
Diciamolo subito: Pasolini scrittore è stato, piaccia o no, un grande "moralista", - apparizione purtroppo rara nella tradizione nostrana, - e per questo è stato molto scomodo, inviso a certi settori della cultura egemonica del suo tempo; e mal sopportato, anche, come succede spesso a tutti quelli che hanno una visione critica non " allineata" e problematica della realtà, e sete di verità e di giustizia, che non intendono indulgere a nessun compromesso con la propria coscienza.
Egli ha pagato con la vita codesta sua coerenza. Il suo "marxismo dicotomico" e, poi, il suo empirismo critico, e perché no, la sua spiritualità, avevano, infatti, previsto tutti i guasti che avrebbero prodotto sui "poveri cristi" popolari, da una parte il neocapitalismo rapace e senza regole, e, dall'altra, l'edonismo del potere della società consumistica. La sua testimonianza era un'accusa violenta, senza sconti, un dito puntato contro ogni forma di potere disumanizzante. E il Potere di lui si è vendicato!
Lo scrittore bolognese aveva preconizzato tutte le "macerie di valori" cui portavano lo sradicamento e il trasferimento forzato dei contadini dalle campagne alle città industrializzate: la "cementizzazione speculativa"; la "omologazione culturale" indotta dai modelli di comunicazione televisiva ("la stupidità delittuosa della televisione"); e ancora: "la tolleranza modernistica di tipo americano"; e poi, le rivolte studentesche sessantottine, la manipolazione delle masse da parte del potere; il referendum divorzista, il totalitarismo del permissivismo (di cui la legge sull'aborto sarebbe stata un'espressione), ecc. ecc. Tutti segnali, insieme a tanti altri ancora, di quella "rivoluzione antropologica" della società italiana dei cui effetti "criminali" è data dolorosa testimonianza critica e sofferto lamento lirico-drammatico in tanti degli scritti "corsari" e "luterani" dello scrittore bolognese.
Nuccio Palumbo
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