Lo ha comunicato la
Funzione Pubblica attraverso una nota di chiarimento: manca la
normativa nazionale a sostegno. Eppure la Direttiva 2010/18/Ue del
Consiglio dell'8 marzo 2010, non fa riferimenti alla natura del
rapporto di lavoro, ma solo alla necessità di dare attuazione al
diritto “individuale” del congedo parentale e nell'aiutare i genitori
che lavorano in Europa ad ottenere una migliore conciliazione. E
nemmeno la Legge 28 giugno 2012, n. 92, fa differenziazioni tra
pubblico e privato. Pacifico (Confedir-Anief): una grave discrepanza di
trattamento, che cade nel ventennale dall’introduzione della
privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico. Sull’assistenza ai
neonati lo Stato italiano discrimina 3 milioni e mezzo di lavoratori
pubblici, che oggi non possono godere dei giorni di assistenza previsti
invece per le mamme e i papà dipendenti del settore privato: lo ha
scritto a chiare lettere il Dipartimento della Funzione Pubblica, il
quale rispondendo il 20 febbraio ad un quesito del Comune di Reggio
nell'Emilia ha spiegato che i padri dipendenti delle pubbliche
amministrazioni non hanno diritto al congedo obbligatorio di paternità
e ai due giorni di congedo facoltativo, previo accordo con la madre ed
in sua sostituzione con un'indennità a carico dell'Inps, introdotti nel
giugno scorso dal Governo Monti per l’assistenza dei primi cinque mesi
di vita del bambino, né le madri lavoratrici del pubblico impiego hanno
accesso ai cosiddetti “voucher per l'acquisto di servizi di
baby-sitting”. Secondo la presidenza del Consiglio del ministri, il
sostegno ai neo-genitori per adeguare la normativa italiana a quella
europea, approvato attraverso l’art. 4, comma 24, della Legge n. 92 del
2012, “non è direttamente applicabile ai rapporti di lavoro dei
dipendenti delle pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2,
del d.lgs. n. 165 del 2001, atteso che, come disposto dall'art. 1,
commi 7 e 8, della citata l. n. 92 del 2012, tale applicazione è
subordinata all'approvazione di apposita normativa su iniziativa del
Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione.
Pertanto, per i dipendenti pubblici rimangono validi ed applicabili gli
ordinari istituti disciplinati nel d.lgs. n. 151 del 2001 e nei CCNL di
comparto”. Il risultato di questa interpretazione è che ad oggi tutti i
dipendenti pubblici italiani non possono usufruire di un diritto
concesso ai colleghi del settore privato. Disattendendo quindi la
Direttiva 2010/18/Ue del Consiglio dell'8 marzo 2010, nella quale non
si fa alcun riferimento alla natura del rapporto di lavoro, ma
solamente alla necessità di dare attuazione al diritto “individuale”
del congedo parentale, “garantendo una base comune sull'equilibrio tra
vita e lavoro negli Stati membri e svolgendo un ruolo significativo
nell'aiutare i genitori che lavorano in Europa ad ottenere una migliore
conciliazione”. Il riferimento della Funzione Pubblica per giustificare
tale differenziazione di trattamento tra pubblico e privato, è anche ai
commi 7 e 8 dell’art. 1 della stessa Legge 92/2012, nella quale si
spiega che “per la regolazione dei rapporti di lavoro dei dipendenti
delle pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del
decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni”
(…) “il Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione,
sentite le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative dei
dipendenti delle amministrazioni pubbliche, individua e definisce,
anche mediante iniziative normative, gli ambiti, le modalità e i tempi
di armonizzazione della disciplina relativa ai dipendenti delle
amministrazioni pubbliche”. Secondo Marcello Pacifico, delegato
Confedir e presidente Anief, non ci sono dubbi: “ci troviamo
chiaramente di fronte ad una discriminazione dei dipendenti pubblici
rispetto a colleghi che operano nel privato. Ciò fa ancora più scalpore
se si pensa che quest’anno ricorre il ventennale dall’introduzione
della privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico. Con il risultato
che, disapplicando quanto previsto da una direttiva Ue del 2010, che
supera chiaramente il decreto nazionale n. 151 del 2001, si mortifica
la professionalità di tre milioni e mezzo di dipendenti pubblici, dopo
che non viene loro più concesso da tempo alcun rinnovo contrattuale e
aumento stipendiale”. Il sindacalista Confedir-Anief ritiene, quindi,
che l’adeguamento alle indicazioni Ue - anche se solo poco più che
simbolico, di appena un giorno di congedo obbligatorio di paternità e
di due giorni di congedo facoltativo per i padri e di una serie di
“voucher” per le madri - non può essere negato per basse ragioni di
burocrazia: “siamo di fronte ad un abuso – incalza Pacifico -. Lo
stesso che lo Stato italiano perpetra nei confronti di decine di
migliaia di precari pubblici, in particolare della scuola, utilizzati
ben oltre i 36 mesi previsti dalla direttiva Ue 1999/70/CE come soglia
massima per giustificare la mancata assunzione a titolo definitivo. È
evidente, a questo punto, una seria riflessione sulla necessità di
mantenere in vita la privatizzazione del rapporto di lavoro pubblico.
Anche perché presto saranno i tribunali, attraverso le sentenze
favorevoli ai dipendenti dello Stato, a smantellarla nei fatti”.
Per approfondimenti:
DIRETTIVA 2010/18/UE DEL CONSIGLIO dell'8 marzo 2010
LEGGE 28 giugno 2012, n. 92
Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una
prospettiva di crescita. (12G0115)
24. Al fine di sostenere la genitorialita', promuovendo una
cultura di maggiore condivisione dei compiti di cura dei figli
all'interno della coppia e per favorire la conciliazione dei
tempi di vita e di lavoro, in via sperimentale per gli anni
2013-2015:
a) il padre lavoratore dipendente, entro i cinque mesi dalla
nascita del figlio, ha l'obbligo di astenersi dal lavoro per un
periodo di un giorno. Entro il medesimo periodo, il padre
lavoratore dipendente puo' astenersi per un ulteriore periodo di
due giorni, anche continuativi, previo accordo con la madre e in
sua sostituzione in relazione al periodo di astensione
obbligatoria spettante a quest'ultima. In tale ultima ipotesi,
per il periodo di due giorni goduto in sostituzione della madre
e' riconosciuta un'indennita' giornaliera a carico dell'INPS pari
al 100 per cento della retribuzione e per il restante giorno in
aggiunta all'obbligo di astensione della madre e' riconosciuta
un'indennita' pari al 100 per cento della retribuzione. Il padre
lavoratore e' tenuto a fornire preventiva comunicazione in forma
scritta al datore di lavoro dei giorni prescelti per astenersi
dal lavoro almeno quindici giorni prima dei medesimi. All'onere
derivante dalla presente lettera, valutato in 78 milioni di euro
per ciascuno degli anni 2013, 2014 e
2015, si provvede, quanto a 65 milioni di euro per ciascuno degli
anni 2013, 2014 e 2015, mediante corrispondente riduzione
dell'autorizzazione di spesa di cui all'articolo 24, comma 27,
del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con
modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, e, quanto a
13 milioni di euro per ciascuno degli anni 2013-2015, ai sensi
del comma 69 del presente articolo;
b) nei limiti delle risorse di cui al comma 26 e con le modalita'
di cui al comma 25, e' disciplinata la possibilita' di concedere
alla madre lavoratrice, al termine del periodo di congedo di
maternita', per gli undici mesi successivi e in alternativa al
congedo parentale di cui al comma 1, lettera a), dell'articolo 32
del citato testo unico di cui al decreto legislativo n. 151 del
2001, la corresponsione di voucher per l'acquisto di servizi di
baby-sitting, ovvero per fare fronte agli oneri della rete pubblica dei
servizi per l'infanzia o dei servizi privati accreditati, da
richiedere al datore di lavoro.
www.anief.org