La domanda se sia corretto o meno che gli alunni giudichino
i loro professori è del tutto retorica.
Da che mondo è mondo gli alunni hanno giudicato e giudicano i loro
insegnanti. Del resto lo stesso fanno i docenti con i loro presidi,
passati e presenti, e via discorrendo in un intreccio di condanne ed
assoluzioni che a doverlo ripercorrere a ritroso si rifà la storia del
mondo intero…
Dalla Cabala del cavallo pegaseo:
lode all'asino.
(di Tecla Squillaci)
Redazione
La domanda se sia corretto o meno che gli alunni giudichino i loro
professori è del tutto retorica.
Da che mondo è mondo gli alunni hanno giudicato e giudicano i loro
insegnanti. Del resto lo stesso fanno i docenti con i loro presidi,
passati e presenti, e via discorrendo in un intreccio di condanne ed
assoluzioni che a doverlo ripercorrere a ritroso si rifà la storia del
mondo intero…
Che il giudizio ci sia è indiscutibile; che sia sancito de iure
,in buona sostanza, alla coscienza franca importa assai poco. E non per
debole accondiscendenza ma per consapevolezza della natura stessa del
giudizio, della sua correlazione con ogni esistenza senza la quale non
ci sarebbe né lo stimolo al miglioramento né si troverebbe la forza
d’aprir gli occhi al mattino.
Non temo i giudizi ma i pre-giudizi.
In ogni momento della nostra vita siamo esposti al giudizio altrui;
forse solo le aquile e gli insetti striscianti ne restano immuni: le
prime perché volano troppo in alto, intonse dalle miserie umane, i
secondi perché… troppo simili a tutti gli altri. Inoltre, poniamo il
caso che io dica di qualcuno che sia un piantagrane;questo mio
giudizio, o pre-giudizio, lascia il tempo che trova a meno che qualche
inetto non riconosca la facoltà di giudizio altrui come superiore alla
propria. Alla fine, ognuno nella vita si rivela e si qualifica per
quello che è.
In ogni forma di conoscenza che rientri nella categoria del pensabile e
dell’esprimibile appare sempre questa legge del “contrappunto”: causa-
effetto, giudicato-giudicante. Non sono sofismi; basta acuire un po’
l’ingegno che s’assopisce spesso tra i guanciali di mille certezze.
Meglio dismettere le vesti della pedanteria giuridica in casi del
genere,questi argomenti possono essere affrontati solo con la satira e
il velo sottile della sacrosanta ironia. Del resto, se il giudicato
possa essere nel contempo giudicante per sua stessa essenza ed
affermazione è una contraddizione in termini, ovvero
improcedibile dal punto di vista giuridico.
Certo che questa tendenza all’inversione dei ruoli nella scuola
italiana sta diventando quantomeno inquietante… capisco che in Italia
siamo quasi tutti fuori posto, per difetto o per eccesso, ma in questa
tendenza centripeta dove tutti vogliono stare al centro, tutto
impazzisce. Come la maionese.
Se il giudizio ed il giudicare costituiscono la base del sapere ed ogni
predicato enunciativo è pertinente ad un soggetto che consta di
proprietà, modi, attributi ed accidenti ( che non sono quelli che
affollano la bocca dei docenti italiani negli ultimi tempi) per
corollario deve esserci una corrispondenza tra la realtà e la sua
immagine concettuale e linguistica.
Nel sillogismo chiamato dagli aristotelici modus ponendo ponens
la regola di derivazione di ogni proposizione è che le conclusioni
scaturiscono dalle premesse; se le premesse sono vere, le conclusioni
anche. Ma in nessun caso la premessa può contraddire se stessa e questo
per un rapporto di inferenza che sta alla base di tutta la logica
analitica! Lo stesso Aristotele diceva nella Metafisica : “dire di ciò
che esiste che non esiste o di ciò che non esiste che esiste è falso,
dire di ciò che esiste che esiste e di ciò che non esiste che non
esiste, è vero.” Il che equivale a dire che il rosso è bianco ,
per pure inferenza logica prima che per verifica pratica, è illogico.Se
io dico che lo studente studia è logico perché il predicato verbale
denota ciò che è contenuto, per proprietà, modi, attributi e accidenti
( sempre quelli di prima) nel nome. Ma sei io predico un enunciato che
per proprietà, modi, attributi e accidenti è il contrario di quanto
contenuto nel nome, è una contraddizione in termini.
Inoltre, è la storia del cane che si morde la coda, dell’ouroburòs, del
serpente dalla coda in bocca, della circolarità di ogni manifestazione
cosmica… se il giudicato deve giudicare il giudicante sapendo di venir
a sua volta giudicato come si può stabilire che il suo giudizio sia
veridico e sincero? Mah… non se ne viene a capo.
Per concludere vorrei offrire al mondo della scuola la lettura di
questo gustoso sonetto della mente più brillante del Rinascimento,
Giordano Bruno. Epoca in cui un po’ restava del senno nel suolo
italico anche se gli eruditi accademici ci assicurano che già da allora
cominciava il suo esodo verso la luna d’Astolfo. Non sono ancora stati
stabiliti il punto, l’ora esatta, la velocità e il vettore di tale
infausta dipartita anche se i cattedratici contano di riuscirvi presto
attraverso uno sforzo congiunto fra le università, per poi
programmare almeno una dozzina di corsi monografici a riguardo.
Estenderei il mio invito alla lettura anche a loro ma so che i loro
impegnativi studi non permettono simili frivolezze.
Ma soprattutto la dedico a quelle grandi menti audaci che
sollevando la vexata quaestio del giudicante e del giudicato, ci
inducono a riformulare l’intera logica aristotelica e seguente.
Dalla CABALA DEL CAVALLO PEGASEO :
LODE ALL’ASINO CILLENICO
Oh sant'asinità, sant'ignoranza,
Santa stoltizia, e pia divozione,
Qual sola puoi far l'anime si buone,
Ch'uman ingegno e studio non l'avanza!
Non gionge faticosa vigilanza
D'arte, qualunque sia, o invenzione,
Né di sofossi contemplazione
Al ciel, dove t'edifichi la stanza.
Che vi val, curiosi, il studiare
Voler saper quel che fa la natura,
Se gli astri son pur terra, fuoco e mare?
La santa asinità di ciò non cura,
Ma con man gionte e 'n ginocchion vuol stare
Aspettando da Dio la sua ventura.
Nessuna cosa dura,
Eccetto il frutto dell'eterna requie,
La qual ne done Dio dopo l’essequie.
Tecla Squillaci
stairwayto_heaven@libero.it