La diligente disamina, alla luce del pensiero del giovane liberale, Piero Gobetti, scrittore, editore e critico, che ha scelto come motto l’espressione in lingua greca: “Che ho a che fare io con gli schiavi”, presenta due diversi modi di fare cultura: 1.la cultura della genialità che ha il solo scopo di intrattenere e si manifesta come improvvisazione, entusiasmo, spettacolarizzazione con la funzione di distrarre dai veri problemi e confermare opinioni correnti; 2.la cultura dell’iniziativa che sfida le certezze e va oltre guardando al domani.
“Abbiamo deciso di mettere tutte le nostre forze per salvare la dignità prima che la genialità, per ristabilire un tono decoroso e consolidare una sicurezza di valori e di convinzioni” così scriveva Piero Gobetti, un anno prima di morire, nel 1924, dopo il delitto Matteotti che aprì l’era del Ventennio.
Oggi, dopo la quarantena, che ha segnato un “blocco”, lasciando un segno nella storia personale e sociale, si continua a vivere ancora sotto l’ombra nera della paura e con la convinzione che “Non sarà più come prima” e che occorre “cambiare” stile di vita e di relazioni sociali.
La nuova era post Covid ha il compito di progettare ed aprire alla cultura un nuovo sentiero, cogliendo l’occasione dell’emergenza per innovare valori e prediligere stili di vita rivolti alla ricerca di un miglior bene sociale.
Durante il lockdown siamo stati sommersi dall’alternarsi di notizie sull’andamento della pandemia e i numerosi DPCM, grondanti di genialità, non hanno lasciato quasi nulla nelle menti e nei cuori, se non un pullulare di fastidio, rabbia, ansia e paura per le conseguenze della grave crisi economica destinata ad accentuarsi come conseguenza della pandemia. Ciò comporterà un’inevitabile diminuzione delle risorse destinate alla cultura, e stimolerà una gara perversa tra chi è più bravo o più furbo, più nuovo o più moderno, più originale, più geniale.
Riprendendo il pensiero di Gobetti, Pietro Polito sostiene che è necessario opporsi alla logica della “genialità” e allearsi con coloro che s’impegnano perché vengano adottati criteri di competenza e di serietà nella destinazione delle risorse pubbliche e private alla cultura.
Il nostro tempo è caratterizzato dalla prevalenza del principio dell’istante, dell’hic et nunc, dello zapping, che genera frammentazione, senza continuità né durata; la nostra dimensione si esaurisce nell’immediatezza del presente senza un’adeguata prospettiva storica e di futuro.
Oggi, alla Cultura scaturita dai libri e da una “scuola di formazione”, si antepone troppo spesso la “cultura spettacolo”, gestita nei pulpiti televisivi dai “conduttori” delle diverse reti, sedotti dalle lusinghe del potere della “comunicrazia”, carica di coriandoli e di effetti speciali.
Le informazioni che dovrebbero produrre nuove idee, nuovi apprendimenti e arricchimenti soggettivi, “fattori di liberazione”, “fonti di piacere”, si fermano ai margini di una ricerca di materiali forniti da Wikipedia, letti con superficialità, approssimazione e senza stimoli per i necessari approfondimenti scientifici, attingendo alle fonti bibliografiche.
Si è radicata l’idea falsa che sia sufficiente una relativa scolarizzazione - quest’anno per necessità anche “a distanza”- e che non serva studiare molto, leggere libri, “incontrare” nuovi autori. Tanti sono convinti che con una “navigazione” di mezz’ora in rete si possa accedere a quella conoscenza di cui sono maestri e depositari, i veri intellettuali considerati oggi superati, isolati predicatori, senza alcun legame con la realtà.
“Una vita senza idee e una società che non sprigiona idee sono letteralmente infelici”, diceva Gobetti.
Da qualche tempo la cultura sembra essere diventata: salotto, vetrina, potere ed è messa in discussione nella sua stessa funzione e identità. Da anni, pacificamente con noi stessi, abbiamo vissuto come se nulla attorno a noi fosse accaduto e, a pandemia conclusa, torneremo a vivere immersi in un clima “avvelenato” dalla tendenza ad affrontare i problemi in modo ottimistico, velocissimo, con formule e parole vuote e non pensate, in uno stile geniale, accostandoci ai problemi distrattamente, in modo superficiale, senza la necessaria concentrazione e il dovuto approfondimento delle questioni.
Le categorie di Piero Gobetti pongono in contrapposizione alla genialità la cultura dell’iniziativa e tale distinzione rimodula la differenza tra cultura come bene “per” tutti o come bene “di” tutti.
C’è una grande differenza tra le iniziative culturali, “per” i giovani, e quelle realizzate dai giovani o “insieme” dal gruppo. Analogamente non si può confondere la cultura delle donne con la cultura per le donne. Donne e uomini sono accomunati dalla lotta per la libertà: il cardine dell’autonomia individuale che permette ad ogni persona di diventare protagonista della propria vita.
Applicando in modo radicale lo schema gobettiano sono auspicabili meno “attività” pensate e organizzate “per” la cittadinanza, e più “iniziative” che scaturiscano dall’impegno di gruppi, associazioni e movimenti, che coinvolgano le persone nell’ideazione, progettazione, realizzazione delle iniziative culturali.
Iniziativa è una delle parole chiave del linguaggio e del pensiero di Gobetti: ideatore del quindicinale “Energie nove”, per portare una “fresca onda di spiritualità nella gretta cultura di oggi”.
Il liberalismo rivoluzionario nasce, appunto, dall’iniziativa operaia, dimensione di una religiosità laica: nel conflitto tra capitale e lavoro.
L’era del d.C. che non corrisponde, come nel linguaggio classico a “Dopo Cristo”, bensì al recente calcolo dei tempi nuovi, “dopo il Coronavirus”, richiede più iniziative culturali, sociali, civili, morali e religiose.
Il venticinquenne torinese, filosofo, liberale e rivoluzionario, Piero Gobetti, continua a parlare ai giovani, protagonisti del rinnovamento del Paese e li sprona ad essere insieme produttori d’iniziative da portare avanti con coerenza e “con la schiena diritta”.
“Se tutto è uguale, se il tono quotidiano è la tragedia, bisogna pure che ci sia chi si sacrifica, chi insegue il suo ideale trascendente o immanente, cattolico o eretico con arido amore”. Queste sue parole costituiscono un monito ad agire.
Il motto di Mazzini: “Pensiero e Azione”, “Agire, Reagire e Decidere”, “Preghiera, Azione e Sacrificio” sono stati gli slogan che hanno mobilitato i giovani all’impegno politico, al servizio, alla costruzione della democrazia partecipativa e responsabile.
Se è vero com’è vero che la cultura ha bisogno di un cambio di paradigma, consapevoli che il bene “cultura” è un diritto e una conquista inalienabile, è urgente una nuova “capacità di educare” che “si esperimenta realisticamente in noi stessi; educando noi avremo educato gli altri”.
Il detto latino: “Nemo dat quod non habet” sollecita l’esemplarità dei modelli. “Imparare vedendo fare e imparare facendo” costituiscono il binario del progresso e della civiltà che avanza verso il miglioramento della società.
E’ necessaria una nuova inedita creativa alleanza intergenerazionale che insegni a saper “guardare il presente con gli occhi del passato e progettare il futuro alla luce dei valori”, così da poter affrontare le sfide della nuova era, ancora avvolta nel buio dell’incertezza.
Occorreranno certamente pazienza, prudenza, accortezza e perseveranza, senza essere acriticamente obbedienti, ma criticamente disobbedienti.
Tre le possibili soluzioni che il direttore del Centro Studi Gobetti offre alla domanda “Quali forme assumerà la cultura nei prossimi anni?” figura un “neo-mecenatismo imprenditoriale”, generoso non solo con la cultura delle immagini, ma anche con la cultura dei documenti, capace di coinvolgere non soltanto i grandi gruppi industriali, ma anche la rete di piccole imprese radicate nel territorio, che costituiscono il vero tessuto produttivo vitale del Paese.
Per garantire un futuro alla cultura protesa verso un nuovo umanesimo è necessaria una gigantesca collettiva imprevista mossa del cavallo, capace di sfidare la cultura organizzativa dominante, proponendo se stessi come agenti del cambiamento, rendendo fruibile la propria conoscenza e il proprio sapere, senza vincoli e sovrastrutture, senza derogare ai propri principi e valori, ma adattandosi a nuove posizioni organizzative così da ribaltare l’industria culturale di massa, con un coinvolgimento operativo e sinergico di piccoli gruppi, di movimenti, associazioni, volontariato, terzo settore, coinvolti nell’attivismo comunitario e di partecipazione culturale, partendo dal basso. Il finale di questa partita non è stato ancora scritto.
Giuseppe Adernò