Son salito sin
lassù, a Barbiana, uno sperduto e minuscolo paesino del Mugello, sulle
montagne toscane, per incontrare, nella piccola canonica del paese, il
famoso prete “cattocomunista”, don Lorenzo Milani. Di lui si dice un
gran bene, ma anche…un gran male. Avversato dalla giustizia italiana e
dalla gerarchia ecclesiastica, dalla mentalità perbenista e dai luoghi
comuni, don Milani è, senza dubbio, uno dei più grandi educatori e
riformatori del pensiero e della pastorale cattolica degli anni ‘50 e
‘60, nella chiesa, retriva e restrittiva, di papa Pacelli. Il Concilio
Vaticano II e Giovanni XXIII erano ancora molto di là da venire! E da
quel luogo, ai confini del mondo, quel prete di frontiera, studia da
profeta. Lo dice a volte con l’ironia ed il sarcasmo che gli sono
consueti. E lo dice con un linguaggio che, per forza e immediatezza,
non può non ricordare i profeti della Bibbia.
Don Lorenzo Milani, il priore di Barbiana, prete ortodosso fino allo
spasimo, fino alle lacrime, ha una ben precisa “strategia di vita”:
andare, passo passo, sulle orme di Cristo e di Socrate.
Inviato speciale: Don Lorenzo, ma com’è finito quassù,
in questo luogo sperduto e dimenticato dal mondo?
Don Milani:
«In effetti, non lo so neanche io come sono arrivato qui, a Barbiana,
ma credimi, contrariamente a quanto puoi immaginare, per me, è stata
una vera fortuna, un dono della Provvidenza! Certo, all’inizio è stata
dura, ma poi mi ci sono abituato, mi sono sentito come fossi a casa
mia! Ripeto, è stata proprio la Provvidenza a portarmi sin quassù!».
Inviato Speciale: Mi sta, quasi, volendo dire che per
lei è stato…un premo venire a Barbiana?
Don Milani:
«Beh,…proprio un premio non direi, certo. Arrivai a Barbiana, nel
dicembre del 1954, un minuscolo e sperduto paesino di montagna, nel
Comune di Vicchio, in Mugello. Ricordo ancora la “grande” accoglienza
che mi hanno riservato: il freddo, la neve, il sagrestano e il cane che
viveva nella vecchia canonica! Il motivo del mio trasferimento?! Beh,
diciamo che la vera causa “scatenante” fu data dai continui e ripetuti
“dissidi”, che già, sin d’allora, “intrattenevo”… con i miei
superiori!».
Inviato Speciale: Don Lorenzo, ci dica qualcosa della
sua infanzia e della famiglia d’origine?
Don Milani:
«Ricordo l’infanzia e la mia famiglia con tanto piacere! Ah, che bei
tempi…! Mio padre proveniva da una ricca famiglia di intellettuali
fiorentini, mia mamma, Alice Weiss, era la pronipote del famoso
filologo Domenico Comparetti e di sua moglie Elena Raffalovich,
sostenitrice e creatrice di giardini d’infanzia froebeliani. Dalla mia
famiglia ho avuto tutto ciò che un ragazzo può desiderare: pane, soldi,
cultura, prestigio, indipendenza di pensiero, rispetto per le mie
scelte. Ma volevo di più… molto di più!».
Inviato Speciale: Ma come è avvenuta la sua
conversione. Ci racconti la chiamata alla vocazione sacerdotale.
Don Milani:
«E’ una storia lunga e… sorprendente! Come tutte le vocazioni anche la
mia è avvolta… nel mistero! All’inizio della mia conversione c’è stato…
un colloquio, avvenuto in maniera casuale, nel giugno del 1943, con don
Raffaele Bensi, che, in seguito, diventerà il mio direttore spirituale!
Ero già, da lungo tempo, in un continuo stato… di travaglio interiore,
di “ricerca spirituale”, quando, all’improvviso, tutto… mi sembrò più
semplice, più facile. Il Signore mi aveva vinto e convinto!
Addirittura, nel novembre dello stesso anno, entrai nel seminario di
Cestello in Oltrarno. Volevo abbracciare, totalmente, Gesù!».
Inviato Speciale: Come furono i primi passi in
seminario?
Don Milani:
«Il primo periodo trascorso in seminario fu, per me, piuttosto duro!
Non ero abituato a rispettare le rigide regole “imposte” dall’alto ed
iniziai, da subito, a scontrarmi con la mentalità della Chiesa e della
curia! Non riuscivo a comprendere le ragioni di certe norme, prudenze,
manierismi, che, ai miei occhi, erano lontani anni luce dalla
freschezza e dalla sincerità del messaggio evangelico. Ma ricordo,
ancora, perfettamente, l’immensa emozione provata il 13 luglio 1947,
quando, nel duomo di Firenze, venni ordinato sacerdote».
Inviato Speciale: E i primi passi da prete?
Don Milani:
«Beh,… da dove iniziare!? Già durante le mie prime messe mi accorgevo
di avere sempre le stesse facce, poche ed annoiate; i giovani, poi, se
ne stavano sempre negli ultimi posti, apatici, a guardare sempre
l’orologio! Una domenica lasciai il vespro al mio parroco e scesi in
paese… a giocare con i ragazzi nella piazza. Se la montagna non va… in
chiesa, sono io che… salgo in montagna! Ma non mi bastava solo…
“giocare” al pallone con i miei ragazzi! Come sempre, volevo di più,
molto di più! Capii che, per il loro bene, dovevo “aprire lo scrigno
sigillato delle loro menti”. Come? Con lo studio, con la scuola! Ma la
mia scuola sarebbe stata… “di classe”! Perché si prefiggeva di colmare
l’abisso di differenza culturale che allora esisteva (e ahimè, esiste
anche oggi), tra i figli delle classi privilegiate e i ceti poveri: si
accettano i ricchi alla distribuzione della minestra?».
Inviato Speciale: E allora, torniamo alla prima
domanda, come finì a Barbiana?
Don Milani:
«Caro ragazzo, ma allora davvero vuoi farmi… litigare con il mio
vescovo! Ma mi sei simpatico con quel tuo colorito, quasi bronzeo, mi
ricordi qualcuno, un caro giovane siciliano, che, anche lui, per motivi
“politici”, ha litigato di brutto con il suo parroco! Comunque, ti
basta sapere che quando la Curia di Firenze, mi “mandò” qui, a
Barbiana, iniziai, da subito, il “sogno della mia vita”: la scuola a
tempo pieno, espressamente rivolto alle classi popolari, e la
sperimentazione del metodo della “scrittura collettiva”».
Inviato Speciale: Ma mi racconti un po’ di questa
famosa “scuola di Barbiana”.
Don Milani:
«Quando arrivai a Barbiana, c’era una sola scuola elementare, cinque
classi in un’unica aula; i ragazzi uscivano dalla quinta,
semianalfabeti, e subito andavano a lavorare nei campi: timidi e
disprezzati! La “mia scuola” era alloggiata in un paio di stanze della
canonica annessa alla piccola chiesa di Barbiana, il paese aveva un
nucleo di poche case intorno alla chiesa e molti casolari sparsi sulle
pendici del monte Giovi. Addirittura, con il bel tempo si faceva scuola
all’aperto sotto il pergolato! La scuola di Barbiana era un vero e
proprio “collettivo” dove si lavorava tutti insieme, la regola
principale era che chi sapeva di più aiutava e sosteneva chi sapeva di
meno, 365 giorni all’anno. E il mio motto era: “Stare sui coglioni a
tutti, come lo sono stati i profeti innanzi e dopo Cristo. Rendersi
antipatici, noiosi, odiosi, insopportabili a tutti quelli che non
vogliono aprire gli occhi sulla luce”».
Inviato Speciale: Parliamo, adesso, di… un’altra
scuola. Mi dica, cosa ne pensa della scuola pubblica italiana?
Don Milani:
«Per carità, non mi parli della scuola italiana, di classe di concorso
e di classi pollaio, di esami di Stato e di prove Invalsi, di premi di
produttività e di tagli indiscriminati, di ministri che pensano solo ai
bilanci e di insegnanti che guardano solo il cedolino e… l’orologio, di
contratti e di ferie non godute, e di precari, sempre e solo… precari,
mentre i ragazzi e, soprattutto, i portatori di handicap rimangono
abbandonati a se stessi! Che pena!
Ma il mio motto è “I care”, “mi interessa, mi sta a cuore”, ed è per
questo che ho fondato “la mia scuola” a Barbiana! Faccio scuola ai
contadini e agli operai, e da noi si impara, soprattutto, la lingua
italiana, per essere uguali agli altri, per farsi comprendere e
comprendere il mondo. Ogni sera mi fermo sulle parole, gliele seziono,
gliele faccio vivere come persone che hanno una nascita, uno sviluppo,
una trasformazione, un deformarsi. La parola è la chiave fatata che
apre ogni porta! Questo insegno ai miei ragazzi, e da noi non ci sono
voti, né pagelle, né rischio di essere bocciati. Anche perché,
l’insegnante che boccia, boccia se stesso! Da noi nessuno è pregato per
studiare. Anzi, tutti diventano maestri e insegnano a quelli che sono
più piccoli di loro. Io insegno solo ai più grandi. Proprio una bella
scuola, vero?! Però, sapessi quanti dispiacere e sofferenze,… ma anche
quante soddisfazioni!».
Inviato Speciale: Don Lorenzo, nella sua vita, lei ha
avuto degli accesi “diverbi” con molti prelati e con i suoi superiori.
Cosa ne pensa della Chiesa attuale?
Don Milani:
«Per carità, non mi parli di vescovi e di processioni, di regole
ecclesiastiche e di celebrazioni liturgiche, di feste sacre e di…messe
cantate. I preti pensano solo a queste cose! Io al mio popolo gli ho
tolto la pace! Non ho seminato che contrasti, discussioni, contrapposti
schieramenti di pensiero! Con la dolcezza raggiungerei soltanto quelli
che non hanno bisogno delle mie osservazioni. Con la durezza invece ho
la speranza di sconquassare quelli, in buona fede, che non potrei
raggiungere. Chi riceve uno schiaffo, se è in mala fede, reagisce male,
si ribella, se, invece, è in buona fede, viene scosso, e poi è portato
a riflettere. Con la dolcezza lo lascerei nell’illusione…».
Inviato Speciale: Ma, allora, secondo lei, come deve
essere la scuola d’oggi?
Don Milani:
«La scuola è diversa dall’aula del tribunale. Per i magistrati vale
solo ciò che è legge stabilita. La scuola, invece, siede tra passato e
il futuro e deve averli entrambi presenti. È l’arte delicata di
condurre i ragazzi su un filo di rasoio: da un lato formare in loro il
senso della legalità (e in questo somiglia alla funzione dei giudici),
dall’altro lato la volontà di leggi migliori cioè di senso politico (e
in questo si differenzia dalla vostra funzione). Per questo, io credo,
che la scuola “fa” politica, e gli insegnanti,… quelli veri, sono dei
“veri” politici. Perché la politica è progettare il futuro delle
prossime generazioni. Ricordatelo, ragazzi».
Questo è il comandamento di Don Lorenzo Milani (1923-1967): turbare le
coscienze, condurre i giovani alla riflessione critica e formare
cittadini responsabili, capaci di ragionare e di scegliere, e in grado
di saper cambiare il mondo e la storia con gli strumenti
dell’istruzione e della cultura.
Angelo
Battiato (inviato speciale a Brescia)
angelo.battiato@istruzione.it