boom dei progetti, anche per i finanziamenti connessi, ma è risultato poco determinante per la definizione del “Progetto scuola” come purtroppo dimostrano i dati di dispersione, di abbandono scolastico, di scarso rendimento, ed ora si registra anche un graduale incremento di richieste di “istruzione parentale”, anche a causa dei condizionamenti determinati dalla pandemia.
Alla domanda “Ti piace andare a scuola?” la risposta “Mi piace molto” è data da un numero sempre decrescente di alunni e tra i ragazzi di 13 anni il dato scende al 10%: novanta studenti su cento sostengono di “non stare bene a scuola”.
L’apprendimento, che dovrebbe essere efficace e quindi capace di modificare il modo di pensare, di sentire e di agire dello studente, viene vissuto dai ragazzi in una dimensione di forte stress.
In prima media 4 studenti su 10 dicono di sentirsi stressati dal carico di lavoro, ed in terza media la quota si alza moltissimo, specie per le ragazze che avvertono di più il carico scolastico.
Si registra spesso un clima di classe pedagogicamente ed emotivamente poco coinvolgente; un insegnamento prevalentemente frontale e trasmissivo, centrato sui libri di testo, poco orientato alla promozione del lavoro autonomo e delle strategie metacognitive.
La quinta competenza europea “imparare ad imparare” in molte realtà scolastiche non ha ancora trovato reale applicazione nelle strategie di insegnamento.
La scuola media, afferma Roberto Ricci, presidente di Invalsi, è “strisciante verso il secondo grado”, orientata sui contenuti e poco attenta al consolidamento delle competenze. Inoltre sono molti i docenti che la considerano “scuola di passaggio” e attendono il trasferimento al secondo grado, come sviluppo e progressione di carriera.
La scuola media che rappresenta il terzo biennio del primo ciclo di istruzione, si completa con la terza classe, anno ponte per il secondo ciclo e carico di una specifica dimensione orientativa.
Come afferma, infatti, Andrea Gavosto, direttore della Fondazione Agnelli, “La scuola media deve avere una nuova missione, la preparazione alle scelte successive e l’orientamento non può ridursi ad una ratifica della pagella, bensì alla valorizzazione delle competenze che potranno essere meglio sviluppate proseguendo gli studi ad indirizzo liceale, tecnico o professionale”
La didattica della scuola media, che per definizione “istruisce, forma e colloca nel mondo persone e cittadini”, necessita di una specifica didattica di orientamento, che potenzi esercizi e attività intesi come “compiti di realtà”, “compiti autentici” nel complesso della progettazione e lo studio va centrato su temi concreti, mettendo in atto la regola pedagogica di John Dewey “learning by doing”
Imparare facendo costituisce la via maestra dell’apprendimento e così le nozioni apprese guideranno il “saper fare” e indirizzeranno al “saper essere””.
La scuola media ha un proprio ruolo ed una specifica identità nel “Sistema nazionale di istruzione e formazione” e, a tale scopo, i percorsi di preparazione sulle metodologie didattiche è bene che siano distinti tra Scuola secondaria di Primo e Secondo grado, orientando l’attenzione alla delicata fase evolutiva del ragazzo, all’acquisizione di un metodo di studio e di lavoro, rinforzato da positive e concrete esperienze realizzate a scuola, anche in orario pomeridiano, come è previsto nel PNRR istituzionalizzando lo sport, la musica, il teatro, i laboratori e consentendo l’esercizio e lo sviluppo di competenze trasversali.
Forse così facendo la scuola sarà più bella, più dinamica e i ragazzi andrebbero più volentieri a scuola, dove si apprendono tante nozioni e si fanno esperienze utili e significative fondamentali per sviluppare la creatività e il pensiero divergente, in cooperazione con i compagni di classe.
Giuseppe Adernò