Quanta saggezza
possiamo trovare nella filosofia greca e non soltanto nei “giganti” per
antonomasia del pensiero ellenico, Platone ed Aristotele,ma persino nei
“minori” che tuttavia hanno contribuito a quello studio del linguaggio
che è sempre interamente collegato al pensiero, come Zenone di Elea.
Infatti, riteniamo i filosofi, prima ancora dei filologi, i veri e più
profondi conoscitori del linguaggio, per la semplice ragione che lo
studio dei meccanismi logici è la base comune di ogni tipo di
linguaggio e quindi anche la chiave per aprire le porte di ogni sapere
e cultura. Ed un vecchio detto afferma che è sempre meglio non mettersi
a discutere con un filosofo… è battaglia persa in partenza, perché per
ogni affermazione convincente o sicura che possa essere, c’è sempre una
controparte altrettanto sicura e convincente, una sua confutazione atta
a smontarla pezzetto per pezzetto. E così via all’infinito e chi la
dura la vince e la vince quasi sempre, su questo piano, chi ha maggiore
resistenza intellettiva.
E così via all’infinito e chi la dura la vince e la vince quasi sempre,
su questo piano, chi ha maggiore resistenza intellettiva. Per cui
possiamo anche pacificamente sostenere che tutta la cultura non è mai
data dalla quantità di dati e nozioni posseduti ma dal possesso di quel
grande strumento che è la logica, e la logica è scienza, non mera
letteratura. Un noto professore di filosofia diceva che chi è
aduso alla dura palestra del pensiero della lettura completa, profonda
e diretta di Kant o di Hegel può leggere e capire di tutto nella
vita anche senza altro avere.. mentre viceversa, forse, è assai più
difficile!
Invito tutti a provare per credere.
Ma tornando a Zenone, dopo lunga ma opportuna introduzione, possiamo
dire che non a caso lo stesso Aristotele lo chiamò “inventore della
dialettica”; della sua opera in prosa ne restano solo cinque
frammenti , composti da vari “logoi” , argomenti, e per ognuno
dei quali dimostrava, portando alle conseguenze logiche “per assurdo”,
i paradossi, l’incongruità o meno dell’argomento iniziale. Maestro,
inventore della dialettica, ovvero di quella legge del contrappunto che
esiste nella natura delle cose ( anche la musica di J.S.Bach, basata
sul contrappunto, è infatti un riflesso della dialettica filosofica),
Zenone aveva capito che le contrapposizioni, pur spesso nel loro
aspetto iperbolico, non sono una mera ridondanza del pensiero,ma
rappresentano i cardini attraverso cui scorre il flusso, ben
congegnato, del pensiero.
Per farla breve, sono tanti i paradossi, anche ripresi e confutati da
Aristotele ( e soltanto da lui !) che hanno dato vita ad una esegesi
molto vasta, anche attraverso spunti che sono stati usati nella
matematica o nella fisica quantistica; infatti esiste il cosiddetto
“effetto Zenone quantistico” desunto dal suo paradosso della freccia.
La freccia che, per l'opinione comune è in movimento ,è in realtà
ferma. Il tempo del suo tragitto, infatti, è composto in istanti,
e in ogni istante la freccia occupa uno spazio uguale alla sua
lunghezza, ossia in ogni singolo istante è in stato di quiete. Ma si dà
il caso che la somma di stati di quiete non può produrre il
movimento.
E poiché paradosso, nella sua etimologia significa anche “opinione
fuori dal comune” ( fuori dal coro) lo scopo educativo ed induttivo è
proprio quello di stimolare un pensiero divergente, non coatto e sempre
uniforme.
Così, prima di adottare “d’abbraccio” ogni tesi, ogni fede o credenza
comune o maggioritaria, si dovrebbe prima ragionare proprio…
sull’esatto opposto!
Ma ciò succede più spesso di quanto si crede, purtroppo. E specie da
parte di coloro che non viaggiano sicuramente su un poderoso jumbo jet
intellettivo ma su un vettore ben più modesto e barcollante,, navigando
a vista e magari senza la bussola degli strumenti logici, tutti limiti
che consentirebbero semmai una rotta ben più cauta e ponderata, non di
certo alti voli pindarici, e per ambascia di giungere in fretta alle
conclusioni, si saltano importanti passaggi logici- procedurali; è
facile leggere…” leggere fra le righe”… non sempre.
E quindi ci si sbraccia a destra e a manca, al minimo tintinnìo di
catene, abboccando ad ogni miraggio dialettico, al classico specchietto
per le allodole.
Perché è vero, anzi verissimo, che “aquila non captat muscas”,
l’aquila non dà la caccia ai moscerini, e se lo fa, dimostra di non
essere affatto quel fiero rapace che dice di essere.
E così accade che anche la fastidiosa e pruriginosa cimice a
volte ci arreca ben più fastidio di qualunque altro peso e macigno. Ed
il macigno stesso, anzi, se lo getta sui piedi, per pura follia, chi
pur sostenendo e ragionando e così cercando di dimostrare di aver
inequivocabilmente ragione e ancora ragione! Cade invece, in
pieno, vittima del paradosso zenoniano, irrisolvibile in quanto
tale ed imprudentemente crede di colpire ignorando d’essersi colpito da
solo, e parecchio.
Perché l’aquila è anche metafora dell’intelletto , e non cade di
certo nei miraggi, e se lo fa vuol dire che il suo intelletto di
ben altre e più nutrienti sostanze abbisogna, che la sorreggano, così
debole ed impacciata.
E così accade finanche che una piccola ed insignificante
cimice, nulla in confronto a certi mostri sacri che lavorino nello
stesso campo dell’informazione, ma caduci perché sclerotizzati nei loro
inviolabili santuari, possa molto di più con i suoi umili mezzi,
rispetto a chi, di certo, spara a cannonate, e grosse, a… vuoto, e in
gran fretta al miraggio, all’effetto ottico, alla riduzione per
assurdo, paradossale e provocatoria ad arte, che Zenone,
maestro della dialettica e della logica, per aristotelica
definizione, aveva dedotto come necessario contrappasso per la
dimostrazione o la confutazione d’ogni tesi.
La fretta è cattiva consigliera, ma anche la più antidemocratica dei
nostri demoni interiori.
Perché mai, infatti, gli altri dovrebbero starci a sentire se noi
stessi non siamo disposti ad ascoltare con pazienza le altrui idee
anche se non gradite?
E così si spara in fretta e furia, disperdendo quelle poche
munizioni , invero poche, che si hanno in saccoccia ad ogni piccola
scaramuccia.
Ed è persino una tattica ben nota da quando la enunciò Von
Clausewitz; una mossa di logistica militare ( e logistica viene
proprio da logica, benché sia deplorevole l’uso grossolanamente bellico
che se ne faccia) aprire tanti varchi fallaci ed ingannevoli per far
disperdere tutte le energie all’avversario, con un impeto
all’attacco ed una suscettibile vulnerabilità che si commentano
da soli, mostrarne così tutte le debolezze, prima di sferrare
l’attacco definitivo e fatale.
Tecla Squillaci
stairwayto_heaven@libero.it