E’ morta, a 91 anni,
Adriana Zarri: cattolica, laica, teologa, scrittrice, eremita,
antifascista ... ma ogni definizione rischia di rinchiuderla in
appartenenze che non le appartengono. Vera “cattocomunista” scrisse per
L'Osservatore Romano, Studium, Politica, Sette giorni, Il Regno,
Concilium e Servitium, Avvenimenti, Rivista di Teologia Morale,
Micromega, La Rocca e anche Il Manifesto. Molti l’abbiamo
conosciuta attraverso le sue "parabole" scritte sul quotidiano fondato
da Gramsci. Le riconosciamo una libertà di pensiero che era il segno
vero della sua laicità. Una donna oltre gli schemi, che ci lascia
respirare l’infinito e una profonda libertà.
Da più di trent’anni viveva "eremita" perché, diceva che il
silenzia aiuta l’incontro. Ma il silenzio aiuta anche ad avere un
occhio critico più attento sulla realtà. Per cui non l’abbiamo mai
sentita avulsa dalla vita reale. Deal suo eremitaggio ha saputo parlare
al mondo con voce forte. E' stata la prima donna laica ad essere
ammessa nel direttivo dell'Associazione teologica italiana e ha fatto
discutere per aver infranto il monopolio del pensiero teologico in modo
rigoroso ed aver criticato le gerarchie ecclesiali. "Fu lei - scrive
Repubblica - a rompere il ghiaccio maschilista rivendicando il carisma
femminile del discorso di Dio e difese la legge sull'aborto".
Tra le sue opere piu' conosciute 'Erba della mia erba' e 'Nostro
signore del deserto'. Il suo ultimo libro “Un eremo non e' un
guscio di lumaca” (Ed. Einaudi) uscirà a febbraio…
Meglio abbandonare le mie parole da coccodrillo e lasciare che parli
ancora Adriana Zarri con un florilegio antologico che vorrei qui
proporre iniziando con l’epigrafe che lei ha pubblicato sul sito
Graphe.it Edizioni:
“Non mi vestite di nero: è triste e funebre. Non mi
vestite di bianco: è superbo e retorico. Vestitemi a fiori gialli e
rossi e con ali di uccelli. E tu, Signore, guarda le mie mani. Forse
c’è una corona. Forse ci hanno messo una croce. Hanno sbagliato. In
mano ho foglie verdi e sulla croce, la tua resurrezione. E, sulla
tomba, non mi mettete marmo freddo con sopra le solite bugie che
consolano i vivi. Lasciate solo la terra che scriva, a primavera,
un’epigrafe d’erba. E dirà che ho vissuto, che attendo. E scriverà il
mio nome e il tuo,uniti come due bocche di papaveri.”
. Diceva della fede : «Credo che noi
abbiamo un concetto molto intellettualistico della fede. La fede non è
necessariamente credere nell’esistenza di Dio, nella divinità di
Cristo, nella risurrezione, nei cosiddetti contenuti di fede. La fede è
soprattutto un atteggiamento di ascolto, di disponibilità».
. Scrisse: «La morte è l’ultimo danno,
l’ultimo disastro. Tutti hanno paura della morte, a cominciare da
Cristo che ne ha avuto paura. chi sostiene che sia “amica dei
Cristiani” forse non aveva neanche letto il Vangelo, perché Cristo ha
avuto paura della morte, come tutti. La morte è veramente un passaggio
terribile, poi sì ci aprirà le porte dell’aldilà, ma questo passaggio
resta una cosa molto traumatica».
. «Non credo nell’inferno perché mi
sembra un insulto alla bontà di Dio. Anche la nostra cultura laica non
ammette più la giustizia puramente punitiva. E la concepisce solo come
capacità di riscatto, di reinserimento. In una pena che dura per sempre
come quella dell’inferno questo riscatto non c’è. Penso sia difficile
ritenere che gli uomini sono più buoni di Dio. Quindi all’inferno non
credo».
. «La mia è una teologia trinitaria. La
Trinità presuppone un certo concetto di Dio, che ha una ricaduta sulla
vita terrestre. L’unità non si contraddice con la pluralità,
nell’essere c’è il divenire di Dio».
. «La povertà evangelica è soprattutto il
distacco, non solo dal denaro, ma dal potere, dall’ambizione, da tutto.
E quando mi si chiede qual è la massima evangelica che più mi interessa
io dico sempre che è dove si dice “chi perde la propria vita la
troverà”; quella è veramente la povertà, l’essere liberi da tutto, a
cominciare da noi stessi».
Racconta a un giornalista che le chiede
come vive una teologa eremita:
Mi alzo alle sei del mattino, poi faccio colazione e recito le lodi. E
così comincia la giornata. Durante il mattino dirigo un poco i lavori
di campagna e in seguito faccio la liturgia nella chiesetta. A
mezzogiorno pranzo. Il pomeriggio mi riposo un poco perché vado a letto
tardissimo. Poi mi alzo, lavoro, vado a cena alle otto, poi mi distendo
un poco e verso le dieci riprendo a lavorare, fino alle tre di notte.
Ed è il periodo in cui faccio il lavoro più importante, più impegnativo
perché durante il giorno tra lavori esterni, tra corrispondenza e
articoli la giornata mi passa. E invece i lavori seri li sbrigo di
notte».
Ma le sue dichiarazioni sul «Manifesto»,
non possono non colpire:
«In che cosa non seguo Ratzinger? Un esempio. Riuniti i giovani in
Germania, ha concesso l’indulgenza plenaria. Le indulgenze non hanno
basi bibliche. Ed è incauto evocarle nella terra dove la Chiesa su di
esse si è spaccata».
. «Un amico auspicava il momento (quanto
lontano non si sa ma temo - ahimé - lontanissimo) in cui, alla loggia
di San Pietro, si sarebbe affacciato un papa con consorte al seguito
annunciando: "questa è mia moglie". Ma io vado più avanti: quando si
affaccerà un papa donna col principe consorte al seguito, annunciando:
"questo è mio marito"?».
. Il testo dell'ultima «Parabola», la rubrica che Adriana Zarri
scriveva da anni per il manifesto, lei purtroppo non lo ha visto
pubblicato. “Strega. Creatura malefica. Ed, a nobilitarne il termine,
non basta un liquore squisito e un prestigioso premio letterario. Per
quanto ci riguarda, il liquore non lo beviamo, il premio non lo
vinciamo [...]”
Non c’è bisogno di avere studiato filosofia o teologia per apprezzare o
aver voglia di conoscere la voce di una donna dei nostri tempi e dei
nostri strani giorni: Adriana Zarri, una voce che grida nel deserto,
una vera testimone in un mondo che tradisce Cristo tutti i santi giorni.
Giovanni
Sicali
redazione@aetnanet.org