Infatti, riteniamo i filosofi, prima ancora dei filologi, i veri e più profondi conoscitori del linguaggio, per la semplice ragione che lo studio dei meccanismi logici è la base comune di ogni tipo di linguaggio e quindi anche la chiave per aprire le porte di ogni sapere e cultura. Ed un vecchio detto afferma che è sempre meglio non mettersi a discutere con un filosofo… è battaglia persa in partenza, perché per ogni affermazione convincente o sicura che possa essere, c’è sempre una controparte altrettanto sicura e convincente, una sua confutazione atta a smontarla pezzetto per pezzetto. E così via all’infinito e chi la dura la vince e la vince quasi sempre, su questo piano, chi ha maggiore resistenza intellettiva.
E così via all’infinito e chi la dura la vince e la vince quasi sempre, su questo piano, chi ha maggiore resistenza intellettiva. Per cui possiamo anche pacificamente sostenere che tutta la cultura non è mai data dalla quantità di dati e nozioni posseduti ma dal possesso di quel grande strumento che è la logica, e la logica è scienza, non mera letteratura. Un noto professore di filosofia diceva che chi è aduso alla dura palestra del pensiero della lettura completa, profonda e diretta di Kant o di Hegel può leggere e capire di tutto nella vita anche senza altro avere.. mentre viceversa, forse, è assai più difficile!
Invito tutti a provare per credere.
Ma tornando a Zenone, dopo lunga ma opportuna introduzione, possiamo dire che non a caso lo stesso Aristotele lo chiamò “inventore della dialettica”; della sua opera in prosa ne restano solo cinque frammenti , composti da vari “logoi” , argomenti, e per ognuno dei quali dimostrava, portando alle conseguenze logiche “per assurdo”, i paradossi, l’incongruità o meno dell’argomento iniziale. Maestro, inventore della dialettica, ovvero di quella legge del contrappunto che esiste nella natura delle cose ( anche la musica di J.S.Bach, basata sul contrappunto, è infatti un riflesso della dialettica filosofica), Zenone aveva capito che le contrapposizioni, pur spesso nel loro aspetto iperbolico, non sono una mera ridondanza del pensiero,ma rappresentano i cardini attraverso cui scorre il flusso, ben congegnato, del pensiero.
Per farla breve, sono tanti i paradossi, anche ripresi e confutati da Aristotele ( e soltanto da lui !) che hanno dato vita ad una esegesi molto vasta, anche attraverso spunti che sono stati usati nella matematica o nella fisica quantistica; infatti esiste il cosiddetto “effetto Zenone quantistico” desunto dal suo paradosso della freccia. La freccia che, per l'opinione comune è in movimento ,è in realtà ferma. Il tempo del suo tragitto, infatti, è composto in istanti, e in ogni istante la freccia occupa uno spazio uguale alla sua lunghezza, ossia in ogni singolo istante è in stato di quiete. Ma si dà il caso che la somma di stati di quiete non può produrre il movimento.
E poiché paradosso, nella sua etimologia significa anche “opinione fuori dal comune” ( fuori dal coro) lo scopo educativo ed induttivo è proprio quello di stimolare un pensiero divergente, non coatto e sempre uniforme.
Così, prima di adottare “d’abbraccio” ogni tesi, ogni fede o credenza comune o maggioritaria, si dovrebbe prima ragionare proprio… sull’esatto opposto!
Ma ciò succede più spesso di quanto si crede, purtroppo. E specie da parte di coloro che non viaggiano sicuramente su un poderoso jumbo jet intellettivo ma su un vettore ben più modesto e barcollante,, navigando a vista e magari senza la bussola degli strumenti logici, tutti limiti che consentirebbero semmai una rotta ben più cauta e ponderata, non di certo alti voli pindarici, e per ambascia di giungere in fretta alle conclusioni, si saltano importanti passaggi logici- procedurali; è facile leggere…” leggere fra le righe”… non sempre.
E quindi ci si sbraccia a destra e a manca, al minimo tintinnìo di catene, abboccando ad ogni miraggio dialettico, al classico specchietto per le allodole.
Perché è vero, anzi verissimo, che “aquila non captat muscas”, l’aquila non dà la caccia ai moscerini, e se lo fa, dimostra di non essere affatto quel fiero rapace che dice di essere.
E così accade che anche la fastidiosa e pruriginosa cimice a volte ci arreca ben più fastidio di qualunque altro peso e macigno. Ed il macigno stesso, anzi, se lo getta sui piedi, per pura follia, chi pur sostenendo e ragionando e così cercando di dimostrare di aver inequivocabilmente ragione e ancora ragione! Cade invece, in pieno, vittima del paradosso zenoniano, irrisolvibile in quanto tale ed imprudentemente crede di colpire ignorando d’essersi colpito da solo, e parecchio.
Perché l’aquila è anche metafora dell’intelletto , e non cade di certo nei miraggi, e se lo fa vuol dire che il suo intelletto di ben altre e più nutrienti sostanze abbisogna, che la sorreggano, così debole ed impacciata.
E così accade finanche che una piccola ed insignificante cimice, nulla in confronto a certi mostri sacri che lavorino nello stesso campo dell’informazione, ma caduci perché sclerotizzati nei loro inviolabili santuari, possa molto di più con i suoi umili mezzi, rispetto a chi, di certo, spara a cannonate, e grosse, a… vuoto, e in gran fretta al miraggio, all’effetto ottico, alla riduzione per assurdo, paradossale e provocatoria ad arte, che Zenone, maestro della dialettica e della logica, per aristotelica definizione, aveva dedotto come necessario contrappasso per la dimostrazione o la confutazione d’ogni tesi.
La fretta è cattiva consigliera, ma anche la più antidemocratica dei nostri demoni interiori.
Perché mai, infatti, gli altri dovrebbero starci a sentire se noi stessi non siamo disposti ad ascoltare con pazienza le altrui idee anche se non gradite?
E così si spara in fretta e furia, disperdendo quelle poche munizioni , invero poche, che si hanno in saccoccia ad ogni piccola scaramuccia.
Ed è persino una tattica ben nota da quando la enunciò Von Clausewitz; una mossa di logistica militare ( e logistica viene proprio da logica, benché sia deplorevole l’uso grossolanamente bellico che se ne faccia) aprire tanti varchi fallaci ed ingannevoli per far disperdere tutte le energie all’avversario, con un impeto all’attacco ed una suscettibile vulnerabilità che si commentano da soli, mostrarne così tutte le debolezze, prima di sferrare l’attacco definitivo e fatale.
Tecla Squillaci
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