Ci sono
scrittori la cui opera con lo scorrere del tempo perde lo
smalto, s'annebbia, per così dire, e avvitandosi su se stessa,
non riesce più a forare e a interessare il cuore e la mente
di nuovi e più esigenti lettori. Non è, certo,
questo il caso di P.P. Pasolini. A cinquant'anni
dalla sua morte la sua opera scrittoria, in particolare quella
del giornalista, - osservatore acuto, polemista critico,
comunista militante dissidente e disorganico, - si rivela - oggi
più che mai - di una attualità inquietante e struggente. Ci
colpiscono ancora l'amara profondità profetica di alcune delle
sue analisi sociologiche, nonché le
considerazioni etico - politiche svolte con "passione e
ideologia" in ordine alle condizioni reali e ai cambiamenti
"antropologici" indotti dal "progresso borghese", - a suo
giudizio devastanti, - riguardanti l'Italia del dopoguerra: dagli anni
'50, fino al '75, anno della tragica morte del Nostro.
Diciamolo subito: Pasolini scrittore è stato, piaccia o no, un
grande "moralista", - apparizione purtroppo rara nella tradizione
nostrana, - e per questo è stato molto scomodo, inviso
a certi settori della cultura egemonica del suo tempo;
e mal sopportato, anche, come succede spesso
a tutti quelli che hanno una visione critica non "
allineata" e problematica della realtà, e sete di
verità e di giustizia, che non
intendono indulgere a nessun compromesso con la
propria coscienza.
Egli ha pagato con la vita codesta sua
coerenza. Il suo "marxismo dicotomico" e, poi, il suo
empirismo critico, e perché no, la sua spiritualità, avevano,
infatti, previsto tutti i guasti che avrebbero
prodotto sui "poveri cristi" popolari, da una parte il
neocapitalismo rapace e senza regole, e, dall'altra,
l'edonismo del potere della società consumistica. La sua
testimonianza era un'accusa violenta, senza sconti, un dito
puntato contro ogni forma di potere disumanizzante. E il Potere di lui
si è vendicato!
Lo scrittore bolognese aveva preconizzato tutte
le "macerie di valori" cui portavano lo
sradicamento e il trasferimento forzato dei contadini dalle
campagne alle città industrializzate: la "cementizzazione speculativa";
la "omologazione culturale" indotta dai modelli di comunicazione
televisiva ("la stupidità delittuosa della televisione"); e
ancora: "la tolleranza modernistica di tipo
americano"; e poi, le rivolte studentesche sessantottine, la
manipolazione delle masse da parte del potere; il referendum
divorzista, il totalitarismo del permissivismo (di cui la
legge sull'aborto sarebbe stata un'espressione), ecc. ecc. Tutti
segnali, insieme a tanti altri ancora, di quella "rivoluzione
antropologica" della società italiana dei cui effetti
"criminali" è data dolorosa testimonianza critica e
sofferto lamento lirico-drammatico in tanti degli
scritti "corsari" e "luterani" dello scrittore bolognese.
Nuccio Palumbo
antonino11palumbo@gmail.com